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Articolo Pubblicato il 20 Agosto, 2019

Mancata aggiudicazione: prova rigorosa del danno

Mancata aggiudicazione: prova rigorosa del danno

La prima sez. Catanzaro del T.A.R. Calabria, con la sentenza 16 agosto 2019, n. 1533, in relazione all’annullamento dell’aggiudicazione di un appalto del servizio di raccolta e di trasporto rifiuti, definisce il risarcimento dei danni all’operatore economico estromesso.

In via generale, il giudice dovrà tener conto di tutte le circostanze del caso concreto e liquidare sia il danno emergente che il lucro cessante (quali le spese sostenute per partecipare alla gara, il mancato guadagno per non aver potuto svolgere l’attività ed il mancato incremento del curriculum aziendale)[1]: la domanda sul quantum della pretesa risarcitoria dovrà essere commisurata al danno da mancata aggiudicazione del servizio, la quale si pone in rapporto di diretta causalità con l’illegittimo annullamento dell’aggiudicazione[2].

Specificatamente, i danni da mancata aggiudicazione sono, quindi, parametrati al c.d. interesse positivo e consistono nell’utile netto ritraibile dal contratto, oltre che nei pregiudizi di tipo curriculare e all’immagine commerciale dell’operatore economico, ingiustamente privata di una commessa pubblica, nel caso di responsabilità precontrattuale i danni sono limitati al solo interesse negativo, ravvisabile nel caso delle procedure ad evidenza pubblica nelle spese inutilmente sopportate per parteciparvi e nella perdita di occasioni di guadagno alternative[3].

Ciò premesso, l’Amministrazione civica, dopo aver aggiudicato, a seguito di procedura negoziata, il servizio revocava l’aggiudicazione e affidava al secondo classificato l’appalto, ritenendo l’aggiudicataria non possedesse, al momento dell’aggiudicazione, i requisiti tecnici richiesti dalla legge di gara[4], giacché solo in un momento successivo essa aveva ottenuto l’iscrizione all’Albo dei Gestori Ambientali: difettava di un requisito di partecipazione, donde l’aggiudicazione non poteva essere mantenuta in vita.

In prima analisi giuridica, la revoca dell’aggiudicazione è un atto che presenta una sua autonoma valenza, successivo al provvedimento di aggiudicazione.

Al di là della presenza del requisito richiesto, posseduto dalla ricorrente risultata aggiudicataria (con l’iscrizione all’Albo si ottiene l’autorizzazione all’esercizio dell’attività, semmai, l’avvenuta variazione a seguito dell’aggiudicazione, è stata una specificazione dell’attività svolta), il Tribunale, nel ritenere il ricorso fondato, con conseguente annullamento dei provvedimenti, con i quali è stata disposta la revoca dell’aggiudicazione e lo scorrimento della graduatoria, si sofferma sulla tutela risarcitoria, essendo esaurito il servizio oggetto di gara: la quantificazione del danno da mancata aggiudicazione.

Sul punto, la ricorrente enuncia, senza allegare documentazione probatoria:

  • il danno da mancata percezione degli utili, quantificato equitativamente nella misura del 10% del valore dell’appalto;
  • da mancato arricchimento del curriculum, che viene valutato in misura del 5% del citato valore;
  • danno all’immagine, valutato nella misura del 3% del valore complessivo dell’appalto.

Il giudice di prime cure, alla stregua dei principi ormai consolidati elaborati dalla giurisprudenza in tema di determinazione del danno da mancata aggiudicazione di gara d’appalto[5], stabilisce:

  • ai sensi degli artt. 30, 40 e 124, comma 1, c.p.a., il danneggiato deve offrire la prova dell’an e del quantum del danno che assume di avere sofferto (c.d. onere probatorio);
  • l’impresa danneggiata deve offrire la prova dell’utile che in concreto avrebbe conseguito qualora fosse risultata aggiudicataria dell’appalto, poiché nell’azione di responsabilità per danni il principio dispositivo opera con pienezza e non è temperato dal metodo acquisitivo proprio dell’azione di annullamento, ex 64, commi 1 e 3, c.p.a.[6];
  • il metodo si giustifica in quanto sussiste la necessità di equilibrare l’asimmetria informativa tra Amministrazione e privato, la quale contraddistingue l’esercizio del pubblico potere ed il correlato rimedio dell’azione di impugnazione, mentre la medesima necessità non si riscontra in quella consequenziale di risarcimento dei danni, in relazione alla quale il criterio della c.d. vicinanza della prova determina il riespandersi del predetto principio dispositivo sancito in generale dall’art. 2697, primo comma c.c. (e specificato per il risarcimento dei danni da mancata aggiudicazione dal sopra citato art. 124, comma 1, c.p.a.);
  • la valutazione equitativa, ai sensi dell’art. 1226 c.c., in combinato con l’art. 2056 c.c., è ammessa soltanto in presenza di situazione di impossibilità o di estrema difficoltà di una precisa prova sull’ammontare del danno;
  • la parte danneggiata non può sottrarsi all’onere probatorio su di essa gravante e rimettere l’accertamento dei propri diritti all’attività del consulente tecnico d’ufficio senza dedurre quantomeno i fatti e gli elementi specifici posti a fondamento di tali diritti;
  • la prova in ordine alla quantificazione del danno può essere raggiunta anche mediante presunzioni, ma in conformità alla regola generale, di cui all’art. 2729 c.c., queste devono essere dotate dei requisiti legali della gravità, precisione e concordanza, mentre non può attribuirsi valore probatorio ad una presunzione fondata su dati meramente ipotetici.

