«Libero Pensatore» (è tempo di agire)

Il T.A.R. Campania, Napoli, sez. I, con la sentenza 22 ottobre 2018, n. 6129, si pronuncia sulla illegittimità di una convocazione del Consiglio comunale in assenza della regolare notifica al domicilio del consigliere comunale.

Un consigliere comunale ricorre, adducendo – direttamente in Consiglio comunale – di essere venuto a conoscenza in via informale della convocazione della seduta consiliare non notificata presso il proprio indirizzo (domicilio eletto).

La mancata convocazione si è riflessa sull’impossibilità di visionare, nei termini, gli atti; quindi, di esercitare il munus pubblico: il ritardo nella consultazione degli atti o la mancata messa a disposizione degli stessi arreca inesorabilmente un vulnus alle prerogative consigliari, impedendo da una parte, di esercitare i poteri di vigilanza e controllo dei consiglieri, soprattutto se di minoranza (T.A.R. Molise, Campobasso, sez. I, 22 marzo 2018, n. 162; Cons. Stato, sez. V, 7 luglio 2014, n. 3446), dall’altra, di esprimere e manifestare il proprio voto mediante una decisione consapevole (Cons. Stato, sez. V, 21 giugno 2018, n. 3814).

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L’errata notifica all’indirizzo del consigliere rende invalida la seduta del consiglio comunale: soluzioni operative con l’indirizzo digitale

L’errata notifica all’indirizzo del consigliere rende invalida la seduta del consiglio comunale: soluzioni operative con l’indirizzo digitale

Il T.A.R. Campania, Napoli, sez. I, con la sentenza 22 ottobre 2018, n. 6129, si pronuncia sulla illegittimità di una convocazione del Consiglio comunale in assenza della regolare notifica al domicilio del consigliere comunale.

Un consigliere comunale ricorre, adducendo – direttamente in Consiglio comunale – di essere venuto a conoscenza in via informale della convocazione della seduta consiliare non notificata presso il proprio indirizzo (domicilio eletto).

La mancata convocazione si è riflessa sull’impossibilità di visionare, nei termini, gli atti; quindi, di esercitare il munus pubblico: il ritardo nella consultazione degli atti o la mancata messa a disposizione degli stessi arreca inesorabilmente un vulnus alle prerogative consigliari, impedendo da una parte, di esercitare i poteri di vigilanza e controllo dei consiglieri, soprattutto se di minoranza (T.A.R. Molise, Campobasso, sez. I, 22 marzo 2018, n. 162; Cons. Stato, sez. V, 7 luglio 2014, n. 3446), dall’altra, di esprimere e manifestare il proprio voto mediante una decisione consapevole (Cons. Stato, sez. V, 21 giugno 2018, n. 3814).

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Le clausole della lex specialis non possono prevedere condizioni impossibili addebitabili all’operatore economico in caso di ritardo (non) imputabile dell’offerta.

La quinta sezione Napoli del T.A.R. Campania, con la sentenza del 17 ottobre 2018, interviene confermando i principi enunciati, dichiarando la nullità di una condizione di gara (prevista nel disciplinare) posta dall’Amministrazione appaltante (caso di specie, Azienda sanitaria) di esonero di responsabilità – a causa di “forza maggiore” – anche nel caso di fatto addebitabile alla stessa.

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Forza maggiore e motivi di esclusione dalla gara

Forza maggiore e motivi di esclusione dalla gara

Le clausole della lex specialis non possono prevedere condizioni impossibili addebitabili all’operatore economico in caso di ritardo (non) imputabile dell’offerta.

La quinta sezione Napoli del T.A.R. Campania, con la sentenza del 17 ottobre 2018, interviene confermando i principi enunciati, dichiarando la nullità di una condizione di gara (prevista nel disciplinare) posta dall’Amministrazione appaltante (caso di specie, Azienda sanitaria) di esonero di responsabilità – a causa di “forza maggiore” – anche nel caso di fatto addebitabile alla stessa.

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La strana flessibilità della funzione rogatoria

I diritti di rogito, per la prestazione notarile, del Segretario comunale non sono collegati all’attività professionale svolta ma alla sede di servizio, ove esercita la funzione richiesta, purchè non siano presenti i dirigenti.

