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Articolo Pubblicato il 4 Luglio, 2024

Modello FOIA e accesso ai test molecolari

Modello FOIA e accesso ai test molecolari

La sez. I del TAR Veneto, con la sentenza 10 giugno 2024, n. 1358, conferma il diritto di accesso civico generalizzato (ex art. 5, comma 2, del d.lgs. n. 33 del 2013, per tutti modello FOIA) nei confronti di un soggetto privato per l’attività di interesse pubblico (farmacia, quale attività d’impresa che consiste nella vendita di medicinali immessi in commercio, artt. 119 ss., r.d. 27 luglio 1934, n. 1265), soggetto rientrante nell’ambito applicativo dell’art. 2 bis, comma 3, del decreto Trasparenza.

Il modello FOIA

L’accesso civico generalizzato, introdotto nel corpus normativo del d.lgs. n. 33 del 2013 dal d.lgs. n. 97 del 2016, in attuazione della delega contenuta nell’art. 7, della legge n. 124 del 2015, è diritto di “chiunque”, non sottoposto ad alcun limite quanto alla legittimazione soggettiva del richiedente e senza alcun onere di motivazione circa l’interesse alla conoscenza; in esso, la trasparenza si declina come “accessibilità totale[1] e come diritto fondamentale volto al miglior soddisfacimento degli altri diritti fondamentali che l’ordinamento giuridico riconosce alla persona[2].

La questione

Il ricorso viene azionato per acquisire, da una farmacia, i dati dei test molecolari, lasciapassare del tracciamento del virus SARS-CoV-2, dunque un’attività/servizio necessaria/o ad implementare le piattaforme regionali e nazionali del green pass.

La società presentava un fatturato che superava i 500.000 € annui, soddisfando le condizioni previste dalla normativa per l’esercizio dell’accesso generalizzato nei confronti degli enti di diritto privato che esercitano funzioni amministrative, attività di produzione di beni e servizi a favore delle amministrazioni pubbliche o di gestione di servizi pubblici, «limitatamente ai dati e ai documenti inerenti all’attività di pubblico interesse disciplinata dal diritto nazionale o dell’Unione europea».

Il diniego all’accesso (rectius silenzio), ad avviso della parte ricorrente, risultava illegittimo.

Merito

Il Tribunale, nell’accogliere parzialmente l’accesso civico generalizzato, ne riconosce l’applicazione al soggetto (individuato dal Ministero della Salute per l’attività diagnostica in relazione al contagio) che ha effettuato i test rientrando nella casistica della norma, rilevando, altresì, l’ambito oggettivo: «favorire forme diffuse di controllo sul perseguimento delle funzioni istituzionali e sull’utilizzo delle risorse pubbliche e di promuovere la partecipazione al dibattito pubblico», ovvero la piena legittimazione di chiunque nel richiedere il dato senza l’esigenza di alcuna motivazione, a differenza del diritto di accesso documentale.

In termini diversi, il diritto di accesso civico generalizzato, strumento conoscitivo (già presente nel diritto di accesso ambientale in base alla Convenzione di Aarhus che sancisce il diritto di chiunque di accedere alle informazioni sull’ambiente)[3] esercitabile uti cives, atteso che l’accesso civico generalizzato presenta di per sé una posizione sostanziale legittimante, ammettendo la tutela di pretese meno incisive rispetto all’accesso documentale, in presenza di interessi antagonisti rilevanti, ed in questo bilanciamento tra tutela della riservatezza e della segretezza prevale la trasparenza[4].

La trasparenza prevale sull’esigenza di riservatezza, ed in questo rapporto di interessi antagonisti i limiti imposti al sacrificio della riservatezza si contrappone l’esigenza conoscitiva che non comprime l’attività del privato, ossia quel «sacrificio imposto all’organizzazione aziendale e alla capacità di svolgere l’attività istituzionale (e, nel caso di specie, l’attività d’impresa, e tramite essa, l’erogazione del servizio farmaceutico di interesse pubblico)».

