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Articolo Pubblicato il 13 Marzo, 2020

Nessuna deroga alla procedura di alienazione di quote di società partecipata

Nessuna deroga alla procedura di alienazione di quote di società partecipata

La sez. controllo Abruzzo della Corte dei Conti, con parere 23 dicembre 2019, n. 179, interviene nel confermare che il processo di alienazione di quote societarie non può essere diverso da quello definito direttamente dal legislatore, ex D.lgs. n. 175/2016 (TUSP).

In effetti, il chiarimento è riferito:

  • al valore di vendita rispetto all’originario prezzo di acquisto;
  • alle modalità di vendita;
  • all’acquisto delle azioni da parte della società interessata in caso di mancata alienazione;
  • gli effetti in caso di mancata/impossibilità di alienazione, ex 24. comma 5 del TUSP.

Il coordinato disposto dell’art. 7, comma 1 e 10 del cit. Testo Unico prevede che le alienazioni di partecipazioni sociali avvengano mediante:

  • motivazione analitica dell’interesse pubblico;
  • la pubblicazione sul sito istituzionale;
  • il rispetto dei princìpi di pubblicità, trasparenza e non discriminazione;
  • negoziazione diretta con un singolo acquirente, in casi eccezionali;
  • eventuale diritto di prelazione dei soci previsto dalla legge o dallo statuto.

La prima fase consiste nella determinazione del prezzo di vendita della partecipazione azionaria rimessa all’individuazione del metodo di valutazione della partecipazione (metodo patrimoniale, reddituale o finanziario) più congruo alla luce di tutti gli elementi di fatto a tal fine rilevanti[1]: la disciplina non individua un unico metodo di valutazione, dovendo procedere ad una valutazione in concreto, volta alla piena valorizzazione della partecipazione detenuta.

Appurata la determinazione del quantum, si procede alla fase successiva di esperimento della procedura di evidenza pubblica[2], che deve avvenire entro un anno dalla conclusione della ricognizione (con riferimento al piano delle alienazioni/razionalizzazioni) a presidio della tutela della concorrenza per il mercato, richiamando espressamente i principi di pubblicità, trasparenza e non discriminazione, riflessi diretti dell’art. 1 del cit. D.lgs. n. 175/2016[3].

L’obbligo di rispettare la regola dell’evidenza pubblica, per l’alienazione delle quote sociali detenute da una società partecipata, risponde ad un principio di ordine pubblico economico (anche di matrice comunitaria), presiedendo al rispetto degli altrettanti generali principi di concorrenza, parità di trattamento e non discriminazione fra i potenziali concorrenti[4].

A tale riguardo si segnala che ai sensi dell’art. 10, comma 2, del D.lgs. n. 175/2016 «l’alienazione delle partecipazioni è effettuata nel rispetto dei princìpi di pubblicità, trasparenza e non discriminazione. In casi eccezionali, a seguito di deliberazione motivata dell’organo competente ai sensi del comma 1, che dà analiticamente atto della convenienza economica dell’operazione, con particolare riferimento alla congruità del prezzo di vendita, l’alienazione può essere effettuata mediante negoziazione diretta con un singolo acquirente. È fatto salvo il diritto di prelazione dei soci eventualmente previsto dalla legge o dallo statuto».

Deve, anche, evidenziarsi che ai sensi dell’art. 10, comma 3, del D.lgs. n. 175/2016 «la mancanza o invalidità dell’atto deliberativo avente ad oggetto l’alienazione della partecipazione rende inefficace l’atto di alienazione della partecipazione»[5].

Questa seconda fase prevede che in caso di mancata alienazione entro i termini previsti di un anno, il socio pubblico non può esercitare i diritti sociali nei confronti della società e, salvo in ogni caso il potere di alienare la partecipazione, la società è liquidata in denaro in base ai criteri stabiliti all’articolo 2437 ter, secondo comma, e seguendo il procedimento di cui all’articolo 2437 quater del codice civile.

Sul punto:

  • 2437 ter «Criteri di determinazione del valore delle azioni» al secondo comma stabilisce che «il valore di liquidazione delle azioni è determinato dagli amministratori, sentito il parere del collegio sindacale e del soggetto incaricato della revisione legale dei conti, tenuto conto della consistenza patrimoniale della società e delle sue prospettive reddituali, nonché dell’eventuale valore di mercato delle azioni»;
  • 2437 quater «Procedimento di liquidazione» prevede, invece, che la cessione proceda partendo dall’offerta in opzione agli altri soci e ove gli amministratori della società non riescano a cedere le partecipazioni agli altri soci o a terzi, le azioni del recedente devono venir rimborsate mediante acquisto da parte della società, utilizzando riserve disponibili anche in deroga a quanto previsto dal terzo comma dell’articolo 2357 c.c.; nel caso non vi siano utili e riserve disponibili, deve essere convocata l’assemblea straordinaria per deliberare la riduzione del capitale sociale, ovvero lo scioglimento della società.

