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Articolo Pubblicato il 15 Luglio, 2020

Danni causati da animali selvaggi e profili di responsabilità

Danni causati da animali selvaggi e profili di responsabilità

La sez. III della Corte di Cassazione, con l’ordinanza 6 luglio 2020 n. 13848, dipana la soluzione sui profili di responsabilità imputabile (alias risarcimento del danno non ai sensi dell’art. 2043 c.c. ma dell’art. 2052 c.c.) alla Regione (e non della Provincia o del Parco Nazionale) a seguito di un impatto tra un veicolo e due cervi.

La responsabilità veniva riconosciuta per effetto della mancata attivazione di barriere di protezione o di altri strumenti volti ad evitare danni del tipo di quello verificatosi nell’area interessata dal sinistro, essendo la Regione deputata al controllo della fauna selvatica, mentre la Provincia, pur avendo funzioni delegate, rimane priva di responsabilità per il mancato trasferimento di poteri e risorse.

A fronte di tale prospettazione la Regione ricorrente afferma che «la responsabilità aquiliana per danni da fauna selvatica andrebbe ascritta esclusivamente alle Province, sul rilievo che ad esse spetta l’esplicazione delle concrete funzioni amministrative e di gestione della fauna, nell’ambito del loro territorio, in forza di compiti, rilevanti, di volta in volta attribuiti dalle singole leggi regionali».

L’interessato nel controricorso ribadisce la responsabilità unica della Regione per i danni causati da incidenti stradali, non altrimenti risarcibili, operando anche sulla base della qualificazione della strada (come regionale) e delle previsioni di cui agli artt. 2051 e 2043 cod. civ. per cattiva o omessa custodia del tratto di strada, in special modo per la mancata segnalazione della presenza, in zona, di fauna selvatica (salvo il caso fortuito o l’imprevedibilità/immediatezza dell’evento pur nella sussistenza di una condotta diligente).

La Corte, nel respingere il ricorso della Regione, inquadra il soggetto tenuto a risarcire il danno cagionato dalla fauna selvatica (nella fattispecie dell’incidente stradale) all’interno del territorio regionale, con le seguenti motivazioni (per l’esatta osservanza e l’uniforme interpretazione della legge, e con esse l’unità del diritto oggettivo nazionale):

  • in prima analisi giuridica, si supera l’orientamento tradizionale che ravvisava la fauna selvatica una “res nullius”, con conseguente impossibilità del ristoro dei pregiudizi dalla stessa cagionati (la competenza affidata in generale alle Regioni, per la caccia e la tutela della fauna alle Provincie)[1];
  • il danno cagionato dalla fauna selvatica non è risarcibile in base alla presunzione stabilita dall’art. 2052 cod. civ., inapplicabile per la natura stessa degli animali selvatici, ma soltanto alla stregua dei principi generali sanciti dall’art. 2043 cod. civ. (orientamento poi modificato), anche in tema di onere della prova, e perciò richiede l’individuazione di un concreto comportamento colposo ascrivibile all’ente pubblico[2];
  • non sussiste una irragionevole disparità di trattamento tra il privato, proprietario di un animale domestico (o in cattività), e la Pubblica Amministrazione, nel cui patrimonio sono ricompresi anche gli animali selvatici[3];
  • la delega della Regione, dei propri compiti, alle Province non fa venir meno la titolarità di tali poteri e deve essere esercitata nell’ambito delle direttive dell’ente delegante[4];
  • un successivo orientamento esige, ai fini dell’individuazione della responsabilità, l’accertamento di un concreto comportamento colposo ascrivibile all’ente pubblico dei danni causati dagli animali selvatici in relazione ai soggetti che concretamente sono tenuti al controllo del territorio (sia per delega o concessione)[5], con una verifica puntuale dell’attribuzione dei poteri esercitati in termini di autonomia decisionale e di effettiva capacità di esercizio piuttosto che di “nudus minister”, senza alcuna concreta operatività[6], ovvero di titolarità della proprietà della strada, ove si è verificato il sinistro[7].

Da queste premesse, si analizza sotto il profilo letterale il criterio di imputazione, di cui all’art. 2052 «Danno cagionato da animali» c.c. riferito agli animali domestici (e non alla fauna selvatica), recante un criterio basato sulla violazione di un dovere di “custodia” dell’animale, da parte del proprietario o di chi lo utilizza per trarne un’utilità, anche non patrimoniale (ed è questo il criterio discretivo).

In dipendenza di ciò, il criterio oggettivo di allocazione della responsabilità, in forza del quale i danni causati dall’animale deve rispondere il soggetto che dallo stesso trae un beneficio (non tanto la custodia), in sostanziale applicazione del principio “ubi commoda ibi et incommoda”, con l’unica salvezza del caso fortuito.

Connessa a tale valutazione, e considerato che sussiste un diritto di proprietà statale in relazione ad alcune specie di animali selvatici (legge n. 157 del 1992), conseguenza che deriva non tanto dalla loro appartenenza al patrimonio indisponibile dello Stato, quanto, soprattutto, dall’essere tale regime di proprietà pubblica espressamente disposto in funzione della «tutela generale dell’ambiente e dell’ecosistema» che si realizza mediante il trasferimento della competenza normativa e amministrativa alle Regioni, «ed in capo alle Regioni che va imputata la responsabilità, ai sensi dell’art. 2052 cod. civ.».

