«Libero Pensatore» (è tempo di agire)

La terza sez. Bari del T.A.R. Puglia, con la sentenza 6 febbraio 2020 n. 205, interviene per definire i caratteri dell’organismo di diritto pubblico, analizzando le modalità di gestione di eventi fieristici da parte di una società privata.

La figura dell’“organismo di diritto pubblico” è stata introdotta nell’ordinamento nazionale per allargare la nozione di “Amministrazione aggiudicatrice” tenuta o meno al rispetto delle regole di evidenza pubblica nell’affidamento di pubbliche commesse, facendo ricorso a criteri elastici di definizione che trovano la propria collocazione nell’art. 3, comma 1, lettera d) del D.lgs. n. 50/2016, trattando in tale definizione «qualsiasi organismo, anche in forma societaria, il cui elenco non tassativo è contenuto nell’allegato IV:

1) istituito per soddisfare specificatamente esigenze di interesse generale, aventi carattere non industriale o commerciale (c.d. requisito teleologico);

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Organismo di diritto pubblico e gestione di servizi fieristici

Organismo di diritto pubblico e gestione di servizi fieristici

La terza sez. Bari del T.A.R. Puglia, con la sentenza 6 febbraio 2020 n. 205, interviene per definire i caratteri dell’organismo di diritto pubblico, analizzando le modalità di gestione di eventi fieristici da parte di una società privata.

La figura dell’“organismo di diritto pubblico” è stata introdotta nell’ordinamento nazionale per allargare la nozione di “Amministrazione aggiudicatrice” tenuta o meno al rispetto delle regole di evidenza pubblica nell’affidamento di pubbliche commesse, facendo ricorso a criteri elastici di definizione che trovano la propria collocazione nell’art. 3, comma 1, lettera d) del D.lgs. n. 50/2016, trattando in tale definizione «qualsiasi organismo, anche in forma societaria, il cui elenco non tassativo è contenuto nell’allegato IV:

1) istituito per soddisfare specificatamente esigenze di interesse generale, aventi carattere non industriale o commerciale (c.d. requisito teleologico);

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Il pronunciamento

La Corte Costituzionale con la sentenza 27 febbraio 2020 n. 36 riafferma un consolidato orientamento, ex art. 97, quarto comma, Cost., che esige il reclutamento del personale della P.A. tramite pubblico concorso, costituendo una regola che non ammette eccezioni se non a fronte a specifiche ipotesi di interesse pubblico idonee a giustificarle.

Viene dichiarata l’illegittimità costituzionale di una legge regionale che consentiva l’assunzione del personale nei ruoli della Regione senza concorso: un transito temporaneo sine die dal privato al pubblico nelle more delle procedure concorsuali.

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Accesso ai ruoli della P.A. mediante concorso

Accesso ai ruoli della P.A. mediante concorso

Il pronunciamento

La Corte Costituzionale con la sentenza 27 febbraio 2020 n. 36 riafferma un consolidato orientamento, ex art. 97, quarto comma, Cost., che esige il reclutamento del personale della P.A. tramite pubblico concorso, costituendo una regola che non ammette eccezioni se non a fronte a specifiche ipotesi di interesse pubblico idonee a giustificarle.

Viene dichiarata l’illegittimità costituzionale di una legge regionale che consentiva l’assunzione del personale nei ruoli della Regione senza concorso: un transito temporaneo sine die dal privato al pubblico nelle more delle procedure concorsuali.

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La prima sez. Brescia del T.A.R. Lombardia, con la sentenza n. 45 del 20 gennaio 2020, definisce le modalità per la concessione del servizio di gestione bar – ministore (idem per la concessione di spazi per macchine distributrici di alimenti e bevande) distinguendolo dalla mera locazione dello spazio adibito al servizio.

I motivi del ricorso:

  • assenza dei requisiti di idoneità professionale (iscrizione nel Registro delle Imprese per attività inerenti l’oggetto dell’appalto)[1];
  • attività prevalente e principale dell’aggiudicataria sarebbe quella inerente il servizio di vigilanza privata non armata, di guardiania, portierato e sorveglianza, con una parte residuale nell’attività di somministrazione alimenti e bevande, gestione bar, rivendita riviste e giornali;
  • costo medio del personale significativamente inferiore rispetto a quello indicato dalle tabelle ministeriali di riferimento.