Il regime normativo impone un iter di dismissione definito, privando l’Amministrazione di individuare modalità diverse o alternative, con la conseguenza che qualora non si riesca a cedere sul mercato la partecipazione o la stessa non venga acquisita dagli altri soci e la società non abbia le risorse per procedere al riacquisto delle azioni, residua l’obbligo di deliberare lo scioglimento della società, avviandone inevitabilmente la liquidazione.

L’imperatività del quadro richiamato è stata rafforzata dall’introduzione del nuovo comma 5 bis all’art. 24 del TUSP, operata dal Legislatore con l’art. 1, comma 723 della Legge 30 dicembre 2018, n. 145, dove «A tutela del patrimonio pubblico e del valore delle quote societarie pubbliche, fino al 31 dicembre 2021 le disposizioni dei commi 4 e 5 non si applicano nel caso in cui le società partecipate abbiano prodotto un risultato medio in utile nel triennio precedente alla ricognizione. L’amministrazione pubblica che detiene le partecipazioni è conseguentemente autorizzata a non procedere all’alienazione».

La Corte dei Conti, nel parere 179/2019, conclude precisando che la deroga temporanea non può che militare nel senso dell’obbligatorietà delle procedure sopra richiamate, in ordine alle società non rientranti nella deroga, dando corso al percorso di dismissione sopra ricordato, non potendo sullo stesso e sui criteri – espressamente e univocamente individuati sul piano legislativo – di determinazione del valore delle quote eventuali difformi previsioni statutarie della società partecipata.

In termini diversi, non sono previste deroghe ai meccanismi di legge proprio perché l’intento è quello di assicurare i processi di dismissioni ed evitare ogni operazione che ostacoli rendite di posizione, essendo l’intervento del legislatore finalizzato da una parte, al restringimento del perimetro dell’intervento pubblico nelle attività economiche, dall’altra, di evitare forme di abuso da parte delle società partecipate dalle Pubbliche Amministrazioni, che sottraggono l’agire amministrativo ai canoni della trasparenza e del controllo da parte degli Enti pubblici e della stessa opinione pubblica[6].

I processi di dismissioni sono l’obiettivo finale dell’intera procedura che non dovrebbe incontrare limiti interni (salvo quelli temporali del comma 5 bis dell’art. 24): la cessione della partecipazione non “strettamente necessaria” trascende, quindi, il rapporto tra Ente pubblico socio e società partecipata e si configura come potere-dovere della Pubblica Amministrazione di completare le procedure di liquidazioni, anche in presenza di situazioni restrittive di collocamento di mercato, ovvero l’assenza di un interesse all’acquisto.

[1] Corte Conti, sez. contr. Marche, deliberazione n. 25/2014. Il valore deve essere stabilito in conformità ad un’attenta ponderazione della consistenza patrimoniale della società, delle sue prospettive reddituali e del valore di mercato, da intendersi con riferimento al patrimonio sociale della società e non limitato alla specifica quota, Corte Conte, sez. contr. Lombardia, deliberazione n. 79/2018.

[2] Cfr. T.A.R. Veneto, sez. I, 29 gennaio 2020, n. 98.

[3] Corte Conti, sez. contr. Lombardia, deliberazione n. 8/2019. Vedi, un personale contributo, Vendita di quote societarie ed evidenza pubblica, mauriziolucca.com, 2019.

[4] Cfr. Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato, parere n. 5246/2019, ove si conferma che la cessione deve avvenire secondo procedure concorrenziali e aperte, al fine di valorizzare in modo più efficace i beni pubblici da alienare, in quanto patrimoni collettivi. Idem, Cons. Stato, sez. V, 8 settembre 2016, n. 4014.

[5] ANAC, Delibera n. 677 del 28 giugno 2017, «Fascicolo n. 2685/2016 – Cessione quote della società titolare di concessione di servizio di trasporto pubblico della Provincia di … senza procedura concorrenziali». Cfr. Cons. Stato, sez. V, 12 dicembre 2018, n. 7030, ove si rileva che la dismissione di quote azionarie pubbliche non è soggetta alle norme sull’evidenza pubblica (quando la scelta della gara è stata fatta a monte), e nemmeno a quelle sulla contabilità generale dello Stato, risolvendosi in un’operazione che l’Ente pubblico pone in essere con modalità privatistiche, dovendosi soltanto attenere ai generali principi di trasparenza e non discriminazione.

[6] Cfr. NICO, Servizi pubblici locali, il dossier della Camera conferma il trend “fuori controllo” degli organismi partecipati, dirittodeiservizipubblici.it, 9 marzo 2020, dove si espone che l’analisi effettuata manifesta la preoccupazione «legata a una proliferazione fuori controllo degli organismi partecipati, secondo un trend che nel corso del tempo non ha registrato flessioni di sorta, a dispetto dei vincoli e degli obblighi di riduzione ripetutamente imposti dal legislatore».