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Articolo Pubblicato il 12 Agosto, 2018

Qualità dell’acqua e diritto di accesso degli utenti del servizio idrico

Qualità dell’acqua e diritto di accesso degli utenti del servizio idrico

Pieno diritto di accesso ai dati ambientali

Sussiste il diritto di accesso dei cittadini utenti alla verifica periodica dei risultati della qualità dell’acqua destinata al consumo umano.

Questa la massima della prima sezione Reggio Calabria del T.A.R., con la sentenza 9 agosto 2018, n. 499, a fronte del diniego di un comune di prendere visione ed estrarre copia integrale:

  • del registro dei controlli interni obbligatori che il gestore è tenuto ad effettuare per la verifica della qualità dell’acqua, destinata al consumo umano (ex 7 del D.Lgs. 31/2001 «Attuazione della direttiva 98/83/CE relativa alla qualità delle acque destinate al consumo umano» (il comma 4, precisa che «i risultati dei controlli devono essere conservati per un periodo di almeno cinque anni per l’eventuale consultazione da parte dell’amministrazione che effettua i controlli esterni»);
  • delle comunicazioni inviate e ricevute dall’azienda unità sanitaria locale territorialmente riferite ai controlli esterni per verificare che le acque destinate al consumo umano soddisfino i requisiti di legge (ex 8 del cit. decreto).

Sussiste, pertanto, per il cittadino di accedere a tutti i controlli interni ed esterni intesi a garantire che le acque destinate al consumo umano soddisfino i requisiti del decreto n. 31/2001, riferiti:

  • a punti di prelievo delle acque superficiali e sotterranee da destinare al consumo umano;
  • agli impianti di adduzione, di accumulo e di potabilizzazione;
  • alle reti di distribuzione;
  • agli impianti di confezionamento di acqua in bottiglia o in contenitori;
  • sulle acque confezionate;
  • sulle acque utilizzate nelle imprese alimentari;
  • sulle acque fornite mediante cisterna, fissa e mobile;
  • per le acque destinate al consumo umano fornite mediante cisterna i controlli devono essere estesi anche all’idoneità del mezzo di trasporto.

I laboratori di analisi devono seguire procedure di controllo analitico della qualità sottoposte periodicamente al controllo del Ministero della sanità, in collaborazione con Istituto superiore di sanità: il giudizio di idoneità dell’acqua destinata al consumo umano spetta all’azienda U.S.L. territorialmente competente.

È noto che la disciplina del D.Lgs. n. 31/2001 tratta sulla qualità delle acque destinate al consumo umano al fine di proteggere la salute umana dagli effetti negativi derivanti dalla contaminazione delle acque, garantendone la salubrità e la pulizia.

Per definire, nel dettaglio, le definizioni da attribuire ad ogni concetto il decreto stabilisce per:

a) «ACQUE DESTINATE AL CONSUMO UMANO»:

1) le acque trattate o non trattate, destinate ad uso potabile, per la preparazione di cibi e bevande, o per altri usi domestici, a prescindere dalla loro origine, siano esse fornite tramite una rete di distribuzione, mediante cisterne, in bottiglie o in contenitori;

2) le acque utilizzate in un’impresa alimentare per la fabbricazione, il trattamento, la conservazione o l’immissione sul mercato di prodotti o di sostanze destinate al consumo umano, escluse quelle, individuate ai sensi dell’articolo 11, comma 1, lettera e), la cui qualità non può avere conseguenze sulla salubrità del prodotto alimentare finale;

 b) «IMPIANTO DI DISTRIBUZIONE DOMESTICO»: le condutture, i raccordi, le apparecchiature installati tra i rubinetti normalmente utilizzati per l’erogazione dell’acqua destinata al consumo umano e la rete di distribuzione esterna. La delimitazione tra impianto di distribuzione domestico e rete di distribuzione esterna, di seguito denominata punto di consegna, è costituita dal contatore, salva diversa indicazione del contratto di somministrazione;

c) «GESTORE»: il gestore del servizio idrico integrato, nonché chiunque fornisca acqua a terzi attraverso impianti idrici autonomi o cisterne, fisse o mobili;

d) «AUTORITÀ D’ÀMBITO»: la forma di cooperazione tra comuni e province, e, fino alla piena operatività del servizio idrico integrato, L’AMMINISTRAZIONE PUBBLICA TITOLARE DEL SERVIZIO.