Si comprende subito che una pretesa risarcitoria, quantificata aprioristicamente senza un riscontro, anche presuntivo, sul valore equivalente percentuale dell’importo a base d’asta non presenta nessun ancoraggio reale alla dimensione del danno effettivamente patito, e per ciò acquisibile con cangiante rigetto dell’istanza di tali voci risarcitorie.

Tale criterio, annota il Collegio, esula storicamente dalla materia risarcitoria:

  • da una parte, non può essere oggetto di applicazione automatica ed indifferenziata, non potendo formularsi un giudizio di probabilità fondato sull’id quod plerumque accidit secondo il quale, allegato l’importo a base d’asta, può presumersi che il danno da lucro cessante del danneggiato sia commisurabile alla percentuale sopra indicata;
  • dall’altra, anche per il c.d. danno curriculare (come quello d’immagine), il creditore deve offrire una prova puntuale del nocumento che asserisce di aver subito in termini di mancato arricchimento del proprio curriculum professionale e della perdita di ulteriori commesse sulla base di una qualificazione mancata a causa dell’altrui illegittima aggiudicazione, così come per il presunto offuscamento d’immagine: manca un riscontro di prova in atti, rectius

In definitiva, il danno conseguente al lucro cessante, che si identifica con l’interesse c.d. positivo, che ricomprende sia il mancato profitto (che l’impresa avrebbe ricavato dall’esecuzione dell’appalto), sia il danno c.d. curricolare (ovvero il pregiudizio subìto dall’impresa a causa del mancato arricchimento del curriculum e dell’immagine professionale per non poter indicare in esso l’avvenuta esecuzione dell’appalto) spetta solo qualora l’operatore economico danneggiato offra, senza poter ricorrere a criteri forfettari (o presuntivi), la prova rigorosa dell’utile che in concreto avrebbe conseguito, qualora fosse risultata aggiudicataria dell’appalto.

È invece risarcibile, in quanto dimostrato (alias documentati), il danno emergente, rappresentato:

  • dalla differenza tra il prezzo di acquisto dei mezzi necessari per l’esecuzione del servizio e il prezzo di loro rivendita;
  • dai costi di assicurazione dei veicoli;
  • dai costi della fidejussione;
  • dai costi per la variazione dell’iscrizione all’Albo Nazionale dei gestori ambientali.

La sentenza del T.A.R. Calabria, Catanzaro, sez. I, 16 agosto 2019, n. 1533 stabilisce nella sua effettività che la tutela risarcitoria per mancata aggiudicazione va dimostrata con l’allegazione dei costi sostenuti dei danni patiti, danno emergente e lucro sessante, non potendo riversare su apodittiche affermazioni la presenza di danni, da una parte, rapportati al valore dell’appalto, dall’altra, senza fornire un reale riscontro probatorio.

[1] Il danno curriculare consistente nel pregiudizio subito a causa del mancato arricchimento del curriculum professionale, che deve essere riconosciuto in virtù di una autonoma considerazione e non possa viceversa considerarsi incluso nel mancato utile d’impresa, T.A.R. Lazio, Roma, sez. I, 7 marzo 2016, n. 2966, idem Cons. Stato, sez. VI, 9 giugno 2008, n. 2751.

[2] Cass. Civ., sez. III, 8 giugno 2015, n. 11794.

[3] Cons. Stato, sez. III, 2 aprile 2019, n. 2181; sez. V, 28 gennaio 2019, n. 697; sez. V, 27 marzo 2017, n. 1364; sez. IV, 20 febbraio 2014, n. 790; sez. V, 6 marzo 2013, n. 1357.

[4] È da rilevare, con riferimento alle procedure di evidenza pubblica aventi ad oggetto la raccolta e il trasporto di rifiuti, l’iscrizione all’Albo Nazionale dei Gestori Ambientali risulta un requisito di partecipazione alla gara e non di esecuzione del contratto, Cons. Stato, sez. V, 3 giugno 2019, n. 3727.

[5] Cfr. Cons. Stato, Ad. Plen., 12 maggio 2017, n. 2; sez. V, 11 maggio 2017, n. 2184; sez. IV, 23 maggio 2016, n. 2111.

[6] Cons. Stato, sez. V, 8 agosto 2014, n. 4248, dove si richiede di soddisfare l’onere allegatorio, ancor prima che probatorio.