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Articolo Pubblicato il 7 Marzo, 2020

Organismo di diritto pubblico e gestione di servizi fieristici

Organismo di diritto pubblico e gestione di servizi fieristici

La terza sez. Bari del T.A.R. Puglia, con la sentenza 6 febbraio 2020 n. 205, interviene per definire i caratteri dell’organismo di diritto pubblico, analizzando le modalità di gestione di eventi fieristici da parte di una società privata.

La figura dell’“organismo di diritto pubblico” è stata introdotta nell’ordinamento nazionale per allargare la nozione di “Amministrazione aggiudicatrice” tenuta o meno al rispetto delle regole di evidenza pubblica nell’affidamento di pubbliche commesse, facendo ricorso a criteri elastici di definizione che trovano la propria collocazione nell’art. 3, comma 1, lettera d) del D.lgs. n. 50/2016, trattando in tale definizione «qualsiasi organismo, anche in forma societaria, il cui elenco non tassativo è contenuto nell’allegato IV:

1) istituito per soddisfare specificatamente esigenze di interesse generale, aventi carattere non industriale o commerciale (c.d. requisito teleologico);

2) dotato di personalità giuridica (c.d. requisito personalistico);

3) la cui attività sia finanziata in modo maggioritario dallo Stato, dagli enti pubblici territoriali o da altri organismi di diritto pubblico oppure la cui gestione sia soggetta al controllo di questi ultimi oppure il cui organo d’amministrazione, di direzione o di vigilanza sia costituito da membri dei quali più della metà è designata dallo Stato, dagli enti pubblici territoriali o da altri organismi di diritto pubblico».

Chiarito l’inquadramento tra le “Amministrazioni aggiudicatrici”, ne deriva l’assoggettamento al rispetto delle procedure di evidenza pubblica imposte dalle norme dell’Unione Europea.

Il carattere «non industriale o commerciale» dell’attività non si ricompone più in funzione del suo destinatario, essendo la giurisprudenza comunitaria orientata nel senso di considerare la natura dei bisogni che le prestazioni o i servizi resi dall’Ente siano diretti a soddisfare: un approccio funzionale delle concrete modalità con cui si esplica l’attività dell’Ente: una rispondenza dell’azione a un interesse della collettività «non industriale o commerciale»[1].

Affinché si possa affermare «diretta a soddisfare» un bisogno avente carattere «non industriale o commerciale», l’attività dell’Ente deve rispondere a un interesse primario della collettività, come la salute, l’ambiente, la sicurezza e così via[2].

In questo perimetro interpretativo, perché possa ricorrere la figura dell’«organismo di diritto pubblico» (e, quindi, la giurisdizione del giudice amministrativo) occorre che il soggetto non fondi la sua attività principale solo su criteri di rendimento, efficacia e redditività e che non assuma su di sé i rischi collegati allo svolgimento dell’attività (i quali devono ricadere sulla Pubblica Amministrazione controllante), e che il servizio d’interesse generale, oggetto dell’attività, non possa essere rifiutato per mere ragioni di convenienza economica[3].

I requisiti sopra elencati devono essere cumulativi, salvo il carattere alternativo dell’ultimo (il terzo)[4]: si giunge, pertanto, alla conclusione che in assenza di una qualificazione del soggetto, quale «organismo di diritto pubblico», per la mancanza di uno dei requisiti richiesti dalla norma, le eventuali controversie sugli affidamenti appartengono alla giurisdizione del giudice ordinario.

La questione affrontata dalla terza sez. del T.A.R. Bari concerne la disciplina «della procedura di aggiudicazione del “servizio di realizzazione e valorizzazione di tutte le manifestazioni fieristiche, noleggio di allestimenti, nonché progettazione di sistemi di criteri di svolgimento di manifestazioni che possano contribuire al potenziamento dell’immagine delle aree in concessione» ad una società privata (affidataria dei servizi fieristici), «al miglioramento dei criteri di marginalità economica e all’implementazione del numero di manifestazioni”».

Lamenta il ricorrente (già affidatario dei servizi), in definitiva, l’affidamento del servizio senza una regolare procedura a evidenza pubblica secondo le norme del Codice, piuttosto che secondo il rispetto dei relativi principi; di converso, l’Ente fiera resistente deduce il difetto di giurisdizione non rientrando tra gli «organismi di diritto pubblico».

