La sez. V bis Roma, del TAR Lazio, con la sentenza 27 giugno 2025, n. 12775, individua quale requisito per l’ottenimento della cittadinanza italiana la residenza anagrafica nel territorio, aspetto da comprovare mediante una certificazione anagrafica, senza possibilità di “autocertificarlo” con altri elementi o situazioni di fatto[1].
La cittadinanza
La norma attributiva del potere, per il rilascio della cittadinanza prevede, tra i requisiti da possedere all’art. 9, comma 1, lettera f), della legge n. 91/1992, Nuove norme sulla cittadinanza, per lo straniero di essere residente «legalmente da almeno dieci anni nel territorio della Repubblica», presupposto che individua il suo reale radicamento al territorio, che accompagnato con altri profili (legami familiari, attività lavorativa), consentono di verificare la condotta che deve comunque mostrare, perlomeno e indefettibilmente, una convinta adesione ai valori fondamentali dell’ordinamento, di cui egli chiede di far parte con il riconoscimento della cittadinanza[2].
La concessione della cittadinanza, risulta un atto di “alta amministrazione”, ampiamente discrezionale, si traduce in un apprezzamento di opportunità in ordine al definitivo inserimento dell’istante all’interno della comunità nazionale, apprezzamento influenzato e conformato dalla circostanza che al conferimento dello status civitatis è collegata una capacità giuridica speciale, propria del cittadino, che comporta non solo diritti – consistenti, sostanzialmente, oltre che nel diritto attinente ai “diritti politici” di elettorato attivo e passivo (che consentono, mediante l’espressione del voto alle elezioni politiche, la partecipazione all’autodeterminazione della vita del Paese di cui si entra a far parte e la possibilità di assunzione di cariche pubbliche) – ma anche doveri nei confronti dello Stato-comunità – consistenti nel dovere di difenderla anche a costo della propria vita in caso di guerra («il sacro dovere di difendere la Patria» sancito, a carico dei soli cittadini, dall’art. 52 della Costituzione), nonché, in tempo di pace, nell’adempimento dei «doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale», consistenti nell’apportare il proprio attivo contributo alla Comunità di cui si entra a far parte (ex artt. 2 e 53 Cost.)[3].
Fatto
Con il ricorso si contesta la legittimità del decreto del Ministero dell’interno dove l’assenza della dimostrazione della residenza anagrafica, rende la domanda di cittadinanza inammissibile, donde l’impugnativa.
Il potere dello status
Il Collegio nel dichiarare il ricorso infondato, precisa da principio che la concessione della cittadinanza non è un atto dovuto (un diritto), ma il risultato di una valutazione ampiamente discrezionale[4], evincibile dalla piana lettura della fonte (cit.) dove il beneficio “può” essere concesso allo straniero che risieda legalmente da almeno dieci anni nel territorio della Repubblica.
L’utilizzo dell’espressione (facoltativa) evidenzia che la residenza nel territorio per il periodo minimo indicato è solo un presupposto per proporre la domanda a cui segue una valutazione ampiamente discrezionale sulle ragioni che inducono lo straniero a chiedere la nazionalità italiana e delle sue possibilità di rispettare i doveri che derivano dall’appartenenza alla comunità nazionale[5].
Il conferimento dello status civitatis, cui è collegata una capacità giuridica speciale[6], in assenza di fatti ostativi, si traduce in un apprezzamento di opportunità sulla base di un complesso di circostanze, atte a dimostrare l’integrazione del richiedente nel tessuto sociale, sotto il profilo delle condizioni lavorative, economiche, familiari e di irreprensibilità della condotta[7].
Merito
Fatte queste premesse di inquadramento, il requisito essenziale (richiesto dalla norma) della residenza si collega alla “durata” e alla “continuità” della permanenza del richiedente nel territorio della Repubblica.
La norma postula che:
- lo straniero risieda legalmente nel territorio della Repubblica “da almeno” dieci anni, intendendosi che il decennio della residenza è requisito di fatto che deve perdurare anche dopo la maturazione del decennio sino, dunque, al momento del giuramento.
- la “durata” della permanenza sul suolo nazionale rileva quale indice di un legame tra lo straniero e il territorio del Paese ospitante;
- in dipendenza di ciò, questo formale e sostanziale legame costituisce il presupposto e la ragione della naturalizzazione, non potendo rilevare una posizione di mera “residenza abituale”, ma solo quello in “posizione di legalità”, in quanto indicativo della piena integrazione nel tessuto nazionale da parte dell’aspirante cittadino[8].
