«Libero Pensatore» (è tempo di agire)

La sez. III del TAR Veneto, con la sentenza del 19 ottobre 2022 n. 1599, interviene per ribadire che l’onere di bonifica incombe sul responsabile dell’inquinamento, anche in caso di cessione della titolarità (subentro) nell’esercizio dell’attività che ha prodotto la contaminazione del suolo.

Il ricorso

Il ricorso, nella sua essenzialità, viene promosso contro una determinazione della Provincia nella parte in cui attribuisce alla società ricorrente (che era subentrata ad un precedente assegnatario) la responsabilità della contaminazione di un’area, già oggetto di concessione (produzione di gas da carbone), rientrata nella disponibilità di un Ente locale e successivamente dismessa mediante asta pubblica.

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Oneri di bonifica del subentrante

Oneri di bonifica del subentrante

La sez. III del TAR Veneto, con la sentenza del 19 ottobre 2022 n. 1599, interviene per ribadire che l’onere di bonifica incombe sul responsabile dell’inquinamento, anche in caso di cessione della titolarità (subentro) nell’esercizio dell’attività che ha prodotto la contaminazione del suolo.

Il ricorso

Il ricorso, nella sua essenzialità, viene promosso contro una determinazione della Provincia nella parte in cui attribuisce alla società ricorrente (che era subentrata ad un precedente assegnatario) la responsabilità della contaminazione di un’area, già oggetto di concessione (produzione di gas da carbone), rientrata nella disponibilità di un Ente locale e successivamente dismessa mediante asta pubblica.

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La scelta gestionale del servizio di illuminazione votiva cimiteriale

La sez. I Catanzaro del TAR Calabria, con la sentenza 27 settembre 2022 n. 1572, esprime al meglio il significato di un sevizio comunale a gestione diretta, ove nella ponderazione tra costi e benefici, tra efficienza ed efficacia dell’azione amministrativa, nell’esercizio della sua discrezionalità, di quell’applicazione concreta del potere inesauribile di perseguire l’interesse pubblico (ex art. 97 Cost.), la PA ben può decidere come meglio servire la Comunità attraverso un modello organizzativo del servizio di illuminazione votiva cimiteriale senza avvalersi di terzi, ma mediante l’accurata gestione del proprio personale, una risorsa disponibile e immediata nell’economicità prevalente della buona e sana gestione finanziaria rispetto al ricorso ad un modulo concessorio, peraltro di per sé oneroso sin dall’approntamento della gara rispetto al valore dell’affidamento.

In termini più immediati, è pienamente legittima la scelta del Consiglio comunale di gestire un servizio comunale[1] senza ricorso a terzi, ovvero in modo diretto con il proprio personale: scelta che non richiederebbe alcun onere di forzata motivazione quando è palese il risparmio per la gestione “in economia”, specie in un Ente di piccole dimensioni (sotto i 5.000 abitanti).

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Le facoltà del Comune nel servizio cimiteriale di illuminazione votiva

Le facoltà del Comune nel servizio cimiteriale di illuminazione votiva

La scelta gestionale del servizio di illuminazione votiva cimiteriale

La sez. I Catanzaro del TAR Calabria, con la sentenza 27 settembre 2022 n. 1572, esprime al meglio il significato di un sevizio comunale a gestione diretta, ove nella ponderazione tra costi e benefici, tra efficienza ed efficacia dell’azione amministrativa, nell’esercizio della sua discrezionalità, di quell’applicazione concreta del potere inesauribile di perseguire l’interesse pubblico (ex art. 97 Cost.), la PA ben può decidere come meglio servire la Comunità attraverso un modello organizzativo del servizio di illuminazione votiva cimiteriale senza avvalersi di terzi, ma mediante l’accurata gestione del proprio personale, una risorsa disponibile e immediata nell’economicità prevalente della buona e sana gestione finanziaria rispetto al ricorso ad un modulo concessorio, peraltro di per sé oneroso sin dall’approntamento della gara rispetto al valore dell’affidamento.