Oltre alle disposizioni citate, il diritto di accesso in materia ambientale è riconosciuto in via generale dall’art. 3, comma 1, del D.Lgs. 19 agosto 2005, n. 195 «Attuazione della direttiva 2003/4/CE sull’accesso del pubblico all’informazione ambientale», il quale precisa che l’Autorità pubblica deve rendere disponibile, l’informazione ambientale detenuta a chiunque ne faccia richiesta, senza che questi debba dichiarare il proprio interesse (come nel diritto di accesso civico, ex art. 5 del D.Lgs. n. 33/2013).

La richiesta di un condominio di acquisire le informazioni sulla qualità dell’acqua è pienamente legittima – a maggior ragione – nel fatto di aver stipulato contratto di somministrazione di acqua potabile con il Comune (gestore del servizio idrico) e di avere in corso un contenzioso: una legittimazione ancor più forte, sia sotto il profilo negoziale (cfr. T.A.R. Sicilia, Catania, sez. III, 14 novembre 2016, n. 2936), sia sotto il classico diritto di accesso documentale o difensivo (ex art. 22 della Legge n. 241/1990, cfr. T.A.R. Puglia, Lecce, sez. II, 10 agosto 2017, n. 1400).

Il Tribunale, precisa ulteriormente che l’art. 2 (“Definizioni”) del medesimo D.Lgs. n. 195 cit. chiarisce che per “informazione ambientale” si intende “qualsiasi informazione disponibile in forma scritta, visiva, sonora, elettronica od in qualunque altra forma materiale concernente: 1) lo stato degli elementi dell’ambiente, quali l’aria, l’atmosfera, l’acqua, il suolo, il territorio … 3) le misure, anche amministrative, quali le politiche, le disposizioni legislative, i piani, i programmi, gli accordi ambientali e ogni altro atto, anche di natura amministrativa, nonché le attività che incidono o possono incidere sugli elementi e sui fattori dell’ambiente di cui ai numeri 1) e 2)”.

La vitale conseguenza è che i controlli che il Comune (in qualità di ente gestore) deve effettuare possono annoverarsi tra le misure amministrative che incidono sullo stato dell’acqua, con evidenti effetti sulla salute umana.

Il giudice di prime cure termina il pronunciamento con l’ordine al Comune di esibire i risultati delle analisi e gli altri atti richiesti dall’interessato (a fronte di un diniego tacito, alias silenzio), entro e non oltre il termine di giorni trenta dalla comunicazione o notificazione della sentenza, con condanna per il Comune a favore del ricorrente delle spese di giudizio (e questo è molto indicativo).

Ancora una volta, è necessario ricorrere al giudice per il diritto di accesso agli atti in materia ambientale, quando il diritto di accesso è nato con il diritto di accesso in materia ambientale.

Il diritto di accesso ambientale è stato il primo fondamentale passo dell’Italia, rispetto alla produzione normativa europea, nella predisposizione di forme di tutela a garanzia dell’accesso alle informazioni ambientali: questo evento giuridico si è registrato con l’entrata in vigore della Legge n. 349 dell’8 luglio 1986, istitutiva del Ministero dell’Ambiente e norme in materia di danno ambientale.

Legge n. 349 che all’articolo 14 ha stabilito che «Il Ministro dell’ambiente assicura la più ampia divulgazione delle informazioni sullo stato dell’ambiente», e inserito nell’ordinamento giuridico un nuovo principio di diritto: «Qualsiasi cittadino ha diritto di accesso alle informazioni sullo stato dell’ambiente disponibili, in conformità delle leggi vigenti, presso gli uffici della pubblica amministrazione, e può ottenere copia previo rimborso delle spese di riproduzione e delle spese effettive di ufficio il cui importo è stabilito con atto dell’amministrazione interessata».

Successivamente, con la Legge 241 del 1990, questo diritto è divenuto base e principio generale per tutti gli atti della Pubblica Amministrazione.

