«Libero Pensatore» (è tempo di agire)

La prima sez. del T.A.R. Molise, con la sentenza 3 settembre 2019 n. 285, interviene sul diritto di accesso del consigliere comunale al sistema informativo dell’Ente, prevedendo delle limitazioni in relazione all’accesso indiscriminato degli atti.

La questione verte sul diniego di accesso al sistema informatico (ovvero, del diritto all’ottenimento delle credenziali di accesso al sistema che consenta l’immediata verifica dei singoli capitoli del bilancio regionale e delle singole voci di spesa) da parte di un consigliere regionale al fine di assicurare l’attività di controllo tipica dell’organo elettivo.

La questione, per l’interesse, può estendersi all’intero panorama ordinamentale del c.d. policentrismo istituzionale in relazione ai principi di diritto desumibili dall’art. 43, comma 3, del D.Lgs. n. 267/2000 (TUEL) e dall’art. 22 della Legge n. 241/1990.

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Limiti (abuso) del diritto di accesso del consigliere (regionale, provinciale e comunale) alle credenziali del sistema informatico

Limiti (abuso) del diritto di accesso del consigliere (regionale, provinciale e comunale) alle credenziali del sistema informatico

La prima sez. del T.A.R. Molise, con la sentenza 3 settembre 2019 n. 285, interviene sul diritto di accesso del consigliere comunale al sistema informativo dell’Ente, prevedendo delle limitazioni in relazione all’accesso indiscriminato degli atti.

La questione verte sul diniego di accesso al sistema informatico (ovvero, del diritto all’ottenimento delle credenziali di accesso al sistema che consenta l’immediata verifica dei singoli capitoli del bilancio regionale e delle singole voci di spesa) da parte di un consigliere regionale al fine di assicurare l’attività di controllo tipica dell’organo elettivo.

La questione, per l’interesse, può estendersi all’intero panorama ordinamentale del c.d. policentrismo istituzionale in relazione ai principi di diritto desumibili dall’art. 43, comma 3, del D.Lgs. n. 267/2000 (TUEL) e dall’art. 22 della Legge n. 241/1990.

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Tutte le popolazioni interessate devono partecipare al referendum e il quesito referendario deve essere comprensibile.

Il referendum generalmente viene considerato una delle principali espressioni di democrazia diretta o partecipata, distinguendosi dal meccanismo della democrazia rappresentativa indiretta: un esercizio di sovranità popolare di una potestà normativa senza intermediazione dei rappresentanti politici e del tradizionale monopolio parlamentare della legge, integrando le fonti del diritto (Corte Cost., 22 ottobre 1990, n. 468).

In una società pluralista, costituisce un correttivo ai processi legislativi e uno strumento di partecipazione popolare rispetto alla mediazione delle assemblee rappresentative (e degli eletti): una sorta di soccorso al completamento della volontà elettiva.

In questo caso, il Comune di Venezia e la Città Metropolitana di Venezia ricorrono contro la Regione Veneto per l’annullamento di una serie di atti, del Consiglio Regionale del Veneto, riferiti alla “meritevolezza” della consultazione popolare sulla «suddivisione del Comune di Venezia nei due Comuni autonomi di Venezia e Mestre».

L’indizione del referendum, essendo atto politico, sarebbe sottratto al sindacato giurisdizionale sia del G.A. che del G.O. e, comunque, trattandosi di referendum consultivo e non vincolante per la Regione, la sua celebrazione non lederebbe alcun interesse giuridicamente rilevante.

La prima sezione del T.A.R. Veneto, con la sentenza n. 864 del 14 agosto 2018, interviene sull’argomento chiarendo da principio che la deliberazione di indizione di un referendum è sindacabile, in quanto tale, dal G.A. sino a quando non sia ancora in vigore la legge di “variazione territoriale” (ex art. 133, secondo comma Cost.), effetto utile dell’intero procedimento referendario, e allo stesso tempo non può considerarsi atto di natura politica, dunque non impugnabile, ex art. 7 c.p.a. (Corte Cost., sentenza n. 2/2018).

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Consultazione popolare e rappresentanza elettorale: il referendum sulla divisione di Venezia

Consultazione popolare e rappresentanza elettorale: il referendum sulla divisione di Venezia

Tutte le popolazioni interessate devono partecipare al referendum e il quesito referendario deve essere comprensibile.

Il referendum generalmente viene considerato una delle principali espressioni di democrazia diretta o partecipata, distinguendosi dal meccanismo della democrazia rappresentativa indiretta: un esercizio di sovranità popolare di una potestà normativa senza intermediazione dei rappresentanti politici e del tradizionale monopolio parlamentare della legge, integrando le fonti del diritto (Corte Cost., 22 ottobre 1990, n. 468).

In una società pluralista, costituisce un correttivo ai processi legislativi e uno strumento di partecipazione popolare rispetto alla mediazione delle assemblee rappresentative (e degli eletti): una sorta di soccorso al completamento della volontà elettiva.

In questo caso, il Comune di Venezia e la Città Metropolitana di Venezia ricorrono contro la Regione Veneto per l’annullamento di una serie di atti, del Consiglio Regionale del Veneto, riferiti alla “meritevolezza” della consultazione popolare sulla «suddivisione del Comune di Venezia nei due Comuni autonomi di Venezia e Mestre».

L’indizione del referendum, essendo atto politico, sarebbe sottratto al sindacato giurisdizionale sia del G.A. che del G.O. e, comunque, trattandosi di referendum consultivo e non vincolante per la Regione, la sua celebrazione non lederebbe alcun interesse giuridicamente rilevante.

La prima sezione del T.A.R. Veneto, con la sentenza n. 864 del 14 agosto 2018, interviene sull’argomento chiarendo da principio che la deliberazione di indizione di un referendum è sindacabile, in quanto tale, dal G.A. sino a quando non sia ancora in vigore la legge di “variazione territoriale” (ex art. 133, secondo comma Cost.), effetto utile dell’intero procedimento referendario, e allo stesso tempo non può considerarsi atto di natura politica, dunque non impugnabile, ex art. 7 c.p.a. (Corte Cost., sentenza n. 2/2018).

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