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Articolo Pubblicato il 8 Gennaio, 2020

Potere di ordinanza, custodia animali e regole di condotta sulle deiezioni liquide

Potere di ordinanza, custodia animali e regole di condotta sulle deiezioni liquide

La sez. prima del T.A.R. Emilia Romagna, Parma, con la sentenza 2 dicembre 2019, n. 282, interviene per stabilire la legittimità di un atto dirigenziale che impone misure di natura pratica ai proprietari, possessori o detentori a qualsiasi titolo di cani, anche solo temporaneamente incaricati della loro custodia o conduzione, in relazione alle loro necessità essenziali di vita (c.d. deiezioni liquide), prevenendo l’asserito “pregiudizio igienico”.

La vicenda prende piede dall’impugnazione di un’ordinanza dirigenziale tesa a fornire una risposta ad «un disagio segnalato dai cittadini» conseguenza della «noncuranza con la quale sovente, le deiezioni liquide dei cani vengono lasciate dai loro detentori sui marciapiedi, strade, piazze pubbliche e di uso pubblico», dettando alcune regole di condotta per risolvere concretamente tale fenomeno di “trascuratezza” (e di educazione civica), pena l’applicazione di una sanzione amministrativa pecuniaria (ex art. 7 bis, comma 1, del D.Lgs. n. 267/2000).

I profili di censura sottolineavano (oltre all’indeterminatezza, proporzionalità e assenza di una preventiva verifica tecnica del servizio veterinario, compreso il decoro urbano) il contrasto dell’ordinanza dirigenziale con l’art. 23 della Costituzione, a norma del quale «nessuna prestazione personale o patrimoniale può essere imposta se non in base alla legge», che inibirebbe, in assenza di una espressa previsione nel senso, la possibilità di prescrivere l’obbligo di munirsi di «“opportuni contenitori d’acqua” per “bagnare adeguatamente l’urina nell’immediatezza dell’espletamento del bisogno fisiologico da parte del cane”».

Il ricorrente richiama, altresì, un precedente della Cassazione Penale n. 7082 del 12-18 febbraio 2015, laddove l’imputato – denunciato, ex art. 639, comma 2. c.p., «perché il suo cane aveva imbrattato un muro di rilevante pregio storico architettonico orinandovi sopra, trovava la propria assoluzione per assenza dell’elemento soggettivo del reato, avendo dimostrato che nell’immediatezza del fatto usava l’acqua della bottiglia che aveva con sé per lavare la deiezione», con lo scopo di censurare l’inutilità di una regola di condotta penalmente irrilevante.

A ben vedere, non si tratta di un atto che impone delle limitazioni sulla conduzione dei cani, né un obbligo di dotare gli animali di qualche presidio sanitario, ma quello di indicare ai loro proprietari/conduttori una regola di decoro urbano coerente con il dovere civico di mantenere pulito l’ambiente (e di minima educazione), soprattutto quando la responsabilità non può che ricadere sul soggetto che ha in custodia l’animale[1].

Neppure si impone una limitazione della libertà di circolazione delle persone o il divieto assoluto di introdurre cani, anche se custoditi, nelle aree pubbliche[2], oppure quello di vietare ai cittadini di condurre i propri cani sotto i portici, sui marciapiedi, sulle aiuole, sulle piazze del territorio comunale e all’interno di luoghi aperti al pubblico[3], sulle spiagge[4], rilevandosi – tali obblighi di pulizia urbana – coerenti con i principi di adeguatezza e proporzionalità, atteso che lo scopo perseguito dall’Ente locale non è solo quello di preservare il decoro urbano contro l’insudiciamento del suolo pubblico ad opera di cani ed altri animali, quanto quello di imporre a carico dei proprietari e detentori di animali di rimuovere immediatamente eventuali deiezioni liquide munendosi di un contenitore d’acqua per dissolvere le stesse[5].

Il collegio, in via preliminare, richiama:

  • una puntuale norma del Regolamento di Polizia Urbana dove si dispone che «è vietato condurre cani o altri animali senza portare con sé ed utilizzare gli strumenti opportuni per prelevare o contenere gli escrementi, che devono essere rimossi immediatamente per garantire l’igiene e la piena fruibilità degli spazi destinati alla collettività. La sola deroga a tale obbligo è prevista per i cittadini non vedenti, accompagnati da cani guida»;
  • un provvedimento consiliare (mozione nelle more di un’apposita modifica regolamentare) volto a ricomprendere, tra gli oneri di pulizia, anche «le deiezioni liquide degli animali».

Dal quadro descrittivo, il Tribunale di prime cure si sofferma sull’essenzialità della condotta da non mantenere per risolvere il caso, ovvero nella descritta omissione dal versamento di acqua in corrispondenza degli spazi interessati dalle deiezioni del cane, ritenendo del tutto inconferente soffermarsi:

  • sulla tipologia del contenitore dell’acqua per pulire, atteso che l’effetto utile è quello del versamento di acqua sulle deiezioni;
  • sulla mancanza istruttoria del coinvolgimento del servizio veterinario della AUSL atteso che la cura del decoro e della pulizia delle strade urbane è prerogativa comunale.

La lamentata violazione del principio di legalità, restringendo la libertà dei possessori/detentori di cani mediante imposizione di prestazioni non «desumibili chiaramente dagli interventi legislativi, che a loro volta devono porre limiti specifici, non esclusivamente finalistici», si presenta generica impedendo, quindi, di comprendere quali violazioni sarebbero incorse l’Amministrazione ove si consideri che la norma regolamentare impone una condotta che non pregiudichi «in qualsiasi modo l’igiene della propria e altrui abitazione, nonché di qualsiasi area o edificio pubblico o privato».