In termini più immediati, è pienamente legittima la scelta del Consiglio comunale di gestire un servizio comunale[1] senza ricorso a terzi, ovvero in modo diretto con il proprio personale: scelta che non richiederebbe alcun onere di forzata motivazione quando è palese il risparmio per la gestione “in economia”, specie in un Ente di piccole dimensioni (sotto i 5.000 abitanti).

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Il regime dei beni pubblici

L’occupazione con un chiosco di un’area demaniale richiede un atto autorizzatorio, essendo il bene destinato ex lege all’uso collettivo (senza possibilità di sottrazione dalla destinazione), ed avendo caratteri propri, quale l’inalienabilità e non potendo formare oggetto di diritti a favore di terzi, se non nei modi e nei limiti stabiliti dalle leggi che li riguardano (ex art. 823 c.c.).

Non del tutto dissimile è il regime dei beni che fanno parte del patrimonio indisponibile che non possono essere sottratti alla loro destinazione, se non nei modi stabiliti dalle leggi che li riguardano (ex art. 828, comma 2, c.c.)[1].

Si comprende che il mutamento del regime giuridico di un bene, da patrimonio indisponibile a patrimonio disponibile, presuppone che il bene abbia subito una immutazione irreversibile, tale da non essere più idoneo all’uso della collettività, senza che a tal fine sia sufficiente la semplice circostanza che detto uso sia stato sospeso per lunghissimo tempo[2], confermando i caratteri dei beni pubblici.

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Concessione dell’occupazione del patrimonio indisponibile con un chiosco

Concessione dell’occupazione del patrimonio indisponibile con un chiosco

Il regime dei beni pubblici

L’occupazione con un chiosco di un’area demaniale richiede un atto autorizzatorio, essendo il bene destinato ex lege all’uso collettivo (senza possibilità di sottrazione dalla destinazione), ed avendo caratteri propri, quale l’inalienabilità e non potendo formare oggetto di diritti a favore di terzi, se non nei modi e nei limiti stabiliti dalle leggi che li riguardano (ex art. 823 c.c.).

Non del tutto dissimile è il regime dei beni che fanno parte del patrimonio indisponibile che non possono essere sottratti alla loro destinazione, se non nei modi stabiliti dalle leggi che li riguardano (ex art. 828, comma 2, c.c.)[1].

Si comprende che il mutamento del regime giuridico di un bene, da patrimonio indisponibile a patrimonio disponibile, presuppone che il bene abbia subito una immutazione irreversibile, tale da non essere più idoneo all’uso della collettività, senza che a tal fine sia sufficiente la semplice circostanza che detto uso sia stato sospeso per lunghissimo tempo[2], confermando i caratteri dei beni pubblici.

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(Pubblicato su Maggiolicultura.it – 21 aprile 2022. Iscriviti alla Newsletter della rivista)

Il regime dei beni pubblici

In via generale, la gestione dei beni pubblici impone una regola base che può essere riassunta nei principi comuni del “buon andamento e dell’imparzialità” (ex artt. 97 Cost. e 1 della legge n. 241/1990), esigendo da una parte, di mettere in assegnazione la res publica mediante una procedura trasparente (la c.d. evidenza pubblica), dall’altra, della necessaria utilità (c.d. reddittività), percependo un canone di locazione/concessione, valorizzando il patrimonio affidato ad un terzo.

Risulta evidente l’illegittimità di un affidamento diretto di un bene pubblico, senza alcuna procedura selettiva, in aperta violazione con i principi generali della contabilità pubblica (secondo le regole che impongono un’entrata nei contratti attivi attesa la reddittività dei beni) e la disciplina comunitaria della concorrenza, pubblicità e trasparenza[1].

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Assegnazione della sede ad una associazione culturale con schema di comodato

Assegnazione della sede ad una associazione culturale con schema di comodato

(Pubblicato su Maggiolicultura.it – 21 aprile 2022. Iscriviti alla Newsletter della rivista)

Il regime dei beni pubblici

In via generale, la gestione dei beni pubblici impone una regola base che può essere riassunta nei principi comuni del “buon andamento e dell’imparzialità” (ex artt. 97 Cost. e 1 della legge n. 241/1990), esigendo da una parte, di mettere in assegnazione la res publica mediante una procedura trasparente (la c.d. evidenza pubblica), dall’altra, della necessaria utilità (c.d. reddittività), percependo un canone di locazione/concessione, valorizzando il patrimonio affidato ad un terzo.