L’intera vicenda viene risolta dal giudice di prime cure in relazione ad un analogo precedente esaminato dalle Sezioni Unite della Corte di Cassazione civile che, con ordinanza n. 17567 del 28 giugno 2019, dove è stato stabilito come «la società privata che gestisce gli eventi fieristici non sia un organismo di diritto pubblico, in quanto carente del requisito di cui all’art. 3, comma 1, lett. d), del D.lgs. n. 50/2016»: i giudizi avverso le gare indette da organismi di diritto privato rientrano nella giurisdizione del giudice ordinario: dunque, deriva la fondatezza dell’eccezione di difetto di giurisdizione.

Questa posizione consente di riaffermare, a contrario, i requisiti per inquadrare l’«organismo di diritto pubblico»:

  • la categoria costituisce il precipitato della c.d. nozione sostanzialistica di Pubblica Amministrazione, avallata dalla legislazione Europea, ribadita dalla giurisprudenza eurounitaria e interna[5];
  • viene valorizzato il “fine” perseguito da un determinato soggetto rispetto alla sua qualificazione giuridica, evitando che la privatizzazione puramente formale di Enti pubblici possa determinare una sostanziale elusione delle normative Europee;
  • devono coesistere i tre requisiti previsti dalla norma dell’art. 3, comma 1, lettera d) del Codice[6];
  • l’interpretazione dei requisiti deve essere svolta adottando un approccio di tipo funzionale che consenta di perseguire gli obiettivi di non discriminazione e tutela della concorrenza che la disciplina degli appalti pubblici si pone di perseverare[7];
  • il requisito c.d. “teleologico” con l’espressione “specificatamente”[8] indica la volontà del legislatore di vincolare all’applicazione delle norme sugli appalti pubblici solo i soggetti istituiti allo scopo specifico di soddisfare interessi di carattere generale aventi carattere «non industriale e commerciale» e la cui attività risponda a tali esigenze;
  • non risulta necessario che il soggetto eserciti questa attività di interesse generale in modo esclusivo, potendo il medesimo soggetto svolgere altre attività, addirittura con carattere prevalente;
  • i “bisogni generali” costituiscono una categoria più ampia all’interno della quale deve essere rinvenuta la sottocategoria dei bisogni “non industriali e commerciali”, i quali devono essere individuati in base al contesto di riferimento e delle finalità perseguite dalle direttive in tema di appalti[9];
  • il soggetto può anche agire in un regime concorrenziale, ma ciò non è determinante ai fini della qualificazione, essendo un indice presuntivo, superabile con prova contraria[10];
  • sussiste la non incompatibilità tra lo svolgimento di attività di impresa e l’operatività in settori contrassegnati da un’economia di mercato, dovendo semmai verificare nel concreto (c.d. approccio funzionale) le modalità di azione del soggetto;
  • la partecipazione pubblica non è determinante non sottostando alle medesime regole previste per la società in house (partecipate pubbliche)[11] in tema di controllo analogo, stante la diversa natura dei due istituti.

Da queste considerazioni si conclude che per definire la natura di organismo di diritto pubblico di un soggetto, alla luce dei criteri enucleati al D.Lgs. n. 50 del 2016, art. 3, lett. d), occorrerà avere riguardo:

  • al tipo di attività svolta dalla società;
  • all’accertamento che tale attività sia rivolta alla realizzazione di un interesse generale, ovvero che sia necessaria affinché la Pubblica Amministrazione possa soddisfare le esigenze di interesse generale alle quali è chiamata;
  • che tale società si lasci guidare da considerazioni diverse da quelle economiche[12].

Sotto quest’ultimo profilo, è necessario che:

  • la società non fondi la propria attività principale su criteri di rendimento, efficacia e redditività;
  • non assuma su di sé i rischi collegati allo svolgimento di tale attività, i quali devono ricadere sull’Amministrazione controllante;
  • il servizio d’interesse generale che ne costituisce l’oggetto non può essere rifiutato per ragioni di convenienza economica.

In conclusione, ai fini della qualificazione di una società come «organismo di diritto pubblico», per stabilire se essa agisca per un fine di interesse generale, occorrerà procedere ad una valutazione in concreto degli elementi di fatto e di diritto che connotano l’agire della stessa.

Dalle coordinate esegetiche ed ermeneutiche si acclara che, per il riscontro del perseguimento di un “interesse generale” e del carattere «non industriale o commerciale» dell’attività, se il soggetto non beneficia di alcun meccanismo per compensare eventuali perdite finanziarie (nessun ripianamento delle perdite mediante afflusso di capitali pubblici), sopportando direttamente il rischio economico della propria attività, agendo in ambito concorrenziale non possa essere inquadrato come «organismo di diritto pubblico».

