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Articolo Pubblicato il 3 Agosto, 2017

Accordi di pianificazione e perequazione urbanistica

Accordi di pianificazione e perequazione urbanistica

Gli accordi di pianificazione e la perequazione urbanistica costituiscono dei modelli di governance del territorio, attuativi dei principi costituzionali di partecipazione e sussidiarietà, che ammettono il partenariato pubblico – privato nel perseguimento dell’interesse pubblico o generale ad un regolare, armonico e sostenibile sviluppo economico – sociale di un’area determinata (ex art. 97 Cost.), garantendo un equilibrato scambio di utilità tra la pubblica amministrazione (P.A.), titolare di una potestà pubblica di cura e promozione collettiva (ex art. 3, comma 2 del d.lgs. n. 267/2000, cd. TUEL), e il privato, portatore di bisogni individuali di natura economica e dai contorni trasmissibili dei diritti estrinsecazione dello ius aedificandi, anche in relazione alla “funzione sociale” della proprietà (ex artt. 41 e 42 Cost.).

Le convenzioni urbanistiche o gli accordi di pianificazione, nel modello procedimentale disciplinato in via generale dall’art. 11 della legge n. 241/90 e dalle normative regionali di settore, hanno lo scopo principale di disciplinare i rapporti giuridico – patrimoniali (negoziali) tra la P.A. e il privato investitore/promotore, trasformando e rigenerando gli spazi urbani, in termini di innovatività e qualità, attraendo risorse economiche per il raggiungimento di target migliorativi della qualità delle infrastrutture/servizi a rete e del benessere collettivo, in una dimensione ottimale della cd. smart city.

La prevalenza di strumenti civilistici e di semplificazione amministrativa danno un significato dinamico alle politiche urbane di trasformazione territoriale, includendo processi di partecipazione condivisa con la popolazione mediante strumenti aperti di consultazione (ex art. 22 del d.lgs. n. 50/2016, il cd “dibattito pubblico”), sostenendo un progressivo beneficio per le popolazioni interessate che vedono la realizzazione di opere di interesse generale diversamente non ritraibili con gli stanziamenti delle Amministrazioni locali, o con un carico aggiuntivo o di scopo sulla propria capacità contributiva (alias aumento della tassazione locale).

Risulta evidente che la copianificazione sul “governo del territorio” richiede una procedura “trasparente” e “partecipata” su tutta la filiera del processo di trasformazione e riqualificazione urbana, dovuta principalmente alla progressiva creazione di un valore di città compatibile con l’ambiente e il suo territorio, senza creare una frattura con il contesto culturale e sociale ma garantendo il giusto “rapporto di cambio”, tra la destinazione originaria di un’area e quella successiva al suo sviluppo infrastrutturale ed edilizio.

È noto che il “governo del territorio” rappresenta da sempre, e viene percepito dai cittadini, come un’area ad elevato rischio di corruzione, per le forti pressioni di interessi particolaristici, che possono condizionare o addirittura precludere il perseguimento degli interessi generali, imponendo una misura specifica di prevenzione del rischio corruttivo, essendo tale specifico rischio trasversale e comune a tutti i processi dell’area “governo del territorio”, a prescindere dal contenuto (generale o speciale) e dagli effetti (autoritativi o consensuali) degli atti adottati (piani, programmi, concessioni, accordi, convenzioni): la gran parte delle trasformazioni territoriali ha conseguenze permanenti, che possono causare la perdita o il depauperamento di risorse non rinnovabili, prima fra tutte il suolo, le cui funzioni sono tanto essenziali quanto infungibili per la collettività e per l’ambiente, con il precipitato immediato di una puntuale misura di “trasparenza informativa”.

Diviene, in un’ottica di allertata “trasparenza”, doveroso stabilire che la perequazione urbanistica e le eventuali esigenze di consumo di suolo non vanno disgiunte con un possibile recupero e riqualificazione dell’esistente, dimensionando il profilo economico dell’investimento con il beneficio pubblico, realizzando un’equa e sostenibile distribuzione dei vantaggi e dei costi prodotti dalla pianificazione, coinvolgendo tutti i fattori di sviluppo locale e le tutele ambientali.

L’elaborazione pretoria annota che l’istituto perequativo, pur in assenza di una specifica previsione normativa, trova il suo fondamento in due pilastri fondamentali del nostro ordinamento, e cioè nella potestà conformativa del territorio di cui è titolare l’Amministrazione locale nell’esercizio della propria attività di pianificazione e, al contempo, nella possibilità di utilizzare modelli consensuali per il perseguimento di finalità di interesse pubblico, secondo quanto previsto dagli artt. 1, comma 1 bis e 11 della legge n. 241 del 1990, non ritenendo necessaria la presenza di puntuali norme che configurino in maniera specifica i modelli secondo i quali l’istituto stesso si può sostanziare.

Nell’esercizio della pianificazione, l’Amministrazione civica dispone di un ampio potere di delineare le previsioni aventi funzione perequativa, anche in certa misura adattando i modelli configurati dalla legislazione regionale al fine di renderli più aderenti alle proprie esigenze contingenti, escludendo che le previsioni normative in materia di perequazione urbanistica siano da reputare di stretta interpretazione.

Il potere dell’Amministrazione locale, nell’esercizio della potestà pianificatoria, è libero nel perseguimento dell’interesse generale, in coerenza con gli obiettivi di mandato, avendo da tempo chiarito la giurisprudenza che l’urbanistica, ed il correlativo esercizio del potere di pianificazione, non possono essere intesi, sul piano giuridico, solo come un coordinamento delle potenzialità edificatorie connesse al diritto di proprietà, così offrendone una visione affatto minimale, ma devono essere ricostruiti come intervento degli Enti esponenziali sul proprio territorio, in funzione dello sviluppo complessivo ed armonico del medesimo in aderenza alla tutela della propria popolazione insediata.

