«Libero Pensatore» (è tempo di agire)

Alcune leggi regionali (ad es. quella della Regione Veneto n. 17 del 19 giugno 2014) vietano al proprietario o al detentore, anche temporaneo di animali di affezione, l’utilizzo della catena/corda, o di qualunque altro strumento di contenzione similare, salvo che per ragioni sanitarie o per misure urgenti e solamente temporanee di sicurezza, documentabili e certificate dal veterinario curante, significando la volontà di non sottoporre gli animali a strumenti di coercizione che incidono sulla loro salute, ritenendo sanzionabile la violazione del divieto (a loro tutela).

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Maltrattamento degli animali con collare a strozzo

Maltrattamento degli animali con collare a strozzo

Alcune leggi regionali (ad es. quella della Regione Veneto n. 17 del 19 giugno 2014) vietano al proprietario o al detentore, anche temporaneo di animali di affezione, l’utilizzo della catena/corda, o di qualunque altro strumento di contenzione similare, salvo che per ragioni sanitarie o per misure urgenti e solamente temporanee di sicurezza, documentabili e certificate dal veterinario curante, significando la volontà di non sottoporre gli animali a strumenti di coercizione che incidono sulla loro salute, ritenendo sanzionabile la violazione del divieto (a loro tutela).

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La massima

La sez. Brescia I del TAR Lombardia, con la sentenza 25 luglio 2022 n. 734, interviene per riconfermare che un bene privato – gravato da una servitù di uso pubblico – è sottratto alla disponibilità del proprietario che non può disporne l’interdizione, né limitarne l’uso.

L’uso pubblico

È noto che una strada privata – gravata da uso pubblico (c.d. strada vicinale)[1] – si caratterizza per la sua destinazione al servizio di una collettività indeterminata di soggetti considerati uti cives, ossia quali titolari di un pubblico interesse di carattere generale, e non uti singuli, ossia quali soggetti che si trovano in una posizione qualificata rispetto al bene gravato: un uso (ovvero, utilizzazione, c.d. passaggio) da parte di una collettività indeterminata di persone sul bene privato: bene idoneo al soddisfacimento di un interesse della stessa[2].

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Strada privata ad uso pubblico (vicinale) sottratta alla disponibilità del proprietario

Strada privata ad uso pubblico (vicinale) sottratta alla disponibilità del proprietario

La massima

La sez. Brescia I del TAR Lombardia, con la sentenza 25 luglio 2022 n. 734, interviene per riconfermare che un bene privato – gravato da una servitù di uso pubblico – è sottratto alla disponibilità del proprietario che non può disporne l’interdizione, né limitarne l’uso.

L’uso pubblico

È noto che una strada privata – gravata da uso pubblico (c.d. strada vicinale)[1] – si caratterizza per la sua destinazione al servizio di una collettività indeterminata di soggetti considerati uti cives, ossia quali titolari di un pubblico interesse di carattere generale, e non uti singuli, ossia quali soggetti che si trovano in una posizione qualificata rispetto al bene gravato: un uso (ovvero, utilizzazione, c.d. passaggio) da parte di una collettività indeterminata di persone sul bene privato: bene idoneo al soddisfacimento di un interesse della stessa[2].

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La prima sez. Brescia del T.A.R. Lombardia, con la sentenza 1° ottobre 2020 n. 680 nella sua chiara esposizione inquadra il funzionamento delle riunioni del Consiglio comunale nella corretta distinzione tra quorumstrutturale” e “funzionale” in relazione al computo degli astenuti per la determinazione della maggioranza dei votanti.

L’art. 38, «Consigli comunali e provinciali», comma 2, secondo periodo, del d.lgs. n. 267/2000 (TUEL), dopo aver definito una parte del contenuto minimo necessario del regolamento sul funzionamento dei consigli[1], stabilisce che tale fonte deve prevedere («indica») «il numero dei consiglieri necessario per la validità delle sedute, prevedendo che in ogni caso debba esservi la presenza di almeno un terzo dei consiglieri assegnati per legge all’ente, senza computare a tale fine il sindaco e il presidente della provincia».

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Una questione di quorum strutturale o funzionale

Una questione di quorum strutturale o funzionale

La prima sez. Brescia del T.A.R. Lombardia, con la sentenza 1° ottobre 2020 n. 680 nella sua chiara esposizione inquadra il funzionamento delle riunioni del Consiglio comunale nella corretta distinzione tra quorumstrutturale” e “funzionale” in relazione al computo degli astenuti per la determinazione della maggioranza dei votanti.

L’art. 38, «Consigli comunali e provinciali», comma 2, secondo periodo, del d.lgs. n. 267/2000 (TUEL), dopo aver definito una parte del contenuto minimo necessario del regolamento sul funzionamento dei consigli[1], stabilisce che tale fonte deve prevedere («indica») «il numero dei consiglieri necessario per la validità delle sedute, prevedendo che in ogni caso debba esservi la presenza di almeno un terzo dei consiglieri assegnati per legge all’ente, senza computare a tale fine il sindaco e il presidente della provincia».

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La sez. IV, del Consiglio di Stato, con la sentenza 1 giugno 2020, n. 3405, interviene per definire la corretta determinazione degli oneri, anche in relazione alla loro esenzione.

