«Libero Pensatore» (è tempo di agire)
Articolo Pubblicato il 6 Giugno, 2014

Motivazione e affidamento diretto

La procedura negoziata, senza pubblicazione del bando di gara, presenta caratteri di eccezionalità e limiti ben definiti dalla norma dell’articolo 57 del D.Lgs. n.163/2006, con la conseguenza che è richiesta una congrua motivazione prima di procedere a questo genere di affidamento, tutto ciò per giustificare l’alterazione della concorrenza a vantaggio di un unico operatore economico.

L’insieme porta a ritenere che ogni affidamento diretto è legittimo purchè possa rinvenirsi, nel percorso motivazionale (ex art.3 della Legge n.241/90), circostanze particolari delineate expressis verbis dalla norma, senza lasciare alcun margine di apprezzamento al responsabile del procedimento per sottrarsi a tale comando, facendo rientrare la singola fattispecie nel caso generale, poiché la disciplina ha un carattere dichiaratamente eccezionale e non può essere disattesa mediante indizione di gare con condizioni impraticabili (in partenza destinate ad andare deserte) o sulla base di mere valutazioni ipotetiche, e ciò allo scopo di propiziare la susseguente procedura negoziata[1].

La sezione prima del T.A.R. Veneto, con la sentenza del 14 maggio 2014 n. 633, interviene rimarcando tali principi normativi posti a presidio della concorrenza, della par condicio, della libertà economica.

La questione parte dall’affidamento diretto, acquisita una nota prefettizia di impulso, con deliberazione di Giunta comunale di una concessione (ex art. 30 D.Lgs. n. 163/2006) del servizio di “ripristino delle condizioni di sicurezza stradale e di reintegra delle matrici ambientali”, compromesse a seguito del verificarsi di incidenti stradali occorsi sulla rete comunale, in virtù di apposita “convenzione”, per la durata di quattro anni a decorrere dalla sottoscrizione della stessa.

Tralasciata la questione sul titolare della competenza gestionale, il Tribunale giunge al pronunciamento, sulle legittime modalità e sull’onere motivazionale per l’affidamento di una concessione di servizi, attraverso un’attenta analisi dei riferimenti comunitarie e nazionali in tema di “concorrenza”, riconfermando i principi in materia di “trasparenza e pubblicità” delle procedure di affidamento, anche nelle ipotesi di “concessione di servizi”.

Si chiarisce che per la “concessione di servizi” l’individuazione del concessionario sottostà ai command del Trattato (25 marzo 1957) e dei principi generali relativi ai contratti pubblici (e, in particolare, dei principi di trasparenza, adeguata pubblicità, non discriminazione, parità di trattamento, mutuo riconoscimento, proporzionalità), dovendo esperire – prima dell’affidamento – una “gara informale” proprio perché, come nel mercato degli appalti pubblici, il concessionario ricava un’utilità sfruttando economicamente servizi o beni pubblici che non sono disponibili in quantità illimitata; “gara informale” con la partecipazione necessaria di almeno cinque concorrenti (qualora sussistono in tale numero soggetti qualificati nell’oggetto della concessione) e con predeterminazione dei criteri selettivi, in una visone di comparazione tra più offerte prima di procedere all’individuazione del soggetto, evitando, così facendo, di alterare le ordinarie dinamiche del mercato globale degli operatori economici.

Le considerazioni che precedono portano il Giudice di prime cure a giungere ad una prima conclusione nel ritenere pacifico che la scelta del concessionario deve avvenire solo a seguito di una procedura competitiva e concorrenziale (non , ispirata ai principi dettati dal Trattato istitutivo dell’Unione Europea ed espressamente richiamata all’art. 2, primo comma, del codice dei contratti (ex D.Lgs. n.163/2006) ove sono scolpiti i principi comunitari in tema di procedure di aggiudicazione:

1.                  economicità;

2.                 efficacia;

3.                 tempestività e correttezza;

4.                 libera concorrenza;

5.                  parità di trattamento;

6.                 non discriminazione;

7.                  proporzionalità;

8.                 pubblicità.

A completezza di tale quadro normativo e con valore generale, applicabile a tutte le procedure di affidamento, vengono richiamate le disposizione del codice dei contratti[2] che ancorché non costituiscano per la stazione appaltante un vincolo diretto, non devono essere illogiche, arbitrarie, inutili o superflue e devono essere rispettose del “principio di proporzionalità”, il quale esige che ogni requisito individuato sia al tempo stesso necessario ed adeguato rispetto agli scopi perseguiti.

Ad esempio, è palesemente illegittima, per violazione del “principio di proporzionalità”, la clausola di un bando di gara per l’affidamento del servizio gestionale degli atti sanzionatori amministrativi relativi al codice della strada, che richieda, quale requisito necessario per la partecipazione alla procedura ad evidenza pubblica, l’iscrizione all’albo nazionale “dei soggetti privati abilitati ad effettuare attività di liquidazione, accertamento e riscossione dei tributi e di altre entrate delle province e dei comuni”, in assenza di una utile giustificazione, essendo (tale requisito) richiesto in caso di riscossione e non per la semplice gestione del servizio[3].

