«Libero Pensatore» (è tempo di agire)
Articolo Pubblicato il 26 Maggio, 2013

La rotazione degli incarichi non ha finalità disciplinari

La prima sezione del T.A.R. Marche con la sentenza 23 maggio 2013 n. 370 interviene sul criterio di rotazione degli incarichi che non può prescindere dalla verifica – accertamento della professionalità del titolare dell’incarico: tutto questo ai fini di non procedere a un depauperamento delle risorse umane di cui l’Ente locale dispone.

Il decreto Sindacale, in sede di affidamento degli incarichi dirigenziali, in applicazione del principio di rotazione degli stessi incarichi, che ha trasferito un architetto a dirigere il Settore Affari Generali e un ingegnere a dirigere il Settore della Polizia Municipale dell’Ente contrasta con i principi di buon andamento in quando non vi è stata alcuna motivazione sulla verifica della professionalità limitandosi al richiamo del principio della rotazione.

È noto (T.A.R. Liguria, Genova, sez. I, 19.10.2007) che l’assegnazione o attribuzione del procedimento da parte del dirigente/responsabile del servizio integra una delega di funzioni ed in casi specifici la delega di firma (con competenza ad adottare l’atto finale).

Si tratta di una attribuzione di compiti: “organizzazione/distribuzione” di compiti comunque istituzionali. Compiti che non sono qualificabili né come particolari e, tantomeno, si tratta di attribuzioni di mansioni superiori.

L’attribuzione ad altro soggetto del procedimento amministrativo non libera il dirigente/responsabile delle proprie responsabilità anzi determina il sorgere di ulteriori (rispetto a quella sul generale sull’azione amministrativa decisa) precise responsabilità definite in eligendo ed in vigilando; la prima riguarda proprio lo specifico momento dell’individuazione del soggetto che si intende porre a capo della gestione del procedimento (il responsabile del servizio risponde dell’eventuale inadeguatezza del soggetto individuato); la responsabilità in vigilando che riguarda l’approccio rispetto al concreto sviluppo del procedimento in ordine alle attività concrete espletate ed alla sua conclusione (il responsabile del servizio risponde comunque in caso di omissioni intervenute durante lo svolgimento della procedura senza che si sia determinato – in modo colpevole – ad adottare le misure necessarie ed opportune ad evitare ogni lacuna/interruzione, può spingersi al potere di avocazione della procedura e/o la sua eventuale rassegnazione).

Segue in parte estratto sentenza.

Il caso: il Sindaco pro tempore, in dichiarata applicazione del "principio di rotazione degli incarichi dirigenziali", trasferisce alcuni dirigenti in settori diversi: dalla semplice lettura della deliberazione di G.M. si conferma che all’ing. è stato affidato, sia pure a titolo sperimentale e per la durata di un mese (e si ignora che cosa sia accaduto nel prosieguo), l’incarico di dirigente del Settore Lavori Pubblici – Area Tecnica.

Inoltre, nel preambolo della deliberazione si dà atto che il predetto ing. va a sostituire l’ing., assegnato a dirigere altro Settore.

In ragione di quanto esposto e documentato dalla difesa del Comune, appare invece presumibile che il trasferimento dei ricorrenti ad altri incarichi abbia avuto funzione sanzionatoria.

A tal proposito è necessario che la P.A., nell’esercizio del potere discrezionale alla stessa conferito, operi in modo tale da assicurare la corrispondenza tra il potere esercitato ed il risultato concretamente perseguito; ciò nel rispetto dei principi di nominatività e di tipicità che caratterizzano l’azione della pubblica amministrazione, i quali esigono che ogni potere, cui è correlata la tutela di un determinato interesse pubblico, venga esercitato entro i limiti e per gli scopi per i quali detto potere è stato attribuito.

È illegittima, per eccesso di potere sotto il profilo dello sviamento, una delibera con la quale un ente locale ha operato una riduzione dell’indennità di funzione attribuita ad un funzionario in ragione dell’incarico di primo dirigente dallo stesso ricoperto motivata facendo riferimento ad una serie di addebiti contestati al dipendente stesso e relativi a presunte inadempienze lavorative, a ritardi nello svolgimento dei compiti e più in generale da un giudizio di inefficienza, cui si è aggiunto il richiamo ad una precedente sanzione disciplinare.

In tale ipotesi, infatti, il potere esercitato dall’amministrazione appare divergere dalla finalità per la quale lo stesso è stato previsto (premiare la professionalità e l’efficienza del dirigente con un’indennità economica aggiuntiva), per orientarsi diversamente a "punire" il dirigente con la riduzione dell’indennità per comportamenti giudicati non corretti e causa di rallentamenti ingiustificati delle pratiche allo stesso affidate (T.A.R. Veneto, sez.II, 28 giugno 2006, n.1926).

