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Articolo Pubblicato il 27 Maggio, 2020

Limiti al diritto di accesso totale dei consiglieri (regionali) al sistema informatico

Limiti al diritto di accesso totale dei consiglieri (regionali) al sistema informatico

La sez. V del Consiglio di Stato, con la sentenza 26 maggio 2020 n. 3345, interviene per limitare il diritto di accesso dei consiglieri (regionali) al sistema informatico dell’Amministrazione «per la protocollazione degli atti e la conservazione della documentazione amministrativa, in uso… per la gestione di tutte le pratiche relative ai diversi settori dell’amministrazione»[1].

Precisavano gli istanti di aver avuto libero accesso nella precedente consiliatura, ed anche successivamente, all’insediamento della nuova Giunta, quando l’accesso era stato disabilitato solamente per l’area “Contabilità e patrimonio”.

Ne seguiva il rigetto dell’istanza «per ovvi motivi legati alla sicurezza dei dati», precisando, in sede di riesame, che il diniego era motivato dal fatto che «la concessione della richiesta abilitazione equivarrebbe ad un accesso indiscriminato e generale su non ben definiti atti d’ufficio, poiché deve sempre sussistere un legame diretto tra la richiesta di accesso stessa e lo specifico atto d’interesse», consentendo, così facendo, ai consiglieri, in mancanza di apposita istanza, ad un «monitoraggio assoluto e permanente sull’attività degli uffici in violazione della ratio dell’istituto che è conoscitiva e di controllo di una determinata informazione o di uno specifico atto dell’ente, siccome ritenuti strumentali al mandato politico, e non essenzialmente esplorativa, e così eccedente dal perimetro delle prerogative attribuite ai consiglieri».

In definitiva, non sono ammissibili richieste di accesso che si traducano in un eccessivo e minuzioso controllo dei singoli atti in possesso degli Uffici, correlato all’accesso diretto al sistema informatico senza filtri (rectius un accesso totale) non coerente con il munus publicum, in quanto siffatte richieste si configurano come forme di controllo specifico, non già inerente alle funzioni di indirizzo e controllo politico – amministrativo, demandate dalla legge al consigliere[2].

L’appello risulta infondato nei limiti di un accesso non tanto agli atti quanto sull’accessibilità indistinta al sistema informativo integrato, gestionale e direzionale, dell’Amministrazione, in una sorta di “grande fratello” digitale (oppure, di “grande inquisitore” nei I fratelli Karamazov), ben oltre alle informazioni utili per l’esercizio della funzione (o ai modelli FOIA), per coprire sulla forza di un diritto di accesso totale alla trasparenza informativa/documentale ad ogni segmento dell’attività amministrativa, ben oltre all’aspetto conoscitivo.

Infatti, si segnala subito che non si tratta di un diniego all’accesso ad un singolo documento amministrativo (ovvero a più, determinati, provvedimenti amministrativi), come è nelle controversie in siffatta materia (ex art. 116 Cod. proc. amm.); ma il diniego di «un’innovazione organizzativa radicale, che prescinde da singoli atti o documenti, e che consiste nella disponibilità da parte del consigliere regionale delle credenziali di accesso alla documentazione digitale o digitalizzata di tutta l’attività amministrativa regionale: tale da metterlo in condizione di avere immediato ingresso, a discrezione e senza una ragione particolare, a qualsivoglia – anche se allo stato indeterminato e indeterminabile – passato, presente o futuro atto o documento amministrativo contemplato dal sistema in discorso».

Una visione dell’agire pubblico che non trova riscontro nel diritto ma si trasforma in una esigenza pervasiva/invasiva di ingresso sull’intero sistema informatico tout court, indipendentemente da ogni relazione effettiva con i poteri di sindacato propri, per assurgere a strumento di vigilanza totale, senza distinzioni tra ragioni di pubblico potere e di privato potere, correlato alle esigenze del ruolo rivestito, una sorta di potere inquisitore che va oltre al senso le ragioni di giustizia sostanziale: «questa considerazione ne implica un’altra: qui non è in contesa la facoltà di accesso del consigliere regionale ad atti dell’amministrazione regionale – facoltà ampiamente evidenziata dalla giurisprudenza amministrativa (sin da Cons. Stato, V, 17 settembre 2010, n. 6963; V, 5 settembre 2014, n. 4525) – ma l’ingresso senza più forma, riscontro e vaglio in una strumentazione digitale che continuativamente permetta l’accesso a tutti – nei sensi detti – gli atti dell’amministrazione regionale».

Il giudice di seconde cure, spende più di qualche riflessione sul genere di azione intrapresa, circa l’oggetto del giudizio (che di suo lascia seriamente dubitare della praticabilità dell’azione in materia di accesso ex art. 116 cit.), rammentando che «le regole legali dell’accesso espressamente o implicitamente commisurano una ragionevole proporzione e un equilibrio tra gli opposti e meritevoli interessi coinvolti dall’accesso a documenti amministrativi»: si tratta di definire la c.d. misura dell’esercizio di un potere che non può giungere a oltrepassare la soglia dei cit. criteri.

In effetti, la definizione di tali regole corrisponde alla natura fondamentale di interessi che possono esservi antagonisti, come quello al rispetto della vita privata[3], all’ordine e alla sicurezza pubblica, al mantenimento del segreto d’ufficio (cfr. art. 326 Cod. pen.), ai dati riservati commerciali o industriali di terzi (cfr. art. 53 del d.lgs. n. 50 del 2016), o comunque al rispetto dell’immanente principio di buon andamento della pubblica amministrazione (art. 97 Cost.) che eleva a principio costituzionale la congruenza, l’adeguatezza e l’efficacia dell’azione amministrativa: ciò che, per la realtà delle cose, non è dato presumere sempre e comunque compatibile con l’indiscriminata accessibilità “totale al tutto”, in evidente lesione con il generale principio di proporzionalità che governa tutte le categorie di accesso conosciute, e pur riconosciute al consigliere, secondo l’analoga regola generale dell’art. 43 (Diritti dei consiglieri) del d.lgs. 18 agosto 2000, n. 267 (Testo unico degli enti locali).