Alla luce di tali considerazioni prospettiche (si legge nella sentenza), l’esercizio concreto del potere discrezionale deve essere funzionalmente coerente con il complesso degli interessi pubblici e privati coinvolti dal pubblico incanto e deve rispettare i principi del codice dei contratti: la P.A. è tenuta a compiere un attento esame dei presupposti di fatto e di diritto che portino a limitare la platea dei potenziali soggetti offerenti in assenza di compiute motivazioni.

La mancata precipua motivazione, nel caso di specie, si appresta a violare i fondamentali principi costituzionali e comunitari di ragionevolezza e di tutela dell’affidamento, compreso il rispetto del principio di proporzionalità.

Il precipitato valoriale porta una conseguenza obbligata nella scelta dei requisiti di partecipazione alle selezioni del contraente privato e, in base al citato principio “di non discriminazione”, la stazione appaltante deve ricorrere a quei “requisiti di gara” che comportino le minori turbative per l’esercizio dell’attività economica, atteso che l’apertura al mercato esclude condotte abusive e rendite di posizione: le prescrizioni di gara non devono costituire una violazione sostanziale dei principi di libera concorrenza, par condicio, non discriminazione e trasparenza.

Fatta questa premessa introduttiva, i Giudici del T.A.R. di Venezia, non ignorano le norme della lettera b), del secondo comma, dell’articolo 57, del Codice dei contratti pubblici, ma si soffermano chiarendo che l’affidamento diretto ad una unico operatore economico deve essere perimetrato da un quadro motivazionale che renda contezza puntuale di tutti gli elementi richiesti dalla norma, non potendo limitarsi ad un mero richiamo esemplificativo.

La motivazione, parte centrale del provvedimento e presidio di legalità a garanzia della trasparenza del processo decisionale, va rafforzata soprattutto quando la procedura deroga l’ordinario obbligo dell’Amministrazione di individuare il privato contraente attraverso il confronto concorrenziale; nella fattispecie, oggetto di censura da parte del Tribunale, si rimarca il dovere, in presenza del carattere di eccezionalità della procedura, di un particolare rigore nella individuazione ed apprezzamento dei presupposti che possono legittimarne il ricorso[4], in modo da “scongiurare ogni possibilità che l’amministrazione utilizzi situazioni genericamente affermate, come un “commodus discessus” dall’obbligo di esperire una pubblica procedura di selezione che è la sola con carattere di oggettività e trasparenza”.

Le considerazioni che precedono approdano all’obbligo motivazionale sotto il suo aspetto squisitamente descrittivo e della sua effettività giuridica, in una lettura sostanziale della norma di riferimento, non dovendo “la motivazione” proiettarsi “a mera estrinsecazione di un apparato preconfezionato al solo scopo di giustificare le scelte discrezionalmente operate dall’Amministrazione, ma deve oggettivamente offrire l’indicazione dei pertinenti presupposti legittimanti; e, con essi, della presenza di un nesso di necessaria implicazione causale, tale da imporre il ricorso all’affidamento diretto”[5].

Applicando le sopra citate coordinate ermeneutiche, si conclude la rassegna di merito e viene riconfermato un postulato della procedura di evidenza pubblica, quale espressione compiuta del diritto positivo a garanzia del corretto dispiegarsi della “libertà di concorrenza e della trasparenza” dell’operato delle Amministrazioni Pubbliche, elementari e indefettibili canoni di legalità (positivizzati, peraltro, nell’art. 57 del codice).

Chiude il Tribunale sentenziando che l’Amministrazione, oltre a non motivare il ricorso all’affidamento diretto, non ha nemmeno dimostrato la presenza dei presupposti per definire l’esclusività della prestazione (c.d. titolare di un “diritto di esclusiva”)[6], ossia la presenza di quelle caratteristiche di unicità del servizio che escludevano la presenza di altri operatori nel marcato in grado di fornire la medesima prestazione, presupposto preliminare che per ricorrere alla trattativa privata (non essendo stata data prova che l’aggiudicataria agiva in regime di monopolio, confermando a contrarius la presenza di più operatori).

(Estratto, Gli affidamenti diretti vanno motivati, la Gazzetta degli enti locali, 5 giugno 2014)

 


[1] Cons. Stato, sez. V, 20 febbraio 2014, n. 828.

[2] Sono gli artt. 41 “Capacità economica e finanziaria dei fornitori e dei prestatori di servizi” e 42 “Capacità tecnica e professionale dei fornitori e dei prestatori di servizi”, del D.Lgs. n.163/2006, che vietano alle stazioni appaltanti di inserire condizioni limitative della partecipazione e/o non coerenti con l’oggetto del contratto, e comunque senza una congrua motivazione.

[3] Cons. Stato, sez. V, 24 marzo 2014, n. 1421.

[4] Cfr., ex multis, Corte giustizia CE, 13 gennaio 2005, n. 84.

[5] Il Tribunale rinvia al precedente pronunciamento del T.A.R. Lazio – Roma, sez. I, 18 febbraio 2009, n. 1656.

[6] Cfr. l’art. 19, comma 2, del D.Lgs. n. 163 del 2006.