In questo senso, l’esercizio dell’accesso generalizzato non può essere causa di intralcio al buon funzionamento del destinatario della richiesta, dovendo essere esercitato in modo non disfunzionale rispetto alla finalità conoscitiva non potendo essere trasformato in una causa di intralcio al buon funzionamento della PA, dovendo operare in linea con un altro principio canonizzato dal comma 2 bis dell’art. 1 della legge n. 241/1990: va usato secondo buona fede, che non può che significare di natura collaborativa.

La valutazione concreta

La valutazione della richiesta deve essere svolta caso per caso, con un’istruttoria prudente, valutando nel concreto il giusto bilanciamento tra esigenze di trasparenza e tutela del terzo (l’interesse aziendale coinvolto), ed effettuando questa comparazione, non in via astratta, si può giustificare l’eventuale diniego dimostrando l’interesse antagonista.

Invero, il ragionamento sottende un uso non corretto dell’istituto finalizzato a superare i limiti dell’accesso documentale, una forma più qualificata dell’accesso: l’uso pratico dell’accesso civico non può estendersi per aggirare i limiti posti dall’art. 24 della legge n. 241/1990, visto che il rapporto tra tali due tipi di accesso è non già di continenza, ma di scopo e, quindi, di diversa utilità ritraibile: l’accesso procedimentale, fin dalla stesura originale dell’art. 22, comma 1 della legge 241/1990, è preordinato a soddisfare un interesse specifico ma strumentale di chi lo fa valere per ottenere un qualcos’altro che sta dietro alla (e si serve della) conoscenza incorporata nei dati o nei documenti accessibili, donde il forte accento che le norme pongono sulla legittimazione e sui limiti connessi.

Di contro, l’accesso civico generalizzato soddisfa un’esigenza di cittadinanza proattiva, incentrata sui doveri inderogabili di solidarietà democratica, di controllo sul funzionamento dei pubblici poteri e di fedeltà alla Repubblica e non su libertà singolari, onde tal accesso non può mai essere egoistico, poiché qui l’accento cade sul “diritto” non agli open data, che ne sono il mero strumento, bensì al controllo e la verifica democratica della gestione del potere pubblico (o dei concessionari pubblici), e ciò anche oltre la mera finalità anticorruttiva che lo alimenta (la legge n. 190/2012) , che pur essendo stata la matrice dell’accesso civico, non ne esaurisce le ragioni (inverate dal d.lgs. n. 97/2016).

Il Tribunale, richiamando il precedente[5], ricorda la ratio dell’accesso civico nella dichiarata finalità di favorire forme diffuse di controllo sul perseguimento delle funzioni d’istituto e sull’utilizzo delle risorse pubbliche, nonché nella promozione della partecipazione al libero dibattito pubblico, onde esso non è utilizzabile in modo disfunzionale rispetto alla predetta finalità ed essere trasformato in una causa di intralcio al buon funzionamento della PA, garantendo un delicato ma giusto bilanciamento che non obliteri l’applicazione di tal istituto, che non se ne faccia un uso malizioso e, per quel che concerne nella specie, non si crei una sorta di effetto “boomerang” sulla PA destinataria.

La cornice di riferimento postula che l’accesso civico generalizzato deve essere esercitato secondo i canoni della buona fede e delle esigenze conoscitive che non tollerano irragionevoli aggravi procedimentali, con richieste massive ed abnormi, di straordinaria ampiezza e quantità, «non essendo peraltro precluso alla ricorrente di declinare la propria richiesta nelle forme dell’accesso documentale, e attraverso tale specifico mezzo palesare quel particolare interesse personale, diretto, concreto e attuale all’ostensione, astrattamente idoneo a contrapporsi all’intrinseco limite organizzativo, insito nell’accesso civico».

L’accesso viene accolto limitatamente ad alcuni quesiti conoscitivi rimasti inevasi, «l’elaborazione dei quali, da un lato, non può ritenersi produttiva di significative disfunzionalità e, dall’altro lato, appare conforme al dipanarsi della finalità partecipativa sottostante all’istituto».

Nello specifico, vengono accolte le seguenti richieste, con nomina di un commissario ad acta in caso di inerzia: «(A) Da quale data la Vs farmacia effettua test antigenici che riversa sulla piattaforma regionale di rilevamento del virus Sars-cov-2? (B) Quali sono i test antigenici per Sars-cov-2 (nome commerciale e marca) che nel corso degli anni la Vs farmacia ha utilizzato?».