In termini diversi, la responsabilità è imputabile al soggetto che per legge ne cura la tutela, salvo la dimostrazione del caso fortuito.

Il soggetto danneggiato dovrà dimostrare:

  • la dinamica del sinistro e il nesso di causalità, allegando le prove del pregiudizio lamentato dall’animale selvatico, oltre che l’appartenenza dell’animale stesso ad una delle specie oggetto della tutela, di cui alla legge n. 157 del 1992, o, comunque, che si tratti di animale selvatico rientrante nel patrimonio indisponibile dello Stato[8];
  • di avere fatto tutto il possibile per evitare il danno, cioè di avere, nella specie, adottato ogni opportuna cautela nella propria condotta di guida, ai sensi dell’art. 2054 «Circolazione di veicoli», comma 1, cod. civ.

Il soggetto deputato alla tutela, per andare esente da responsabilità, dovrà fornire la prova liberatoria del “caso fortuito” dimostrando che:

  • la condotta dell’animale si sia posta del tutto al di fuori della sua sfera di possibile controllo, quale causa autonoma, eccezionale, imprevedibile ed inevitabile del danno;
  • la condotta non era ragionevolmente prevedibile e/o che, comunque, non era evitabile, ciò anche «mediante l’adozione delle più adeguate e diligenti misure di gestione e controllo della fauna (e di connessa protezione e tutela dell’incolumità dei privati), concretamente esigibili in relazione alla situazione di fatto, purché, peraltro, sempre compatibili con la funzione di protezione dell’ambiente e dell’ecosistema cui la stessa tutela della fauna è diretta» (ossia, l’aver posto delle misure concrete tali da impedire effettivamente il danno)[9].

La sentenza, nella sua complessità espositiva ed innovativa, imputa la responsabilità – in caso di sinistro stradale causato dalla fauna selvatica – non tanto al responsabile/proprietario del tratto stradale ma da parte del soggetto che effettivamente è il titolare della cura, gestione e tutela dell’animale, avendo scrupolo di puntualizzare che, in caso di delega delle competenze, sia necessario verificare concretamente l’esercizio della delega, con il trasferimento di poteri e risorse; di converso, l’ente potrà andare esente da responsabilità se darà prova di aver adottato tutte le misure di sicurezza necessarie[10].

[1] I riferimenti normativi sono la legge 27 dicembre 1977, n. 968 (Principi generali e disposizioni per la protezione e la tutela della fauna e la disciplina della caccia) e la legge 11 febbraio 1992, n. 157 (Norme per la protezione della fauna selvatica omeoterma e per il prelievo venatorio).

[2] Cass. Sez. 3, ord. 27 febbraio 2019, n. 5722, Rv. 652994-01; in senso conforme, per limitarsi alle pronunce più recenti, Cass. Sez. 1, sent. 24 aprile 2014, n. 9276, Rv. 631131-01; Cass. Sez. 3, sent. 20 novembre 2009, n. 24547, Rv. 610178-01; Cass. Sez. 3, sent. 21 novembre 2008, n. 27673, Rv. 605619-01.

[3] Corte cost., ord. 4 gennaio 2001, n. 4.

[4] Cass. Sez. 3, sent. 21 febbraio 2011, n. 4202, Rv. 616849-01; Cass. Sez. 3, sent. 16 novembre 2010, n. 23095, Rv. 614666-01; Cass. Sez. 3, sent. 13 gennaio 2009, n. 467, Rv. 606148-01; Cass. Sez. 3, sent. 7 aprile 2008, n. 8953, Rv. 602462-01.

[5] Cass. Sez. 6-3, ordin. 17 settembre 2019, n. 23151, Rv. 655507-01; Cass. Sez. 3, ordin. 31 luglio 2017, n. 18952, Rv. 645378-01; Cass. Sez. 3, sent. 21 giugno 2016, n. 12727, Rv. 640258-01.

[6] Cass. Sez. 6- 3, ord. 17 settembre 2019, n. 23151, Rv. 655507-01; Cass. Sez. 3, sent. 21 giugno 2016, n. 12727, Rv. 640258-01; Cass. Sez. 3, sent. 6 dicembre 2011, n. 26197, Rv. 620678-01.

[7] Cass., Sez. 3, sent. 12 maggio 2017, n. 11785, Rv. 644198-01; Cass. Sez. 6-3, sent. 19 giugno 2015, n. 12808, Rv. 635775-01.

[8] Cass. civ., sez. III, ordinanza 11 dicembre 2018, n. 31957.

[9] Cfr., Cass. Sez. 3, ord. 18 giugno 2019, n. 16295, Rv. 654350- 01; Cass. Sez. 3, sent. 5 marzo 2019, n. 6326, Rv. 653121-01; Cass. Sez. 6-3, ordinanza 23 gennaio 2019, n. 1725, Rv. 652290-01.

[10] Cass. civ., sez. III, 28 agosto 2019 n. 21757, a commento vedi, Responsabilità in capo alla Provincia dei danni causati dalla fauna selvatica (cinghiali), mauriziolucca.com, settembre 2019.