Stesse considerazioni sulla ipotizzata genericità dell’ordinanza relativamente alla prescritta idoneità del contenitore d’acqua, nonché, l’inattuabilità, la genericità e il carattere discriminatorio della stessa in ragione della mancata considerazione dell’età, dimensione e condizione di salute dell’animale che potrebbero di fatto “rendere impossibile” il rispetto della disposizione.

In termini diversi, la stesura dell’ordinanza risponde ad un preciso scopo che è quello elementare di pulire quando il proprio cane espleta i “bisogni naturali” nel suolo pubblico, dotandosi di quelle regole minime di pulizia che chiunque adotta nel proprio ambiente e che rispondono (con una certa similitudine) di un principio (comunitario) di chi “inquina paga”, per dire che bisogna pulire quando l’ambiente viene “sporcato” dalle deiezioni animali (solide o liquide)[6].

In effetti, l’analisi giuridica fatta dal giudice amministrativo è quella di verificare se lo scopo dichiarato (in parte a livello regolamentare/consiliare, e nello specifico a livello applicativo con l’ordinanza dirigenziale) possa o meno travalicare i limiti dell’esercizio del potere, secondo i canoni di imparzialità, logicità, congruità e ragionevolezza che costruiscono il limite invalicabile dell’ambito di discrezionalità riconosciuto alle Pubbliche Amministrazioni.

L’atto impugnato ripercorre (già nelle premesse) la motivazione del potere e il suo radicamento normativo (come previsto dal Regolamento di polizia urbana):

  • «la necessità di garantire la cura e il rispetto del territorio urbano»;
  • «l’immediata rimozione degli escrementi» per assicurare l’igiene e la piena fruibilità degli spazi urbani;
  • le funzioni comunali rientranti in quelle di «mantenere e migliorare le condizioni igieniche dell’ambiente»;
  • il divieto di «pregiudicare in qualsiasi modo l’igiene della propria e altrui abitazione, nonché di qualsiasi area o edificio pubblico o privato».

Si comprende – nella sua essenzialità – che l’ordinanza impugnata non solo risulta coerente con le previsioni del vigente Regolamento comunale, ma ne costituiscono una specificazione che si concreta in una pluralità di precetti già ricavabili in via interpretativa dalle disposizioni regolamentari richiamate e delle possibili sanzioni amministrative correlate alla violazione delle disposizioni e regolamenti comunali.

Nello sfondo del provvedimento, si scorge l’evidente volontà di fronteggiare comportamenti incivili da parte dei conduttori di cani, al fine di prevenire le negative conseguenze di tali condotte, con l’esercizio di poteri di prevenzione, vigilanza, controllo e sanzionatori di cui dispone l’Amministrazione (mediante la propria disciplina regolamentare)[7] e che dovrebbero appartenere alle elementari regole di buona educazione (civica), attinenti ai rapporti tra la singola persona e la Comunità dei cittadini, rispettando il bene comune.

[1] Sull’illegittimità di imporre un obbligo ai cani di razza e/o di indole aggressiva di esser condotti contemporaneamente con guinzaglio e museruola quando si trovano in luoghi aperti al pubblico, mancando una razionale giustificazione sulla scorta delle evidenze scientifiche, T.A.R. Liguria, sez. I, 11 ottobre 2017, n. 764.

[2] T.A.R. Campania, Salerno, sez. II, 30 marzo 2017, n. 642.

[3] T.A.R. Piemonte, sez. II, 9 giugno 2016, n. 829 e T.A.R. Puglia, Bari, sez. III, 16 marzo 2018, n. 359.

[4] T.A.R. Lazio, Latina, sez. I, 11 marzo 2019, n. 176, sull’illegittimità del divieto di accesso alle spiagge destinate alla libera balneazione per tutti gli animali da compagnia anche se sorvegliati e muniti di regolare museruola e guinzaglio. Cfr. T.A.R. Calabria, Catanzaro, sez. I, 28 maggio 2014, n. 225.

[5] T.A.R. Piemonte, sez. II, 18 maggio 2012, n. 593; T.A.R. Molise, Campobasso, sez. I, 17 febbraio 2014, n. 104; T.A.R. Lombardia, Milano, sez. III, 6 novembre 2013, n. 2431; T.A.R. Basilicata, sez. I, 17 ottobre 2013, n. 611.

[6] Ci si riferisce all’obbligo di bonifica in presenza di rifiuti abbandonati: un potere – dovere in capo all’Amministrazione di ordinare la rimozione e il ripristino dello stato dei luoghi in presenza di rifiuti abbandonati, dovendo esercitare senza indugio l’ordine non solo nei confronti di chi abbandona sine titulo i rifiuti (il quale realizza la propria condotta col dolo e con l’animus derelinquendi), ma anche del proprietario o del titolare di altro diritto reale cui la violazione sia imputabile a titolo di dolo o di colpa, Cons. Stato, sez. V, 10 giugno 2014, n. 2977; Cons. Stato, Ad. P., 22 ottobre 2019, n. 10; sez. V, 8 luglio 2019 n. 4781 e 14 marzo 2019, n. 1648; T.A.R. Calabria, Reggio Calabria, 2 luglio 2019, n. 437; Cass. Civ., sez. III, 17 luglio 2019, n. 31310.

[7] T.A.R. Campania, Salerno, sez. II, 28 luglio 2015, n. 1752 e 30 marzo 2017, n. 642; T.A.R. Potenza, 17 ottobre 2013, n. 611; T.A.R. Reggio Calabria, 28 maggio 2014, n. 225; T.A.R. Milano, 22 ottobre 2013, n. 2431; T.A.R. Sardegna, 27 febbraio 2016, n, 128; T.A.R. Veneto, 12 aprile 2012, n. 502.