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Articolo Pubblicato il 18 Maggio, 2019

Il costo della trasparenza e del diritto di accesso

Il costo della trasparenza e del diritto di accesso

La prima sez. del T.A.R. Toscana, con la sentenza 26 aprile 2019 n. 615, definisce i poteri dell’Amministrazione sulla determinazione dei costi in materia di accessibilità ed estrazione copia dei documenti amministrativi.

Si premette che la questione investe il diritto di accesso documentale (ex art. 22 della Legge n. 241/1990) considerato (prima dell’accesso civico inserito in quel processo di accountability che anima la recente riforma in tema di trasparenza, ex D.Lgs. n. 33/2013, secondo il modello FOIA)[1] il principale strumento di partecipazione, attese le sue rilevanti finalità di pubblico interesse: principio generale dell’attività amministrativa, finalizzato a favorire e ad assicurare l’imparzialità e la trasparenza dell’azione amministrativa: un istituto di controllo democratico delle decisioni amministrative da parte dei cittadini generalmente considerati, che sostanzia uno strumento a disposizione del singolo per tutelare propri interessi giuridici nei rapporti con l’Amministrazione pubblica.

Chi chiede i documenti non è un quisque de populo, ma è un soggetto “interessato” al documento, di regola privato (la norma include anche i portatori di interessi pubblici o diffusi), che abbia un interesse diretto, concreto e attuale, corrispondente ad una situazione giuridicamente tutelata e collegata al documento oggetto dell’istanza di accesso.

Tale diritto non costituisce una pretesa meramente strumentale alla difesa in giudizio della situazione sottostante, essendo in realtà diretto al conseguimento di un autonomo bene della vita, così che la domanda tesa ad ottenere l’accesso ai documenti è indipendente:

  • non solo dalla sorte del processo principale nel quale venga fatta valere l’anzidetta situazione;
  • ma anche dall’eventuale infondatezza o inammissibilità della domanda giudiziale che il richiedente potrebbe proporre una volta conosciuti gli atti[2].

Il diritto di accesso – quale principio generale dell’attività amministrativa – può subire limitazioni nei soli casi indicati dalla legge e non già sulla base di unilaterali valutazioni dell’Amministrazione in ordine alla maggiore o minore utilità dell’accesso, ai fini di una proficua tutela giurisdizionale delle posizioni soggettive dell’istante[3], oppure per l’introduzione di costi non previsti dalla legge.

Ciò posto, viene impugnato, da parte di un professionista, una deliberazione di Giunta comunale avente ad oggetto «Richieste di visione o estrazione di copie, riferite a pratiche giacenti presso gli archivi dell’Edilizia privata, presso l’Archivio storico e presso l’archivio di deposito di … – Approvazione nuove tariffe», con la quale si stabilisce per l’acquisizione della documentazione edilizia (estrazione e visione) un costo superiore ai meri costi di produzione, ovvero alla visione gratuita.

Il tema verte:

  • sola visione: costo zero, alias gratuita;
  • estrazione copia: solo costi di produzione, eventuali diritti minimi.

È noto, per ragioni di inquadramento giuridico, che in materia di costi per il rilascio di copia di documenti amministrativi:

  • il primo comma dell’art. 25 “Modalità di esercizio del diritto di accesso e ricorsi” della Legge n. 241/1990 dispone: «Il diritto di accesso si esercita mediante esame ed estrazione di copia dei documenti amministrativi, nei modi e con i limiti indicati dalla presente legge. L’esame dei documenti è gratuito. Il rilascio di copia è subordinato soltanto al rimborso del costo di riproduzione, salve le disposizioni vigenti in materia di bollo, nonché i diritti di ricerca e di visura»;
  • il sesto comma dall’art. 7 “Accoglimento della richiesta e modalità di accesso” del D.P.R. n. 184/2006 dispone: «In ogni caso, la copia dei documenti è rilasciata subordinatamente al pagamento degli importi dovuti ai sensi dell’articolo 25 della legge secondo le modalità determinate dalle singole amministrazioni. Su richiesta dell’interessato, le copie possono essere autenticate».