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Affidamento in concessione di spazio per la distribuzione di coffe

Affidamento in concessione di spazio per la distribuzione di coffe

La prima sez. Brescia del T.A.R. Lombardia, con la sentenza n. 45 del 20 gennaio 2020, definisce le modalità per la concessione del servizio di gestione bar – ministore (idem per la concessione di spazi per macchine distributrici di alimenti e bevande) distinguendolo dalla mera locazione dello spazio adibito al servizio.

I motivi del ricorso:

  • assenza dei requisiti di idoneità professionale (iscrizione nel Registro delle Imprese per attività inerenti l’oggetto dell’appalto)[1];
  • attività prevalente e principale dell’aggiudicataria sarebbe quella inerente il servizio di vigilanza privata non armata, di guardiania, portierato e sorveglianza, con una parte residuale nell’attività di somministrazione alimenti e bevande, gestione bar, rivendita riviste e giornali;
  • costo medio del personale significativamente inferiore rispetto a quello indicato dalle tabelle ministeriali di riferimento.

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La sez. IV del Cons. Stato, con la sentenza n. 1011 del 10 febbraio 2020 interviene per definire i contorni del diritto ad agire a tutela dei propri interessi (in un concetto esteso) contro gli atti di programmazione urbanistica (delibera di Giunta regionale di adozione di una variante mirata all’approvazione del Piano urbanistico operativo, P.U.O.) finalizzati alla realizzazione di un “parco ludico-sportivo” in una zona del territorio comunale assoggettata a vincolo paesaggistico.

La realizzazione dell’intervento prevedeva la sistemazione di un’area estesa, con l’apporto e movimentazione di terre e rocce da scavo provenienti dalle opere del cosiddetto “terzo valico ferroviario”, e la successiva realizzazione di un parco per strutture sportive e di servizio, con parcheggi ed interventi sulla viabilità di collegamento e su un corso d’acqua.

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Vicinitas, dimostrazione del pregiudizio e interesse ad agire in ambito urbanistico

Vicinitas, dimostrazione del pregiudizio e interesse ad agire in ambito urbanistico

La sez. IV del Cons. Stato, con la sentenza n. 1011 del 10 febbraio 2020 interviene per definire i contorni del diritto ad agire a tutela dei propri interessi (in un concetto esteso) contro gli atti di programmazione urbanistica (delibera di Giunta regionale di adozione di una variante mirata all’approvazione del Piano urbanistico operativo, P.U.O.) finalizzati alla realizzazione di un “parco ludico-sportivo” in una zona del territorio comunale assoggettata a vincolo paesaggistico.

La realizzazione dell’intervento prevedeva la sistemazione di un’area estesa, con l’apporto e movimentazione di terre e rocce da scavo provenienti dalle opere del cosiddetto “terzo valico ferroviario”, e la successiva realizzazione di un parco per strutture sportive e di servizio, con parcheggi ed interventi sulla viabilità di collegamento e su un corso d’acqua.

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Con la sentenza n. 7 del 20 febbraio 2020, la sez. Unica del T.A.R. Valle D’Aosta analizza i poteri sindacali nel precludere un’attività che ha ingenerato allarme sociale, con conseguente necessità di tutelare l’incolumità delle persone e di garantire, altresì, l’ordine pubblico, unitamente all’esigenza di prevenzione dell’emissione di rumori molesti (inerenti all’attività di caccia).

Nella fattispecie, una serie di comitati e federazioni per la gestione venatoria ricorrono contro un’ordinanza sindacale (reiterata)[1], nel silenzio di una richiesta di rimozione in autotutela[2], con la quale è stata istituita una zona di divieto di esercizio dell’attività venatoria nel territorio comunale, con decorrenza immediata e fino alla sua eventuale revoca.

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Divieto di caccia, potere di ordinanza del sindaco e istruttoria adeguata

Divieto di caccia, potere di ordinanza del sindaco e istruttoria adeguata

Con la sentenza n. 7 del 20 febbraio 2020, la sez. Unica del T.A.R. Valle D’Aosta analizza i poteri sindacali nel precludere un’attività che ha ingenerato allarme sociale, con conseguente necessità di tutelare l’incolumità delle persone e di garantire, altresì, l’ordine pubblico, unitamente all’esigenza di prevenzione dell’emissione di rumori molesti (inerenti all’attività di caccia).

Nella fattispecie, una serie di comitati e federazioni per la gestione venatoria ricorrono contro un’ordinanza sindacale (reiterata)[1], nel silenzio di una richiesta di rimozione in autotutela[2], con la quale è stata istituita una zona di divieto di esercizio dell’attività venatoria nel territorio comunale, con decorrenza immediata e fino alla sua eventuale revoca.

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