Nel merito: è certamente vero che, a seguito della riforma del pubblico impiego del 1993, sul dirigente incombe una responsabilità di tipo manageriale, ossia legata ad una valutazione complessiva dei risultati conseguiti della struttura che egli dirige in relazione agli obiettivi periodicamente fissati dagli organi di direzione politica dell’ente, ma è anche vero che l’imputazione della responsabilità presuppone di necessità che il dirigente sia posto in condizione di poter controllare l’operato dei funzionari adibiti alla struttura. Si ricordi, fra l’altro, che proprio nell’organizzazione degli enti locali le deliberazioni consiliari e giuntali debbono essere munite del parere di regolarità tecnica rilasciato dal dirigente del settore competente, dal che discendono rilevanti conseguenze in termini di responsabilità amministrativo-contabile (art. 53 L. n. 142/1990).

Ma, per fare un esempio banale, si pensi alla deliberazione con cui la Giunta approva il progetto di un’opera pubblica: su tale delibera deve esprimere il parere di regolarità tecnica il dirigente dell’ufficio lavori pubblici, il quale deve essere in grado di "leggere" gli elaborati tecnici predisposti dall’ufficio.

Fra l’altro, le stesse norme invocate dal Comune, pur prevedendo il criterio della rotazione degli incarichi, fanno salve quelle mansioni per il cui svolgimento sia richiesto il possesso di specifiche professionalità e, soprattutto, di titoli di studio e/o abilitazioni particolari (oltre all’art. 19 del D.Lgs. n. 29/1993, si veda proprio l’art. 26, comma 2, del citato regolamento comunale sulla mobilità e le progressioni dei dipendenti). Sotto questo profilo, non c’è dubbio alcuno sul fatto che l’ingegnere e l’architetto debbono essere in possesso di abilitazione rilasciata a seguito del superamento del c.d. esame di Stato (vedasi gli artt. 4 e 62 del R.D. n. 2537/1925).

Tornando poi al criterio della rotazione degli incarichi, per restare all’esempio del Comune, è certamente vero che un dirigente in possesso della laurea in giurisprudenza può essere chiamato indifferentemente a dirigere l’Ufficio Affari Generali o l’Ufficio Contratti o il Settore Pubblica Istruzione e Servizi Sociali o financo il Settore Urbanistica o la Polizia Municipale; ciò in quanto il corso di laurea in giurisprudenza impartisce allo studente nozioni che sono in qualche modo trasversali ai settori sopra indicati.

Ma non è vera la reciproca, in quanto un ingegnere o un architetto non dispongono certo della preparazione più adeguata per dirigere settori in cui sono preponderanti i profili giuridico-amministrativi e del tutto assenti quelli tecnici (ma lo stesso è a dirsi, ad esempio, in relazione a professioni sanitarie, quale ad esempio quella di farmacista – che non può che essere incaricato della direzione della farmacia comunale – o di geologo – che non può che essere impiegato nei settori tecnici, quale ad esempio il Settore Ambiente).

Ma, in ogni caso, il discorso non regge quando, al fine di realizzare il principio di rotazione, l’ente destina i dirigenti in possesso di specifiche abilitazioni professionali a dirigere settori in cui tali professionalità non possono emergere in alcun modo e, per converso, pone a capo dei settori tecnici dirigenti in possesso di lauree afferenti le discipline umanistiche. In questo senso si realizza un evidente depauperamento delle risorse umane di cui l’ente dispone.

E non si deve nemmeno dimenticare che la rotazione non è sostanzialmente praticabile nei Comuni di più ridotte dimensioni, nei quali solitamente sono presenti in organico solo un ragioniere (il quale deve evidentemente essere posto a capo del settore finanziario) e un tecnico diplomato o laureato (il quale si deve occupare dei settori LL.PP., protezione civile, urbanistica, etc.).

Proprio per evitare tali inconvenienti l’art. 25 del più volte citato regolamento comunale sulla mobilità e le progressioni dei dipendenti impone che gli atti di affidamento degli incarichi dirigenziali (il precedente art. 24 stabilisce infatti che le disposizioni del capo IV si applicano anche alle qualifiche dirigenziali) siano motivati e diano conto dell’opportunità delle scelte compiute dal Sindaco.

Nella specie, il decreto impugnato non contiene alcuna motivazione specifica, se non il riferimento al criterio della rotazione, che però, come si è detto, non è il solo previsto dalle norme di riferimento.

E, fra l’altro, nella presente vicenda la illegittimità della decisione del Sindaco è confermata anche dal fatto che per coprire il posto lasciato vacante dall’ing. il Comune ha dovuto ricorrere ad un incarico esterno (il che rende palese il fatto che il dott. … non è stato ritenuto in possesso dei requisiti professionali adeguati per dirigere il Settore LL.PP.).