A livello regionale l’esercizio del diritto di accesso è similare a quello dei consiglieri comunali, con i relativi limiti: non si tratta di un diritto assoluto, di un diritto illimitato, vista la sua potenziale pervasività e la capacità di interferenza con altri interessi primariamente tutelati.

Anche il diritto di accesso dei consiglieri (regionali) è finalizzato all’espletamento del mandato e costituisce il presupposto legittimante ma anche il limite dello stesso, configurandosi come funzionale allo svolgimento dei compiti del consigliere[4].

Occorre che un tale particolare accesso, per essere funzionalmente correlato al migliore svolgimento del mandato consiliare:

  • non incida sulle prerogative proprie degli altri organi regionali, a necessaria garanzia delle funzioni che a questi (Il Presidente e la Giunta), e non al Consiglio regionale, l’ordinamento attribuisce, nel quadro dell’assetto costituzionale dell’ente;
  • non sia in contrasto con il rammentato principio costituzionale di razionalità e buon funzionamento dell’azione amministrativa (art. 97 Cost.);
  • avvenga con modalità corrispondenti al livello di digitalizzazione della amministrazione (cfr. art. 2, comma 1, del d.lgs. 7 marzo 2005, n. 82).

Fatte queste premesse, si analizza il rapporto tra il consigliere e gli organi (della Regione) al fine di chiarire lo spazio del diritto di accesso e alla disponibilità delle informazioni e dei documenti amministrativi, rispetto al controllo politico, non amministrativo, del Consiglio (regionale), e di conseguenza del consigliere.

Si conclude che il consigliere (regionale), nella forma di governo definita dalla Costituzione, è improntata a replicare l’immanente principio di separazione dei poteri tra legislativo ed esecutivo, che non consente ai consiglieri di accedere a discrezione, in maniera costante e immediata (senza regole), all’intera massa degli atti e dei documenti amministrativi atteso che tale genere di sindacato ispettivo comporterebbe una seria alterazione, di fatto, della forma di governo perché inciderebbe sulla funzionalità dell’Amministrazione e sull’inerente responsabilità.

Un simile accesso del consigliere regionale, mutuabile anche per quello comunale, altererebbe il sistema dei pesi e contrappesi insito nella separazione tra i poteri e, contro il disegno costituzionale (e dell’ordinamento locale), si perverrebbe di fatto a una quasi cogestione dell’attività amministrativa, finendo «addirittura per dare al singolo consigliere regionale un potere che non ha il singolo parlamentare nella forma di governo parlamentare nazionale».

Si termina, conformando la sentenza di primo grado che ha stimato eccedenti le prerogative dei consiglieri la modalità di accesso agli atti del settore “Contabilità e patrimonio” dagli istanti richiesta e, di converso, legittima la decisione dell’Amministrazione regionale di limitare l’accesso a documenti e informazioni specificatamente individuati del settore in esame.

Stesse conclusioni, già espresse a suo tempo in sede di commento della sentenza della prima sez. del T.A.R. Molise, del 3 settembre 2019 n. 285, dove si affermava che una dimensione, così pensata, del diritto di accesso on line se da una parte, collide con le misure di sicurezza (che potrebbero essere, comunque, assunte), dall’altra, costituirebbe un’alterazione all’esercizio della funzione del consigliere, per costituire una figura mostruosa e mitica (Leviathan) già descritta dall’inglese HOBBES, in una visione assoluta del potere privo di riscontri nella sua modernità (scrissi), ma oggi, più di ieri, in linea con lo strapotere della dittatura COVID-19 (ecco il riscontro inaspettato), dove attraverso la decretazione d’urgenza, di natura (ex)emergenziale e di dirette facebook, si continuano a limitare i diritti di libertà fondamentali (a parte la “Fase 2”), pretendendo di controllare e tracciare i movimenti delle persone, addirittura assoldando gli “ascoltatori civici”, volontari a cui affidare poteri di vigilanza sul comportamento umano (il distanziamento sociale), dimenticando le regole minime del diritto (e quelle elementari, non scritte, del “buon senso”), nonché i principi di bilanciamento (proporzionalità) tra “Autorità” e “Libertà”, tra “Giustizia” e “Legalità”, un tempo primarie dimensioni della democrazia: è pur sempre possibile un rimedio.

[1] Vedi, Limiti (abuso) del diritto di accesso del consigliere (regionale, provinciale e comunale) alle credenziali del sistema informatico, mauriziolucca.com, settembre 2019, dove si evidenziava che «un accesso “a distanza”, così voluto, altererebbe i principi di democrazia che si vorrebbero tutelare, andrebbe ben oltre alla “trasparenza amministrativa” e ai fondamenti costituzionali di uguaglianza, sarebbe invasivo e sproporzionato rispetto al fine non bilanciando le posizioni delle parti e gli interessi sottesi, trasformandosi inesorabilmente in un pericolo alle libertà individuali e dei cittadini, e alla loro riservatezza».

[2] Cons. Stato, sez. V, 28 novembre 2006, n. 6960.

[3] Corte cost., 21 febbraio 2019, n. 20.

[4] Cfr. Cons. Stato, sez. V, 2 gennaio 2019, n. 12.