La questione sulla debenza dei diritti di rogito ai Segretari comunali ha conquistato un ulteriore pronunciamento da parte della Corte dei Conti, sez. controllo Emilia Romagna, Deliberazione n. 113 del 14 settembre 2018, in linea con l’orientamento delle Sezioni riunite delle Autonomie della Corte dei Conti n. 18/2018, ritenendo che al Segretario comunale di fascia A), titolare del servizio in convenzione di segreteria, ferma restando l’autonoma valutazione gestionale dell’Ente, possa essere corrisposta la quota di diritti di rogito per l’attività prestata presso il Comune convenzionato in quanto non provvisto di personale con qualifica dirigenziale.

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La strana flessibilità della funzione rogatoria

La strana flessibilità della funzione rogatoria

La strana flessibilità della funzione rogatoria

I diritti di rogito, per la prestazione notarile, del Segretario comunale non sono collegati all’attività professionale svolta ma alla sede di servizio, ove esercita la funzione richiesta, purchè non siano presenti i dirigenti.

La questione sulla debenza dei diritti di rogito ai Segretari comunali ha conquistato un ulteriore pronunciamento da parte della Corte dei Conti, sez. controllo Emilia Romagna, Deliberazione n. 113 del 14 settembre 2018, in linea con l’orientamento delle Sezioni riunite delle Autonomie della Corte dei Conti n. 18/2018, ritenendo che al Segretario comunale di fascia A), titolare del servizio in convenzione di segreteria, ferma restando l’autonoma valutazione gestionale dell’Ente, possa essere corrisposta la quota di diritti di rogito per l’attività prestata presso il Comune convenzionato in quanto non provvisto di personale con qualifica dirigenziale.

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L’ultimo comma dell’articolo 97 della Costituzione della Repubblica italiana prevede che «Agli impieghi nelle Pubbliche Amministrazioni si accede mediante concorso, salvo i casi stabiliti dalla legge», con l’intento di privilegiare un’azione amministrativa neutra, approvvigionandosi delle “risorse umane” mediante meccanismi trasparenti di regole, in assonanza con un altro principio costituzionale di “uguaglianza” di tutti cittadini davanti alla legge, canonizzato nell’art. 3 Cost., sotto i profili formali e sostanziali della norma.

A ben vedere, nella Costituzione, il richiamo ai “cittadini” non ha riguardato solo l’ammissione al “pubblico impiego” in quanto tale, ma l’esercizio degli “uffici pubblici”, le “cariche elettive” e le “funzioni pubbliche” (ex artt. 51 e 54 Cost.), volendo affermare che l’accesso alla funzione pubblica va intesa nel senso che deve esservi «l’uguaglianza dei cittadini senza discriminazioni e limiti».

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Concorsi interni e progressioni verticali: altra deroga

Concorsi interni e progressioni verticali: altra deroga

L’ultimo comma dell’articolo 97 della Costituzione della Repubblica italiana prevede che «Agli impieghi nelle Pubbliche Amministrazioni si accede mediante concorso, salvo i casi stabiliti dalla legge», con l’intento di privilegiare un’azione amministrativa neutra, approvvigionandosi delle “risorse umane” mediante meccanismi trasparenti di regole, in assonanza con un altro principio costituzionale di “uguaglianza” di tutti cittadini davanti alla legge, canonizzato nell’art. 3 Cost., sotto i profili formali e sostanziali della norma.

A ben vedere, nella Costituzione, il richiamo ai “cittadini” non ha riguardato solo l’ammissione al “pubblico impiego” in quanto tale, ma l’esercizio degli “uffici pubblici”, le “cariche elettive” e le “funzioni pubbliche” (ex artt. 51 e 54 Cost.), volendo affermare che l’accesso alla funzione pubblica va intesa nel senso che deve esservi «l’uguaglianza dei cittadini senza discriminazioni e limiti».

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L’art. 42 del Codice dei contratti (ex D.Lgs. n. 50/2016) afferma che si ha conflitto d’interessi quando un soggetto interviene nello svolgimento della procedura di aggiudicazione o può influenzarne, in qualsiasi modo, il risultato, avendo, direttamente o indirettamente, un interesse finanziario, economico o altro interesse personale che può essere percepito come una minaccia alla sua imparzialità e indipendenza, a presidio anche dei valori di trasparenza (alias concorrenza, come voluto in ambito comunitario).

Nella condotta da mantenere si richiama espressamente l’obbligo di astensione (da parte di tutti i soggetti coinvolti) previsto dall’articolo 7 del d.P.R. 16 aprile 2013, n. 62, in presenza «di interessi propri ovvero di suoi parenti, affini entro il secondo grado, del coniuge o di conviventi, oppure di persone con le quali abbia rapporti di frequentazione abituale, ovvero, di soggetti od organizzazioni con cui egli o il coniuge abbia causa pendente o grave inimicizia o rapporti di credito o debito significativi, ovvero di soggetti od organizzazioni di cui sia tutore, curatore, procuratore o agente, ovvero di enti, associazioni anche non riconosciute, comitati, società o stabilimenti di cui sia amministratore o gerente o dirigente», e con una disposizione di chiusura «in ogni altro caso in cui esistano gravi ragioni di convenienza».