Viceversa, quando il soggetto (ente fieristico) nel perseguire l’interesse pubblico agisce senza essere soggetto alle regole di mercato, e quindi senza che possa ritenersi esercitata dallo stesso attività di carattere commerciale rientra tra la nozione di «organismo di diritto pubblico».

La terza sez. Bari del T.A.R. Puglia, con la sentenza 6 febbraio 2020 n. 205, termina nell’analisi giuridica dimostrando, nel caso di specie, che manca il primo requisito dovuto all’assunzione del rischio collegato all’esercizio dell’attività, oltre alla mancanza del ripianamento delle perdite (soggezione al fallimento) da parte dell’Amministrazione Pubblica controllante, venendo meno la qualificazione di “organismo di diritto pubblico”.

Vengono dimostrati tutti gli elementi che escludono l’inserimento tra gli «organismi di diritto pubblico»:

  • la capacità di svolgere attività commerciali e industriali, ritenute necessarie per il conseguimento dell’oggetto sociale;
  • il perseguimento dello scopo di lucro individuato nella divisione degli utili, ripartiti tra i soci in misura proporzionale alla partecipazione da ciascuno posseduta;
  • non è previsto alcun meccanismo di ripianamento delle perdite, mediante afflusso di capitali da parte dei soci pubblici;
  • non fruisce di contributo annuale da parte di alcuna Pubblica Amministrazione, atteso che l’attività aziendale è l’unica fonte di introito della Società;
  • il Presidente è eletto liberamente dal Consiglio di amministrazione tra i suoi membri (senza alcuna prevalenza da parte delle P.A. partecipate).

Il precipitato di queste osservazioni termina nell’inquadrare la figura dell’«organismo di diritto pubblico» quanto il soggetto non fondi la sua attività principale solo su criteri di rendimento, efficacia e redditività e che non assuma su di sé i rischi collegati allo svolgimento dell’attività (i quali devono ricadere sulla Pubblica Amministrazione controllante), e che il servizio d’interesse generale, oggetto dell’attività, non possa essere rifiutato per mere ragioni di convenienza economica: laccertamento concreto dell’attività deve essere rivolta a soddisfare le esigenze di interesse generale alle quali la P.A. istituzionalmente è chiamata ad assolvere, guidando le scelte da considerazioni diverse da quelle economiche (non l’utile ma la socialità/solidarietà).

[1] Cfr. Cass. Civ., sez. Unite, 28 giugno 2019, n. 17567; Cons. Stato, sez. V, 10 giugno 2019, n. 3884.

[2] Cfr. Corte Giustizia CE, 10 novembre 1998 (causa C-360/96 BFI Holding).

[3] Cass. Civ., sez. Unite, 28 marzo 2019, n. 8673; Cons. Stato, sez. V, 19 novembre 2018, n. 6534.

[4] Cfr. Cass. Civ., sez. Unite, 7 aprile 2010, n. 8225.

[5] Cons. Stato, Ad. Plenaria 13/2016.

[6] Per la coesistenza, nella vigenza delle precedenti Direttive, si erano già espresse la Corte di Giustizia 15/1/1998, C-44/96, Mannesmann, nonchè Cass. Civ. sez. Unite, 29 maggio 2012, n. 8511.

[7] Corte di Giustizia 10 novembre 1998, in C-360/96, Arhnhem, 15 gennaio 1998, in C-44/96, Mannesman e 5 ottobre 2017, in C-567/15, LitSpecMet UAB.

[8] Corte di Giustizia, 15 gennaio 1998, in C-44/96.

[9] Corte di Giustizia, 27 febbraio 2003, in C373/2000.

[10] Si vedano i due leading cases Corte di Giustizia 15 gennaio 1998 C-44/96, Mannesman e 10 novembre 1998, in C-360/96, BFI Holding, orientati nel senso di considerare l’agire in concorrenza come un semplice elemento indiziario, superabile.

[11] Vedi, Cons. Stato, sez. III, 25 febbraio 2020, n. 1385, sulla partecipazione al capitale da parte dei privati.

[12] Si veda, Corte di Giustizia 5 ottobre 2017, in C- 567/15; nonché, con riferimento al criterio di economicità, Cass. 8225/2010.