Risulta evidente l’illegittimità di un affidamento diretto di un bene pubblico, senza alcuna procedura selettiva, in aperta violazione con i principi generali della contabilità pubblica (secondo le regole che impongono un’entrata nei contratti attivi attesa la reddittività dei beni) e la disciplina comunitaria della concorrenza, pubblicità e trasparenza[1].

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La natura della concessione cimiteriale

La concessione cimiteriale è un atto amministrativo con il quale la P.A. concede ad un terzo nuove posizioni giuridiche attive (c.d. atto ampliativo della sfera giuridica del destinatario)[1] che si distingue dall’autorizzazione che si limita (quest’ultima) a rimuovere un limite all’esercizio di diritti, poteri e facoltà preesistenti, differenziandosi alla radice del diritto proprio per il conferimento di nuovi diritti e potestà di cui la P.A. è titolare (per questi primi motivi non si potrebbe parlare di acquisto di un titolo di proprietà, peraltro il bene è demaniale, ex comma 2 dell’art. 824 c.c., di conseguenza inalienabili, ai sensi dell’art. 823 c.c.)[2] ma che non intende esercitare direttamente (pur mantenendone intestato il potere e la titolarità) ammettendo il soggetto «al godimento di beni della vita riservati ai pubblici poteri, non suscettibili di formare oggetto di atti di autonomia privata»[3].

Questo ultimo carattere, inserito nel codice civile dal 21 aprile 1942 (data di sua entrata in vigore) ha introdotto una conformazione generale delle aree cimiteriali e dei relativi diritti, sottratti alla disponibilità dei privati e oggetto di “concessioni traslative” da parte dell’ente titolare, sicché la cessione di un diritto al sepolcro (o tumulazione), inteso tanto come diritto primario di sepolcro quanto come diritto sul manufatto, va configurata come voltura della relativa concessione demaniale, sottoposta al requisito di efficacia della autorizzazione del concedente Comune (non, dunque, una cessione di proprietà del privato concessionario)[4].

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Negoziabilità del sepolcro cimiteriale

Negoziabilità del sepolcro cimiteriale

La natura della concessione cimiteriale

La concessione cimiteriale è un atto amministrativo con il quale la P.A. concede ad un terzo nuove posizioni giuridiche attive (c.d. atto ampliativo della sfera giuridica del destinatario)[1] che si distingue dall’autorizzazione che si limita (quest’ultima) a rimuovere un limite all’esercizio di diritti, poteri e facoltà preesistenti, differenziandosi alla radice del diritto proprio per il conferimento di nuovi diritti e potestà di cui la P.A. è titolare (per questi primi motivi non si potrebbe parlare di acquisto di un titolo di proprietà, peraltro il bene è demaniale, ex comma 2 dell’art. 824 c.c., di conseguenza inalienabili, ai sensi dell’art. 823 c.c.)[2] ma che non intende esercitare direttamente (pur mantenendone intestato il potere e la titolarità) ammettendo il soggetto «al godimento di beni della vita riservati ai pubblici poteri, non suscettibili di formare oggetto di atti di autonomia privata»[3].

Questo ultimo carattere, inserito nel codice civile dal 21 aprile 1942 (data di sua entrata in vigore) ha introdotto una conformazione generale delle aree cimiteriali e dei relativi diritti, sottratti alla disponibilità dei privati e oggetto di “concessioni traslative” da parte dell’ente titolare, sicché la cessione di un diritto al sepolcro (o tumulazione), inteso tanto come diritto primario di sepolcro quanto come diritto sul manufatto, va configurata come voltura della relativa concessione demaniale, sottoposta al requisito di efficacia della autorizzazione del concedente Comune (non, dunque, una cessione di proprietà del privato concessionario)[4].

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