«Libero Pensatore» (è tempo di agire)
Articolo Pubblicato il 25 Giugno, 2016

La nuova dirigenza a chiamata

La nuova dirigenza a chiamata

Il Consiglio di Giustizia Amministrativa per la Regione Siciliana (C.G.A., sez. giurisdizionale), con la sentenza n. 163 del 16 giugno 2016, chiarisce la distinzione tra “fiducia” e “competenza”, tra nomina “tecnica” e nomina “politica”, riconfermando che il “buon andamento” della P.A. (precipitato diretto dell’art. 97 Cost.) mal si concilia con la revoca (ritiro designazione) ad personam, compromettendo insanabilmente la stabilità e la certezza dei rapporti giuridici.

Tale condizione impone una valutazione basata su requisiti tecnici di preparazione e di merito professionale, piuttosto che su legami amicali o fiduciari di appartenenza politica.

L’approdo consente di sostenere che in assenza di un collegamento di tal genere ex ante tra i due soggetti (il nominato e il designante) pretendere un eventuale collegamento ex post appare del tutto inammissibile, sicché è da escludere in radice che la cessazione del designante dalla carica legittimi il suo successore a revocare, per ciò solo, la designazione; né si può lecitamente ammettere che il cambio di maggioranza politica del nuovo designante possa costituire una valida regione di fatto che legittimi la rivisitazione dell’interesse pubblico.

Il fine (la c.d. finalizzazione dell’interesse pubblico) della designazione è l’individuazione di un soggetto in grado di rappresentare la funzione pubblica in posizione di terzietà, nonché dotato di competenza professionale, requisiti che non possono coesistere con legami diversi, strutturalmente e funzionalmente incompatibile con un legame fra il designante e il designato condizionato dalle sorti politico – amministrative del primo.

In conclusione, il Collegio conferma l’impostazione del primo Giudice, ritenendo illegittimo il ritiro della designazione fondato esclusivamente su fattori extra-ordinamentali, ovvero di natura fiduciarie e personale (la “natura fiduciaria dell’atto di designazione” e la “cessazione del mandato del soggetto designante”) tali da farli coincidere come un non meglio precisato “mutamento della situazione di fatto che ha determinato una nuova valutazione dell’interesse pubblico originario”: l’interesse pubblico è definito in modo generico tale da rendere impreciso il fine dell’atto, ovvero fondare legittimamente e in modo trasparente l’atto di ritiro.

Volendo trarre delle brevi riflessioni sovrapponibili per tabulas con la riforma della dirigenza in atto, con uno sguardo in modo chiaro agli artt. 97, primo e terzo comma, e 98, primo comma, della Costituzione, non si può dubitare che l’accesso alla dirigenza – così come le designazione di natura tecnica – dovrebbe avvenire con una procedura concorsuale piuttosto che con una call pubblica e/o un interpello con una motivazione sintetica se non addirittura assente, dovrebbe prevedere delle competenze specifiche e documentate, ma soprattutto non dovrebbero rispondere a (pre)requisiti di natura “fiduciaria”, pena la loro inammissibilità, in considerazione della volontà costituente che immaginava “I pubblici impiegati sono al servizio esclusivo della Nazione”.

A volo d’uccello, se viene in rilievo la “funzione istituzionale” svolta al servizio della Nazione, dell’interesse pubblico prevalente (non intuitu personae), che richiede da una parte, un’adeguata professionalità (titoli di studio e/o abilitazioni), dall’altra, un giusta distanza tra il nominato e il designante, come può profilarsi l’aspetto fiduciario, sinonimo di parzialità e assenza di neutralità?

Una volta avvenuta la nomina, il potere si esaurisce e prescinde dal collegamento diretto tra i due soggetti, essendo l’individuazione basata su profili di capacità e professionalità, estranei ad una logica di appartenenza o di condivisione politica: premesse che dovrebbero esercitarsi ab origine.

Nel vigente quadro costituzionale, l’indipendenza degli organi tecnici (e tra questi, la dirigenza) dagli organi politici costituisce un principio consolidato, direttamente riferibile all’art. 97 della Costituzione e sotto diversi aspetti recentemente riaffermato dalla legge 6 novembre 2012, n. 190.

Tale convincimento si fonda anche su una costante giurisprudenza della Corte Costituzionale che ha espresso un chiaro orientamento volto ad escludere l’esistenza di una “dirigenza di fiducia” e dunque la possibilità di un’interpretazione della normativa vigente nel senso di ammettere la scelta discrezionale, senza limiti, dei soggetti esterni all’ente cui conferire gli incarichi, nonché la necessità di forme di pubblicità che assicurino la trasparenza (misura di prevenzione della corruzione), procedure comparative (non discriminatorie), richiedendo una procedimentalizzazione dell’iter da seguire, ma soprattutto indipendenza e neutralità di esercizio ed esecuzione della funzione pubblica, nonché di stabilità e continuità della prestazione.

La scelta della dirigenza e/o la designazione di un organo tecnico, non può essere collegata a valutazioni di natura fiduciaria, a selezioni (para)concorsuali incapaci di garantire – effettivamente – l’individuazione dei migliori e più capaci (ma una rosa di possibili eletti), la rotazione quale forma di spoil system degli incarichi di vertice, si apprestano a riscrivere i fondamenti dell’accesso al pubblico impiego con regole che poco rispondono all’attuale tessuto costituzionale: l’individuazione intuitu personae sottrae la scelta a criteri obiettivi, ancorandola invece ad una valutazione soggettiva di affidabilità (e di connessa precarietà).

L’accesso al pubblico impiego, ancorché privatizzato, impone un sistema di reclutamento finalizzato ad una rigida applicazione del principio costituzionale di “riserva di legge”, di cui alle prefate norme costituzionali, specie se la selezione sia finalizzata alla copertura di posti ove sia richiesta una specifica professionalità: la regola del pubblico concorso offre le migliori garanzie di selezione dei più capaci, in funzione dell’efficienza della stessa amministrazione, e tale regola è possibile apportare deroghe solo se particolari situazioni ne dimostrino la ragionevolezza, non certamente per assecondare profili di fiduciarietà politica (caso diverso, per gli uffici alle dirette dipendenze degli organi elettivi).

La separazione tra “politica” e “amministrazione” necessiterebbe di assicurare questa “separazione” e “autonomia” sotto il profilo sostanziale, impedendo il consolidamento dell’esercizio di un’azione amministrativa svincolata dall’interesse pubblico generale, servente ad una (sola) parte, alterando inesorabilmente la democrazia e le sue libertà.

(Estratto, Nomine tecniche, dirigenza a termine e spoils system: un rapporto inconciliabile* (nota di commento della sentenza del C.G.A. 16 giugno 2016, n. 163), LexItalia.it, 22 giugno 2016)