Giova precisare, a sostegno della piena applicazione del diritto all’informazione sul nostro territorio in materia ambientale, che già la quinta sezione del Consiglio di Stato, con decisione n. 816 del 14 febbraio 2003, aveva stabilito che il libero accesso alle informazioni in materia ambientale, già peraltro confermato dal Decreto Legislativo 24 febbraio 1997, n. 39, «Attuazione della direttiva 90/313/CEE, concernente la libertà di accesso alle informazioni in materia di ambiente», attribuisce “a chiunque”, senza limitazioni di ordine soggettivo, il diritto d’accesso alle informazioni ambientali, soprattutto, per quanto concerne la legittimazione soggettiva del richiedente.

I Giudici di Palazzo Spada stabilirono (allora) che «le autorità pubbliche sono tenute a rendere disponibili le informazioni relative all’ambiente a chiunque ne faccia richiesta, senza che questi debba dimostrare il proprio interesse».

Il Consiglio di Stato, già annotava cosa si intende per “informazioni relative all’ambiente”: «qualsiasi informazione disponibile in forma scritta, visiva, sonora o contenuta nelle basi di dati riguardante lo stato delle acque, dell’aria, del suolo, della fauna, della flora, del territorio e degli spazi naturali, nonché le attività, comprese quelle nocive, o le misure che incidono o possono incidere negativamente sulle predette componenti ambientali e le attività o le misure destinate a tutelarle, ivi compresi le misure amministrative e i programmi di gestione dell’ambiente», per affermare, quindi, la piena accessibilità alle informazioni sull’ambiente nella sua più lata accezione.

È utile, quindi, rammentare che la legittimazione all’accesso (il titolo per richiedere i documenti) non è collegata alla dimostrazione dell’interesse qualificato (diretto, concreto e attuale) ma si esprime ex se dalla qualificazione del dato, ovvero dall’individuazione dell’informazione ambientale nei parametri individuati dalla norma di riferimento (cfr. T.A.R. Calabria, Catanzaro, sez. I, sentenza n. 1747 del 19 novembre 2015)

Trattandosi di accesso ad informazioni ambientali, la legittimazione è del tutto svincolata da motivazioni precise e dalla dimostrazione dell’interesse del singolo (o di un’associazione portatrice di interessi collettivi o ambientali, cfr. Cons. Stato, sez. IV, 21 agosto 2013, n. 4233), essendo l’informazione ambientale accessibile “a chiunque ne faccia richiesta”, quale bene giuridico protetto dall’ordinamento, con l’unico limite delle richieste “estremamente generiche”.

La trasparenza, e il suo corollario nel diritto di accesso ambientale (secondo il modello FOIA, Freedom of Information Act), rappresenta un diritto di libertà fondamentale alla conoscenza dei dati che incidono sulla salute umana, ricoperti da una tutela rafforzata che oltre a trovare sede nella disciplina nazionale e comunitaria, trova fondamento nel testo costituzionale all’art. 19 (“rapporti civili”, diritto di essere informati e libertà di pensiero) e all’art. 32 (“rapporti etico – sociali”, tutela della salute), trascurando di osservare che a livello territoriale il Comune, nella figura del Sindaco, ha funzioni di “Autorità sanitaria locale” (ex art. 32 della Legge n. 833/1978 e dell’art. 117 del D.Lgs. n. 112/1998).

L’habitus dell’agire pubblico, prima e a prescindere da ogni osservazione di natura giuridica, dovrebbe operare con le regole della correttezza e buona fede (ex art. 1337 c.c., cfr. Cons. Stato, Adunanza Plenaria, 4 maggio 2018, n. 5; sez. V, 10 agosto 2018, n. 4912), tipiche dell’ordinamento civile che impongono di agire con lealtà e correttezza; principii che in ambito amministrativo sono trasfusi nei canoni costituzionali della “trasparenza”, “imparzialità” e “buon andamento” (ex art. 97 Cost.), nonché, nella disciplina del procedimento amministrativo, nel legittimo affidamento (ex art. 2 della Legge n. 241/1990): il silenzio (o diniego tacito senza onere motivazionale) dell’Amministrazione su una richiesta di accesso in materia ambientale non dovrebbe corrispondere a tali valori.

Negare ancora oggi l’accesso ai dati sulla qualità dell’acqua, in presenza di un accesso pieno e incondizionato alle informazioni ambientali, costituisce un vulnus inspiegabile alle primarie libertà di esistenza umana, ovvero, di sana gestione amministrativa.