Vengono respinti altri quesiti proposti dalla parte ricorrente, proprio per la loro complessità e onerosità di risposte, oltre che esigenze elaborative e di oscuramento di dati personali, a discapito dell’andamento aziendale e dell’erogazione del servizio farmaceutico, destinato pur sempre al soddisfacimento di un interesse pubblico connesso al diritto alla salute[6].

Tendenze fuori moda

A ben vedere, si celebra la riservatezza dei dati (nell’estensione, biometrici, facciali, sanitari), si celebra il modello FOIA; tuttavia, quando si analizzano le condotte mantenute nel periodo pandemico (o della crisi energetica o degli armamenti), con un sistematico ed inutile tracciamento delle persone, pensando errando di immolare il virus, e si invoca trasparenza di tali abnormi e invasive condotte, che hanno comportato un ingente dispendio di risorse pubbliche, in una serie di presidi sanitari costosi per il singolo e la collettività, con effetti avversi gravi conosciuti già allora[7], l’accesso civico generalizzato non trova una compiuta risposta, anzi.

Si richiama pesantemente l’interesse tutelato dalla norma consistente nel soddisfacimento di un interesse che presenti una valenza pubblica, dimostrando che le richieste di trasparenza di quanto fatto sono (invece) confinate ad un bisogno conoscitivo esclusivamente privato, individuale, egoistico o peggio emulativo che, lungi dal favorire la consapevole partecipazione del cittadino al dibattito pubblico, compromette le stesse istanze alla base dell’introduzione dell’istituto.

Un evidente ossimoro giuridico, una cancellazione dell’istituto (FOIA) ritenendo che il suo uso non sia compatibile con le finalità conoscitive di interesse generale, quelle finalità che permetterebbero di capire quanto e quanti hanno lucrato sulla salute pubblica, quanti danni economici sono stati prodotti (la c.d. spinta gentile), quanti dovevano agire e non hanno agito, confondendo i diritti e le tutele in nome della scienza (riserva), invertendo il principio di precauzione, affidandosi all’ignoto irriducibile.

(PUBBLICATO, lentepubblica.it, 4 luglio 2024)

[1] Corte Cost., 21 febbraio 2019, n. 20.

[2] Cons. Stato, AP, 2 aprile 2020, n. 10.

[3] La Direttiva n. 2003/4/CE ha recepito la Convenzione di Aarhus, mentre a livello nazionale è stata attuata dal d.lgs. 19 agosto 2005, n. 195, dove al comma 1, dell’art. 3 è previsto che la PA sia tenuta a mettere a disposizione le informazioni ambientali «a chiunque ne faccia richiesta, senza che questi debba dichiarare il proprio interesse». Cfr. LUCCA, Ultimi approdi del diritto di accesso ambientale, appalti&contratti.it, 10 gennaio 2020, dove si chiarisce che, in materia di diritto di accesso ambientale, è previsto un regime di pubblicità tendenzialmente integrale dell’informativa ambientale, sia per ciò che concerne la legittimazione attiva, ampliando notevolmente il novero dei soggetti legittimati all’accesso in materia ambientale, sia per quello che riguarda il profilo oggettivo, prevedendosi un’area di accessibilità alle informazioni ambientali svincolata dai più restrittivi presupposti, di cui agli artt. 22 e segg., della legge 7 agosto 1990 n. 241.

[4] Cfr. Cons. Stato, sez. V, 20 marzo 2019, n. 1817; TAR Friuli Venezia Giulia, 11 febbraio 2022, n. 95, punto 8.1; TAR Sardegna, 9 aprile 2021, n. 254,

[5] Cons. Stato, sez. VI, 13 agosto 2019, n. 5702 e ANAC, delibera 9 marzo 2022, prot. n. 1868.

[6] Cfr. Cons. Stato, sez. III, 10 aprile 2019, n. 2367; 1° marzo 2017, n. 959 e 31 dicembre 2015, n. 5884.

[7] Vedi, LUCCA, I malori da vaccini: una cruda verità, comedonchisciotte.org, 2 settembre 2023.