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Il conflitto di interessi nel Codice dei contratti

Il conflitto di interessi nel Codice dei contratti

L’art. 42 del Codice dei contratti (ex D.Lgs. n. 50/2016) afferma che si ha conflitto d’interessi quando un soggetto interviene nello svolgimento della procedura di aggiudicazione o può influenzarne, in qualsiasi modo, il risultato, avendo, direttamente o indirettamente, un interesse finanziario, economico o altro interesse personale che può essere percepito come una minaccia alla sua imparzialità e indipendenza, a presidio anche dei valori di trasparenza (alias concorrenza, come voluto in ambito comunitario).

Nella condotta da mantenere si richiama espressamente l’obbligo di astensione (da parte di tutti i soggetti coinvolti) previsto dall’articolo 7 del d.P.R. 16 aprile 2013, n. 62, in presenza «di interessi propri ovvero di suoi parenti, affini entro il secondo grado, del coniuge o di conviventi, oppure di persone con le quali abbia rapporti di frequentazione abituale, ovvero, di soggetti od organizzazioni con cui egli o il coniuge abbia causa pendente o grave inimicizia o rapporti di credito o debito significativi, ovvero di soggetti od organizzazioni di cui sia tutore, curatore, procuratore o agente, ovvero di enti, associazioni anche non riconosciute, comitati, società o stabilimenti di cui sia amministratore o gerente o dirigente», e con una disposizione di chiusura «in ogni altro caso in cui esistano gravi ragioni di convenienza».

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Strade ad uso pubblico

Una strada per essere classificata come pubblica non è sufficiente l’uso pubblico (il c.d. transito) ma deve sussistere una manifestazione espressa, da parte della pubblica amministrazione (c.d. P.A.), che quel determinato bene assolva una destinazione pubblica accompagnato da un valido titolo di proprietà del suolo o di un diritto di servitù pubblica, in base ad un atto idoneo a trasferire il dominio od a costituire la servitù: appartenenza all’ente pubblico (quoad proprietatem) e destinazione all’uso pubblico (quoad usum).

L’accertamento, pertanto, in ordine alla natura “pubblica” di una strada presuppone necessariamente l’esistenza di un atto o di un fatto in base al quale la proprietà del suolo su cui essa sorge sia di proprietà di un ente pubblico territoriale, ovvero che a favore del medesimo ente sia stata costituita una servitù di uso pubblico e che la stessa sia destinata all’uso pubblico con una manifestazione di volontà espressa o tacita dell’ente medesimo, senza che sia sufficiente a tal fine l’esplicarsi di fatto del transito del pubblico né la mera previsione programmatica della sua destinazione a strada pubblica o l’intervento di atti di riconoscimento da parte dell’amministrazione medesima circa la funzione da essa assolta.

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Le strade ad uso pubblico

Le strade ad uso pubblico

Strade ad uso pubblico

Una strada per essere classificata come pubblica non è sufficiente l’uso pubblico (il c.d. transito) ma deve sussistere una manifestazione espressa, da parte della pubblica amministrazione (c.d. P.A.), che quel determinato bene assolva una destinazione pubblica accompagnato da un valido titolo di proprietà del suolo o di un diritto di servitù pubblica, in base ad un atto idoneo a trasferire il dominio od a costituire la servitù: appartenenza all’ente pubblico (quoad proprietatem) e destinazione all’uso pubblico (quoad usum).

L’accertamento, pertanto, in ordine alla natura “pubblica” di una strada presuppone necessariamente l’esistenza di un atto o di un fatto in base al quale la proprietà del suolo su cui essa sorge sia di proprietà di un ente pubblico territoriale, ovvero che a favore del medesimo ente sia stata costituita una servitù di uso pubblico e che la stessa sia destinata all’uso pubblico con una manifestazione di volontà espressa o tacita dell’ente medesimo, senza che sia sufficiente a tal fine l’esplicarsi di fatto del transito del pubblico né la mera previsione programmatica della sua destinazione a strada pubblica o l’intervento di atti di riconoscimento da parte dell’amministrazione medesima circa la funzione da essa assolta.

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