Altrettanto, è da riferire che il diritto di accesso non può essere limitato alla sola visione dei documenti, ma si estende necessariamente all’estrazione di copia degli stessi, ai sensi dell’art. 25, primo comma, della Legge. n. 241/1990, anche nel testo antecedente la riforma introdotta dalla Legge 11 febbraio 2005, n. 15[4], osservando che l’Amministrazione qualora intimata non può imporre una modalità di esercizio del diritto di accesso in sede di rilascio, con i relativi costi più onerosi rispetto all’eventuale richiesta originaria in bollo, avendo la P.A. un obbligo «di consentire l’accesso agli atti richiesti, anche mediante estrazione di copia semplice, previo pagamento da parte dell’istante dei soli costi di riproduzione e degli eventuali diritti di segreteria»[5].

Il Comune costituito ha eccepito:

  • il difetto di legittimazione ed interesse a ricorrere, avendo agito il ricorrente alla stregua di un quisque de populo;
  • nel merito, ha sostenuto che oggetto della delibera non sarebbe il diritto di accesso, di cui alla Legge 241/90, ma la “visione di pratiche” di archivio da parte di professionisti per finalità diversa dalla mera trasparenza.

Va detto che ai fini della legittimazione non è sufficiente addurre il generico e indistinto interesse di qualsiasi cittadino alla legalità o al buon andamento dell’attività amministrativa[6], ma è necessario che il richiedente dimostri che, in virtù del proficuo esercizio del diritto di accesso agli atti e/o documenti amministrativi richiesti, verrà inequivocabilmente a trovarsi “titolare” di poteri di natura procedimentale, volti in senso strumentale alla tutela di altri interessi giuridicamente rilevanti, che vengano a collidere o comunque a intersecarsi con l’esercizio di pubbliche funzioni e che travalichino la dimensione processuale di diritti soggettivi o interessi legittimi, la cui azionabilità diretta prescinde dal preventivo esercizio del diritto di accesso, così come l’esercizio del secondo prescinde dalla prima[7].

Riprendendo la sentenza, la giustificazione proposta risulterebbe, da una lettura del diritto di accesso ai documenti amministrativi bicefala:

  • «sarebbe istituto di garanzia del cittadino direttamente e personalmente interessato alla conoscenza di atti e documenti che lo riguardano, nell’ambito dei principi di trasparenza e partecipazione riferiti all’agire delle amministrazioni»;
  • mentre, per il professionista, «la richiesta di visione o rilascio di copie di atti contenuti nelle “pratiche” degli archivi comunali sarebbe riferita ad una platea di soggetti legittimati più vasta ed indeterminata. Si tratterebbe, solitamente, di richieste presentate da professionisti o “terzi” privati, i quali, rispettivamente, preferirebbero, per loro comodità, compulsare direttamente gli archivi pubblici anziché il committente, ovvero integrare lacune o smarrimenti dei fascicoli personali».

Il Giudice di prime cure, senza esitazione, ritiene il ricorso ammissibile e fondato (con condanna alla refusione delle spese di lite), rifacendosi (peraltro) ad un precedente tra le parti, ovvero alla «sentenza n. 11 del 2017… che ha deciso il ricorso con cui il Sig. … aveva impugnato una delibera precedente a quella oggetto dell’odierno gravame con la quale, parimenti, veniva sottoposta a tariffa l’estrazione di documenti dagli archivi edilizi».

La citata precedente sentenza n. 11/2017 (dove le spese venivano «eccezionalmente compensarsi in relazione alla complessità della questione di diritto sollevata e tenuto conto della non univocità della norma di riferimento») affermava:

