«Libero Pensatore» (è tempo di agire)

Assistiamo con una certa frequenza ad aggressioni all’interno della scuola, da un collaboratore scolastico picchiato, davanti agli studenti, per un parcheggio[1], ad un insegnante aggredito dal padre di uno studente[2], rendendo sempre più animata la cronaca da fatti che non si vorrebbe sentire.

Incipit: ogni ambiente di lavoro presenta dei rischi, tuttavia, a volte, evitabili.

Le responsabilità del datore di lavoro

Senza andare oltre, la Corte d’Appello di Venezia, sez. Lav., con la sentenza del 19 ottobre 2023 (RG 370/2020) analizza un caso di violenza da parte di un minore (alunno) verso l’insegnante, condannando l’istituzione scolastica di inerzia nell’aver omesso di intervenire con adeguato supporto alle richieste di un sostegno per assistere quelle situazioni di “disagio” («i testi escussi in primo grado hanno riferito di essere stati loro stessi colpiti con pugni e calci dal ragazzo il quale aveva avuto comportamenti similari anche con compagni di scuola») che esigono la dovuta attenzione: messa in atto di programmi/azioni, utili strumenti di prevenzione da una parte, di ausilio dell’alunno, dall’altra parte, quale risposta al rischio di infortunio da parte degli insegnanti e alunni.

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La tutela della classe insegnante

La tutela della classe insegnante

Assistiamo con una certa frequenza ad aggressioni all’interno della scuola, da un collaboratore scolastico picchiato, davanti agli studenti, per un parcheggio[1], ad un insegnante aggredito dal padre di uno studente[2], rendendo sempre più animata la cronaca da fatti che non si vorrebbe sentire.

Incipit: ogni ambiente di lavoro presenta dei rischi, tuttavia, a volte, evitabili.

Le responsabilità del datore di lavoro

Senza andare oltre, la Corte d’Appello di Venezia, sez. Lav., con la sentenza del 19 ottobre 2023 (RG 370/2020) analizza un caso di violenza da parte di un minore (alunno) verso l’insegnante, condannando l’istituzione scolastica di inerzia nell’aver omesso di intervenire con adeguato supporto alle richieste di un sostegno per assistere quelle situazioni di “disagio” («i testi escussi in primo grado hanno riferito di essere stati loro stessi colpiti con pugni e calci dal ragazzo il quale aveva avuto comportamenti similari anche con compagni di scuola») che esigono la dovuta attenzione: messa in atto di programmi/azioni, utili strumenti di prevenzione da una parte, di ausilio dell’alunno, dall’altra parte, quale risposta al rischio di infortunio da parte degli insegnanti e alunni.

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A distanza di alcuni giorni due TAR promuovono l’alunno riconoscendone il “merito”, da una parte, a fronte di una serie di insufficienze (TAR Lazio), dall’altra parte, la bocciatura all’esame di maturità (TAR Veneto): la giustizia “insegna”.

La sez. III Bis del TAR Lazio, Roma, con la sentenza n. 12042 del 3 agosto 2023, promuove un minore “disapplicando” (censurando) i criteri determinati per l’ammissione alla classe successiva che prevedevano un massimo di un’insufficienza grave e di alcune insufficienze lievi, operando quel bilanciamento imposto dalle norme di legge e da circolari ministeriali che esigono – nella scuola dell’obbligo – la promozione, dove la bocciatura costituisce una remota eccezione in presenza dell’impossibilità (tutta da dimostrare) di recupero nell’anno scolastico e quello d’avvenire, sempre con una motivazione che calibri l’attività dell’alunno e della scuola.

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La giusta promozione con sentenza contro le valutazioni della scuola

La giusta promozione con sentenza contro le valutazioni della scuola

A distanza di alcuni giorni due TAR promuovono l’alunno riconoscendone il “merito”, da una parte, a fronte di una serie di insufficienze (TAR Lazio), dall’altra parte, la bocciatura all’esame di maturità (TAR Veneto): la giustizia “insegna”.

La sez. III Bis del TAR Lazio, Roma, con la sentenza n. 12042 del 3 agosto 2023, promuove un minore “disapplicando” (censurando) i criteri determinati per l’ammissione alla classe successiva che prevedevano un massimo di un’insufficienza grave e di alcune insufficienze lievi, operando quel bilanciamento imposto dalle norme di legge e da circolari ministeriali che esigono – nella scuola dell’obbligo – la promozione, dove la bocciatura costituisce una remota eccezione in presenza dell’impossibilità (tutta da dimostrare) di recupero nell’anno scolastico e quello d’avvenire, sempre con una motivazione che calibri l’attività dell’alunno e della scuola.

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La sez. III Milano del T.A.R. Lombardia, con la sentenza 4 novembre 2019 n. 2300, interviene nel sanzionare la condotta irriguardosa nei confronti di un alunno tenuta da un compagno di scuola, segnando inevitabilmente una chiara indicazione precettiva nel censurare quelle manifestazioni di “violenza verbale” (c.d. bullismo) che operano all’interno di ambienti che dovrebbero “educare” la prole.

La sentenza è di vivo interesse giacché indica “la via” di condotta nei rapporti tra alunni ma estensibile, per ovvie ragioni di etica pubblica, nelle relazioni umane, ovvero nei rapporti tra “colleghi di lavoro” (sia con il pubblico) che devono essere improntati al rispetto reciproco e ai «doveri minimi di diligenza, lealtà, imparzialità e buona condotta che i pubblici dipendenti sono tenuti ad osservare», ex art. 1 del D.P.R. n. 62/2013.