La questione parte dall’imposizione del Comune ai ricorrenti del pagamento del contributo concessorio in dipendenza del rilascio di un titolo abilitativo (concessione edilizia per un intervento di ampliamento di un edificio unifamiliare esistente), ritenendo non dovuto, ai sensi dell’art. 9, lett. d), legge n. 10/77 («per gli interventi di restauro, di risanamento conservativo, di ristrutturazione e di ampliamento, in misura non superiore al 20 per cento, di edifici unifamiliari», una deroga al principio di doverosità), senza possibilità di rideterminazione ex post del contributo, in sede di esercizio del potere di autotutela.

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Esenzione dal pagamento degli oneri: una deroga di stretta interpretazione

Esenzione dal pagamento degli oneri: una deroga di stretta interpretazione

La sez. IV, del Consiglio di Stato, con la sentenza 1 giugno 2020, n. 3405, interviene per definire la corretta determinazione degli oneri, anche in relazione alla loro esenzione.

La questione parte dall’imposizione del Comune ai ricorrenti del pagamento del contributo concessorio in dipendenza del rilascio di un titolo abilitativo (concessione edilizia per un intervento di ampliamento di un edificio unifamiliare esistente), ritenendo non dovuto, ai sensi dell’art. 9, lett. d), legge n. 10/77 («per gli interventi di restauro, di risanamento conservativo, di ristrutturazione e di ampliamento, in misura non superiore al 20 per cento, di edifici unifamiliari», una deroga al principio di doverosità), senza possibilità di rideterminazione ex post del contributo, in sede di esercizio del potere di autotutela.

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La sez. V del Consiglio di Stato, con la sentenza 24 gennaio 2020 n. 608, chiarisce le condizioni per il ricorso agli «affidamenti d’urgenza», mediante una procedura negoziata senza previa pubblicazione di un bando di gara, ai sensi dell’art. 63 del D.lgs. n. 50/2016 (riproduttivo dell’art. 57 del D.lgs. n. 163/2006)[1], con lo scopo di garantire il servizio di raccolta rifiuti[2].

Il ricorso a tale sistema derogatorio postula la presenza di una motivazione rafforzata da indicare nel primo atto della procedura, essendo la stessa caratterizzata dall’eccezionalità rispetto all’obbligo delle Amministrazioni aggiudicatrici di individuare il loro contraente attraverso il confronto concorrenziale, sicché la scelta di tale modalità richiede un particolare rigore nell’individuazione dei presupposti giustificativi, da interpretarsi restrittivamente, ed è onere dell’Amministrazione committente dimostrarne l’effettiva esistenza[3].

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Affidamento d’urgenza del contratto di gestione rifiuti

Affidamento d’urgenza del contratto di gestione rifiuti

La sez. V del Consiglio di Stato, con la sentenza 24 gennaio 2020 n. 608, chiarisce le condizioni per il ricorso agli «affidamenti d’urgenza», mediante una procedura negoziata senza previa pubblicazione di un bando di gara, ai sensi dell’art. 63 del D.lgs. n. 50/2016 (riproduttivo dell’art. 57 del D.lgs. n. 163/2006)[1], con lo scopo di garantire il servizio di raccolta rifiuti[2].

Il ricorso a tale sistema derogatorio postula la presenza di una motivazione rafforzata da indicare nel primo atto della procedura, essendo la stessa caratterizzata dall’eccezionalità rispetto all’obbligo delle Amministrazioni aggiudicatrici di individuare il loro contraente attraverso il confronto concorrenziale, sicché la scelta di tale modalità richiede un particolare rigore nell’individuazione dei presupposti giustificativi, da interpretarsi restrittivamente, ed è onere dell’Amministrazione committente dimostrarne l’effettiva esistenza[3].

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La seconda sez. del T.A.R. Piemonte, con la sentenza n. 447 del 18 aprile 2019, interviene sul rifiuto di concessione temporanea di uno spazio pubblico in ragione del pensiero politico manifestato[1].

È noto che il primo comma dell’art. 21 Cost. afferma che «Tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione», segnando in modo inequivocabile un diritto pieno di libertà che può trovare delle limitazioni se non per legge (essendo in presenza di una riserva assoluta), fondate in precetti e principi costituzionali[2].

Si affermò che la democraticità dell’Ordinamento è direttamente proporzionale al grado in cui la libera manifestazione del pensiero viene riconosciuta e attuata concretamente, una specificazione del principio del “pluralismo ideologico” che costituisce patrimonio comune della cultura liberale dell’Occidente, e che si manifesta nel diritto di cronaca e nel diritto di critica (libertà di informazione) che si colloca tra i valori primari, assistiti dalla clausola dell’inviolabilità (ex art. 2 Cost.).

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Concessione di spazi pubblici e libertà di pensiero

Concessione di spazi pubblici e libertà di pensiero

La seconda sez. del T.A.R. Piemonte, con la sentenza n. 447 del 18 aprile 2019, interviene sul rifiuto di concessione temporanea di uno spazio pubblico in ragione del pensiero politico manifestato[1].

È noto che il primo comma dell’art. 21 Cost. afferma che «Tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione», segnando in modo inequivocabile un diritto pieno di libertà che può trovare delle limitazioni se non per legge (essendo in presenza di una riserva assoluta), fondate in precetti e principi costituzionali[2].

Si affermò che la democraticità dell’Ordinamento è direttamente proporzionale al grado in cui la libera manifestazione del pensiero viene riconosciuta e attuata concretamente, una specificazione del principio del “pluralismo ideologico” che costituisce patrimonio comune della cultura liberale dell’Occidente, e che si manifesta nel diritto di cronaca e nel diritto di critica (libertà di informazione) che si colloca tra i valori primari, assistiti dalla clausola dell’inviolabilità (ex art. 2 Cost.).

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