  • preliminarmente l’ammissibilità del ricorso in presenza di un richiedente (geometra iscritto al relativo Albo professionale) che in tal modo faceva valere un titolo di legittimazione derivante dal proprio status professionale, comportante un accesso continuo agli archivi comunali e di conseguenza un presunto danno concreto riferibile ai limiti dell’accesso;
  • una «distinzione… impalpabile… quella fra diritto d’accesso riservato ai diretti interessati e richiesta di visione di pratiche formulata da “professionisti e terzi”», non percepibile alla stregua di almeno tre considerazioni:
  • a) anche il “diretto interessato” può accedere agli atti del procedimento mediante richiesta di visione della pratica, che è strumentale ad “esame ed estrazione di copia[8], costituenti contenuto del diritto in questione (ex 25, comma 1, della Legge n. 241/1990);
  • b) anche il “professionista o terzo interessato” possono far valere un proprio diritto d’accesso o per sé o per conto ed interesse di altri direttamente interessati (ex 7, comma 5 del D.P.R. n. 184/2006 recante il Regolamento sul diritto d’accesso), ad esempio, ad una pratica edilizia od urbanistica;
  • c) anche il titolare del diritto d’accesso è sottoposto alle stesse tariffe di “professionisti e terzi” qualora gli atti della pratica non siano “direttamente disponibili”;
  • l’art. 25, comma 1, della Legge n. 241/1990, il quale stabilisce che l’esame dei documenti è gratuito mentre il rilascio è subordinato al pagamento dei costi «salve le disposizioni vigenti in materia di bollo, nonché i diritti di ricerca e di visura» (ex 6 del citato D.P.R. n. 184/2006 sul Regolamento sul diritto d’accesso), sicché l’Amministrazione non può imporre diritti in misura contrastante con il principio di tendenziale gratuità del diritto d’accesso;
  • i “diritti”, non possono essere svincolati da criteri di ragionevolezza e proporzionalità, dovendo stabilire, nel caso di ordinarie ricerche di atti chiaramente indicati o agevolmente individuabili, un importo modesto, anche per non trasformare l’onere economico in un ostacolo al fondamentale e ormai diffuso esercizio del diritto di accesso o in una misura deterrente;
  • non è poi possibile duplicare i diritti attraverso la voce delle spese, dovendo attenersi al chiaro precetto normativo nel consentire soltanto il recupero delle spese di riproduzione (normalmente le fotocopie), vincolando l’Amministrazione a commisurare l’importo alla quantità di copie richiesta, senza la possibilità di introdurre delle soglie minime: la somma richiesta non potrà eccedere i prezzi medi praticati sul mercato, escluso ovviamente qualsiasi utile, non potendo l’Amministrazione ricavare profitti dall’esercizio di un’attività istituzionale connessa al diritto di accesso[9], e nemmeno equipararli a “diritti di istruttoria”, attinenti all’erogazione di servizi SUAP (il confronto con la disciplina dell’art. 43, comma 4, della Legge n. 449/1997, finanziaria 1998).

A fronte di questo chiaro precedente, il T.A.R. Toscana – con la sentenza della I sez. n. 615/2019 – si limita al richiamo sulla legittimazione del ricorrente e sul merito.

Il dato normativo, ricavabile dall’art. 25, comma 1, della Legge n. 241/1990, stabilisce che l’esame e l’ostensione dei documenti sono gratuiti, salvo il mero pagamento dei costi di riproduzione, non potendo tale facoltà di determinare i predetti costi e «spingersi fino ad elidere il principio di gratuità dovendo la stessa essere esercitata secondo il canone di ragionevolezza e proporzionalità».

Inoltre, il Tribunale conferma, ancora una volta, come «la distinzione fra diritto di accesso e visione delle pratiche non abbia fondamento normativo non potendo differenziarsi la natura del diritto a seconda che sia esercitato da un privato o da un professionista su incarico del primo».

In termini diversi e costanti nel tessuto normativo, giurisprudenziale e sociale (con il diritto di accesso civico generalizzato, ex art. 5 del D.Lgs. n. 33/2013) la garanzia del diritto di accesso costituisce un vero e proprio compito che la legge pone a carico della P.A. a garanzia della trasparenza che è valore pubblico ancor prima di tradursi in diritto individuale.

Si chiude riconfermando un principio giuridico di libertà secondo il quale i costi per l’esercizio del diritto di accesso, «per la parte che eccede il mero costo di riproduzione, vanno… finanziati attraverso la fiscalità (al pari di quanto avviene per gli altri diritti correlati al funzionamento del meccanismo democratico come quello di voto) senza che sia consentito trasferirli sul cittadino istituendo una vera e propria tassa extra ordinem».

I costi per il lavoro svolto dal personale per trovare le pratiche di archivio e tutti quelli connessi per le attività di ricerca e messa a disposizione della documentazione, sono a carico della P.A., anche se la documentazione è risalente nel tempo ed è molta.

Dobbiamo comprendere che se il cittadino o il professionista ha diritto pieno di accedere alla documentazione in base al diritto di accesso della Legge n. 241/1990, ma anche mediante il c.d. accesso civico generalizzato, ex comma 4 dell’art. 5 del D.Lgs. n. 33/2013, (dove si stabilisce che «Il rilascio di dati o documenti in formato elettronico o cartaceo è gratuito, salvo il rimborso del costo effettivamente sostenuto e documentato dall’amministrazione per la riproduzione su supporti materiali»)[10] non è lecito inserire costi che vanno oltre all’effettiva spesa di copia[11].