Uno sviluppo che tenga conto sia delle potenzialità edificatorie dei suoli – non in astratto, bensì in relazione alle effettive esigenze di abitazione della comunità ed alle concrete vocazioni dei luoghi –, sia di valori ambientali e paesaggistici, sia di esigenze di tutela della salute e della vita salubre degli abitanti, sia delle esigenze economico – sociali della comunità radicata sul territorio, sia, in definitiva, del modello di sviluppo che si intende imprimere ai luoghi stessi, in considerazione della loro storia, tradizione, ubicazione e di una riflessione “de futuro” sulla propria stessa essenza, svolta – per autorappresentazione ed autodeterminazione – dalla comunità medesima.

Sotto il profilo qui considerato, la realizzazione di uno spazio urbano centrale, per es. destinato a rafforzare e ricucire le relazioni con le aree degradate delle zone edificate esistenti, esige una valutazione complessiva dell’intervento, giustificando i benefici pubblici nell’ambito dell’accordo pubblico – privato, rendendo conto dei diversi fattori di analisi, della classificazione vigente (destinazione di PRG, piano regolatore generale, o PAT, piano assetto del territorio, o PI, piano degli interventi) e del suo mutamento (nuova destinazione), della congruità del diverso uso del suolo avanzata, su richiesta del privato, e traducendosi in un effettivo incremento di valore di mercato dei beni (terreni e/o immobili).

L’attribuzione di capacità edificatoria aggiuntiva o l’aumento degli indici previsti per le aree oggetto di trasformazione, a seguito della variante urbanistica in attuazione dell’accordo di pianificazione, risulta determinante sulla quantificazione economica del plusvalore di mercato, producendo effetti diretti sul regime dei suoli consiste nell’ampio inquadramento delle scelte attinenti alla trasformazione delle aree e deve necessariamente essere determinato secondo un modello di stima dell’incremento di valore indotto dall’accordo.

È utile rappresentare che la pianificazione urbanistica dimostra diverse soluzioni di raccordo tra pubblico e privato:

  1. la perequazione, mediante una distribuzione equa dei vantaggi di un intervento di trasformazione urbanistica tra i proprietari delle aree interessate o coinvolte;
  2. la compensazione, con la cessione all’Amministrazione di aree ed edifici oggetto di vincolo preordinato all’esproprio ai cessionari – in compensazione – diritti edificatori;
  3. l’incentivazione, assegnando un riconoscimento di un diritto edificatorio in funzione della riqualificazione sotto i diversi profili urbani, ambientali e paesaggistici.

La natura negoziale dell’accordo di pianificazione determina l’incontro delle volontà dei contraenti, quello pubblico in funzione dell’interesse generale enunciato nell’accordo, quello privato, nella realizzazione dell’intervento e della controprestazione a favore del pubblico: un do ut des in grado di motivare lo scambio prestazionale/patrimoniale tra una nuova destinazione e l’incremento di valore economico, ripartito tra i sottoscrittori del contratto ad oggetto pubblico, in un esercizio dinamico della discrezionalità amministrativa.

L’accordo tra soggetti pubblici e privati per assumere nella pianificazione proposte di progetti ed iniziative di rilevante interesse pubblico, sono pertanto finalizzati alla determinazione di alcune previsioni del contenuto discrezionale degli atti di pianificazione territoriale ed urbanistica, nel rispetto della legislazione e della pianificazione sovraordinata, senza pregiudizio dei diritti dei terzi.

L’accordo costituisce parte integrante dello strumento di pianificazione cui accede ed è soggetto alle medesime forme di pubblicità e di partecipazione, è recepito con il provvedimento di adozione dello strumento di pianificazione ed è condizionato alla conferma delle sue previsioni nel piano approvato.

L’accordo di pianificazione o il documento di Piano, inserito e/o richiamato per relation, introduce previsioni aventi contenuto dettagliato sugli ambiti di trasformazione, consistenti nell’ampio inquadramento delle scelte attinenti alla trasformazione delle aree di competenza dell’Amministrazione locale, comportanti – per sua stessa natura accanto alle previsioni urbanistiche margini di flessibilità nelle modalità per la realizzazione degli obiettivi di trasformazione, potendo stabilire spazi anche per l’individuazione delle “invarianti”, ossia dei profili ed aspetti che, nella visione strategica che presiede allo strumento, devono costituire i punti fermi della successiva negoziazione finalizzata alla predisposizione dei piani attuativi, ben potendo, nell’uso della discrezionalità amministrativa, definire il contenuto dell’accordo stesso.

Tali aspetti non negoziabili, o soggetti a limitata negoziazione, sono da ritenere legittimamente individuabili, in particolare, in corrispondenza di scelte che assumono carattere essenziale, costituendo il cardine per la realizzazione degli obiettivi previsti per la trasformazione dell’ambito urbano, oppure laddove indicazioni puntuali siano rese necessarie da esigenze correlate alla cura di interessi di rilievo costituzionale primario, quali quelli attinenti alla tutela della salute, dell’ambiente, del paesaggio e dei beni culturali.

In termini più puntuali, la causa del negozio e cioè l’interesse che l’operazione contrattuale è diretta a soddisfare, va valutata non con riferimento ai singoli impegni assunti, ma con riguardo alla oggettiva funzione economico – sociale del negozio (il cd. sinallagma), in cui devono trovare equilibrata soddisfazione sia gli interessi del privato che della pubblica amministrazione.

(Estratto, Accordi di pianificazione e perequazione urbanistica, L’Ufficio Tecnico, 2017, n. 9)