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Bullismo, sanzioni disciplinari e la perdita dell’etica

Bullismo, sanzioni disciplinari e la perdita dell’etica

La sez. III Milano del T.A.R. Lombardia, con la sentenza 4 novembre 2019 n. 2300, interviene nel sanzionare la condotta irriguardosa nei confronti di un alunno tenuta da un compagno di scuola, segnando inevitabilmente una chiara indicazione precettiva nel censurare quelle manifestazioni di “violenza verbale” (c.d. bullismo) che operano all’interno di ambienti che dovrebbero “educare” la prole.

La sentenza è di vivo interesse giacché indica “la via” di condotta nei rapporti tra alunni ma estensibile, per ovvie ragioni di etica pubblica, nelle relazioni umane, ovvero nei rapporti tra “colleghi di lavoro” (sia con il pubblico) che devono essere improntati al rispetto reciproco e ai «doveri minimi di diligenza, lealtà, imparzialità e buona condotta che i pubblici dipendenti sono tenuti ad osservare», ex art. 1 del D.P.R. n. 62/2013.

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La sez. Unica del T.A.R. Valle D’Aosta, con la sentenza del 14 gennaio 2019, n. 2 accoglie il ricorso contro il diniego di adozione di un progetto individuale di vita rivolto ad un minore, condannando la Regione ad attivare ad un facere: l’adozione degli atti necessario per garantire i diritti del minore disabile, di cui all’art. 8 della L.R.V.D.A. n. 14/2008 con tutte le misure previste.

La Regione denegava, anche in sede di riesame, l’istanza per un provvedimento di approvazione di un progetto previsto dalla disciplina nazionale e regionale di settore, per la valorizzazione, integrazione e promozione della qualità di vita in favore delle persone con disabilità e delle loro famiglie (nel caso di specie, si trattava di un minore con grave disabilità riconosciuta, con necessità di assistenza infermieristica specializzata costante).

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Piena tutela del minore con disabilità alla richiesta di un progetto individuale di miglioramento della qualità di vita: un dovere di risultato in capo alla P.A.

Piena tutela del minore con disabilità alla richiesta di un progetto individuale di miglioramento della qualità di vita: un dovere di risultato in capo alla P.A.

La sez. Unica del T.A.R. Valle D’Aosta, con la sentenza del 14 gennaio 2019, n. 2 accoglie il ricorso contro il diniego di adozione di un progetto individuale di vita rivolto ad un minore, condannando la Regione ad attivare ad un facere: l’adozione degli atti necessario per garantire i diritti del minore disabile, di cui all’art. 8 della L.R.V.D.A. n. 14/2008 con tutte le misure previste.

La Regione denegava, anche in sede di riesame, l’istanza per un provvedimento di approvazione di un progetto previsto dalla disciplina nazionale e regionale di settore, per la valorizzazione, integrazione e promozione della qualità di vita in favore delle persone con disabilità e delle loro famiglie (nel caso di specie, si trattava di un minore con grave disabilità riconosciuta, con necessità di assistenza infermieristica specializzata costante).

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È illegittimo vietare il consumo di cibo portato da casa nei locali adibiti a refezione scolastica e durante tale servizio.

La controversia oggetto di intervento della quinta sez. del Cons. Stato, con la sentenza n. 5156 del 3 settembre 2018, nella sua essenzialità affronta una questione che un tempo costituiva la normalità: consumare in classe il mangiare portato da casa, senza beneficiare del pasto fornito dalla scuola.

Il ricorso vede come parte appellante un’Amministrazione locale contro un gruppo di genitori di alunni frequentanti le scuole materne ed elementari che si erano opposti alle determinazioni del Consiglio comunale che prevedeva l’obbligatorietà – per tutti gli alunni senza alcuna distinzione – del servizio di ristorazione scolastica, mentre nulla diceva sul consumo di merende in orario scolastico (che pure risulta essere un piccolo pasto).

Le determinazioni consiliari di istituzione e regolamentazione del servizio di refezione scolastica, oltre a imporre un limite alla libertà di mangiare come meglio ritenevano opportuno i genitori (la cura dei propri figli comprende l’educazione alimentare, si tratta della tutela dei c.d. diritti sociali alla salute, all’assistenza, all’istruzione), disponeva un precetto a favore dell’appaltatore del servizio sull’uso esclusivo dei beni pubblici: nei locali in cui si svolgeva la refezione scolastica era inibito il consumo di cibi diversi da quelli forniti dall’operatore economico.

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Libero panino in libera scuola.

Libero panino in libera scuola.

È illegittimo vietare il consumo di cibo portato da casa nei locali adibiti a refezione scolastica e durante tale servizio.

La controversia oggetto di intervento della quinta sez. del Cons. Stato, con la sentenza n. 5156 del 3 settembre 2018, nella sua essenzialità affronta una questione che un tempo costituiva la normalità: consumare in classe il mangiare portato da casa, senza beneficiare del pasto fornito dalla scuola.

Il ricorso vede come parte appellante un’Amministrazione locale contro un gruppo di genitori di alunni frequentanti le scuole materne ed elementari che si erano opposti alle determinazioni del Consiglio comunale che prevedeva l’obbligatorietà – per tutti gli alunni senza alcuna distinzione – del servizio di ristorazione scolastica, mentre nulla diceva sul consumo di merende in orario scolastico (che pure risulta essere un piccolo pasto).

Le determinazioni consiliari di istituzione e regolamentazione del servizio di refezione scolastica, oltre a imporre un limite alla libertà di mangiare come meglio ritenevano opportuno i genitori (la cura dei propri figli comprende l’educazione alimentare, si tratta della tutela dei c.d. diritti sociali alla salute, all’assistenza, all’istruzione), disponeva un precetto a favore dell’appaltatore del servizio sull’uso esclusivo dei beni pubblici: nei locali in cui si svolgeva la refezione scolastica era inibito il consumo di cibi diversi da quelli forniti dall’operatore economico.

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