Il tutto porta (anche) a sostenere che se il rilascio avviene in formato elettronico (ad. es. file pdf o doc, ex artt. 20 ss. del CAD)[12] i costi di produzione si azzerano, ed è anche questo uno degli scopi della semplificazione e dell’accesso totale ai dati e documenti pubblici: un giusto bilanciamento tra la tutela da assicurare all’interesse da proteggere dalla disclosure e la tutela dell’interesse pubblico alla diffusione della informazione.

L’insieme delle questioni poste, vanno ben oltre al caso affrontato, e sottendono da una parte, l’impossibilità di inserire costi non giustificati per il rilascio dei documenti che costituiscono ostacoli effettivi al diritto d’accesso non voluti dal legislatore, dall’altra parte, il persistere nel denegare l’accesso può costituire fonte di danno erariale per l’Amministrazione, costretta ad affrontare spese di giudizio altrimenti ritraibili.

Le richieste di un professionista necessarie, per assolvere il proprio lavoro (ex art. 1 Cost.), o le esigenze generali della collettività, secondo l’istituto dell’accesso civico generalizzato, confluiscono in uno strumento di partecipazione/trasparenza all’attività dell’Amministrazione – sia in chiave di partecipazione al c.d. dibattito pubblico che in chiave difensiva/informativa – facendo attenzione che tali libertà primarie (ex art. 21 Cost.)[13] non possono essere utilizzate in maniera disfunzionale rispetto ai predetti fini, e non possono essere trasformate in una causa di intralcio al buon funzionamento dell’Amministrazione (ex art. 97 Cost.)[14], avendo sempre e comunque cura di non oscurare la “trasparenza” in ragione di un “costo di produzione” non trasferibile sul cittadino[15].

[1] Freedom of Information Act, la legge sulla libertà di informazione adottata negli Stati Uniti il 4 luglio 1966.

[2] Cfr. Cons. Stato, sez. V, 11 giugno 2012, n. 3398, Ad. Plen., 24 aprile 2012, n. 7; sez. V, 17 marzo 2015, n. 1370.

[3] Cfr. Cons. Stato, sez. IV, 28 luglio 2016, n. 3431; T.A.R. Campania, Napoli, sez. VI, 23 agosto 2017, n. 4115.

[4] T.A.R. Puglia, Lecce, sez. II, 16 febbraio 2007, n. 481, idem T.A.R. Piemonte, sez. II, 29 agosto 2014, n. 1458.

[5] T.A.R. Campania, Salerno, sez. I, 1 giugno 2017, n. 1010.

[6] Cfr. Cons. Stato, sez. VI, 10 novembre 2015, n. 5111.

[7] T.A.R. Lazio, Roma, sez. II bis, 31 marzo 2016, n. 3941 e sez. II, 11 gennaio 2016, n. 232.

[8] Cfr. T.A.R. Campania, Salerno, sez. II, 22 dicembre 2010, n. 13807 e T.A.R. Piemonte, sez. I, 16 marzo 2009, n. 754.

[9] T.A.R. Lombardia, Brescia, sez. I, 16 giugno 2008, n. 640.

[10] Si rinvia per una distinzione del diritto, T.A.R. Campania, Napoli, sez. VI, 9 maggio 2019, 2486.

[11] Ad es. i costi di riproduzione di foto devono essere limitati al costo reale di duplicazione, senza ulteriori pagamenti, T.A.R. Lombardia, Milano, sez. II, 26 maggio 2016, n. 1100, dove si osserva anche che la riproduzione fotografica in proprio rappresenta una modalità di esercizio dell’accesso senza oneri a carico della parte.

[12] Cfr. DPCM 13 novembre 2014 in tema di documento informatico; Agid, Linee guida sulla conservazione dei documenti informatici, Versione 1.0 – dicembre 2015.

[13] Il buon andamento della Pubblica Amministrazione rappresenta – in qualunque forma di accesso – un valore cogente e non recessivo, la cui sussistenza, tuttavia, non può essere genericamente affermata bensì adeguatamente dimostrata da parte dell’Amministrazione che nega l’accesso, Circolare della Funzione Pubblica 30 maggio 2017 n. 2/2017.

[14] Cfr. T.A.R. Lombardia, Milano, sez. IV, 16 ottobre 2017, n. 1971 e 9 marzo 2018, n. 669.

[15] Si rinvia ad un contributo di chi scrive, La parziale trasparenza non assicura il consenso informato: diamanti poco cristallini, mauriziolucca.com, 21 novembre 2018.