A rafforzare l’orientamento si riafferma che il presupposto della residenza legale non possa essere dimostrato attraverso prove diverse dalla certificazione anagrafica: l’art. 1 del DPR n. 362/1994 e l’art. 1, comma 2, lett. a), del DPR n. 572/1993 prevedono, infatti, che la prova della residenza possa essere fornita solo con riferimento alle risultanze dei Registri dell’Anagrafe dei residenti, non essendo consentita la surrogazione di tale elemento con indizi di carattere presuntivo o elementi sintomatici indiretti (come ad esempio contratti di lavoro, buste paga, contratti di locazione ecc.)[9].
Sintesi
Il requisito della permanenza nel territorio per la concessione della cittadinanza italiana esige ai fini della dimostrazione (prova) l’iscrizione anagrafica ininterrotta: un requisito ineludibile non sostituibile con altre forme di prova, ad esempio, la prestazione lavorativa, in assenza del formale titolo di soggiorno; aspetto che dimostra semmai che «l’istante è vissuto in una situazione di illegalità nelle more della regolarizzazione della propria posizione lavorativa violando le norme giuslavoristiche e omettendo di adempiere ai doveri di solidarietà connessi con il rilascio della cittadinanza ed estrinsecantisi nel puntuale assolvimento degli obblighi tributari».
In definitiva, la presenza nel territorio in una forma non legale acclara l’assenza di un requisito base: una non adesione corretta ai valori ordinamentali per ottenere la cittadinanza italiana: il conferimento dello status di cittadino, presuppone che nessun dubbio, nessuna ombra di inaffidabilità del richiedente sussista, anche con valutazione prognostica per il futuro, circa la piena adesione ai valori costituzionali su cui la Repubblica Italiana si fonda, dove la permanenza irregolare non può trovare “cittadinanza” (appunto) nell’ordinamento (nei principi di legalità e di acquisizione dei diritti politici di elettorato attivo e passivo)[10].
(pubblicato, gruppodelfino.it, 30 luglio 2025)
[1] In merito all’iscrizione nei registri anagrafici della popolazione, la controversia sul diniego involgente posizioni di diritto soggettivo direttamente collegate al concetto di residenza e a puntuali situazioni di fatto, la stessa rientra nella giurisdizione del giudice ordinario, TAR Lazio, Roma, sez. II, 3 maggio 2016, n. 5043.
[2] La concessione della cittadinanza italiana per residenza richiede che l’Amministrazione verifichi, oltre alla residenza continuativa, l’inserimento del richiedente nel contesto sociale del Paese, considerando anche la condotta irreprensibile, Cons. Stato, sez. III, 10 febbraio 2025, n. 1037.
[3] TAR Lazio, Roma, sez. V stralcio, 16 settembre 2024, n. 16400.
[4] Un atto squisitamente discrezionale di “alta amministrazione”, condizionato all’esistenza di un interesse pubblico che con lo stesso atto si intende raggiungere e da uno status illesae dignitatis (morale e civile) di colui che lo richiede, Cons. Stato, sez. III, 7 gennaio 2022, n. 104.
[5] Cons. Stato, sez. III, 23 luglio 2018, n. 4447.
[6] L’interesse pubblico sotteso al provvedimento di concessione della particolare capacità giuridica, connessa allo status di cittadino, impone che si valutino, anche sotto il profilo indiziario, le prospettive di ottimale inserimento del soggetto interessato nel contesto sociale del Paese ospitante, TAR Lazio, Roma, sez. II-quater, 4 giugno 2013, n. 5565.
[7] Cons. Stato, sez. VI, 9 novembre 2011, n. 5913; 10 gennaio 2011, n. 52; TAR Lazio, Roma, sez. II-quater, 18 aprile 2012, n. 3547.
[8] Cons. Stato, sez. I, parere 30 novembre 92, n. 2482; TAR Lazio, Roma, sez. V, 2 dicembre 2024, n. 21587.
[9] Il requisito della residenza legale decennale continuativa deve essere comprovato attraverso un’ininterrotta iscrizione anagrafica nel territorio nazionale; tale iscrizione non può essere surrogata da altre prove indirette di presenza sul suolo italiano: la cancellazione anagrafica per irreperibilità interrompe la continuità della residenza legale necessaria per la concessione della cittadinanza, TAR Lazio, Roma, sez. V bis, 24 febbraio 2025, n. 4015 e 24 febbraio 2025, n. 3994; sez. stralcio, 2 dicembre 2024, n. 21587.
[10] Cfr. Cons. Stato, sez. III, sentenza n. 657/2017.