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Articolo Pubblicato il 1 Settembre, 2021

Nessuna inconferibilità tra assessore comunale e P.O. non apicale

Nessuna inconferibilità tra assessore comunale e P.O. non apicale

La massima

Con delibera n. 580 del 28 luglio 2021 (Fasc. n. 1617/2021) l’Autorità Nazionale Anticorruzione (ANAC) ha dichiarato l’insussistenza di un’ipotesi di incompatibilità, di cui all’art. 12, comma 4, lett. b), del d.lgs. n. 39/2013, fra la carica di assessore comunale (con popolazione superiore a 15.000 abitanti) e l’incarico di posizione organizzativa non apicale (sotto ordinata alla dirigenza) presso la Provincia della stessa Regione del Comune.

Il potere ANAC

È noto che l’art. 16, comma 1, del d.lgs. 8 aprile 2013, n. 39, dispone che «l’Autorità nazionale anticorruzione vigila sul rispetto, da parte delle amministrazioni pubbliche, degli enti pubblici e degli enti di diritto privato in controllo pubblico, delle disposizioni di cui al presente decreto, anche con l’esercizio dei poteri ispettivi e di accertamento delle singole fattispecie di conferimento degli incarichi»: un potere di accertamento costitutivo di effetti giuridici, nel senso che l’ANAC valuta la conformità a legge del conferimento ad un certo soggetto di un dato incarico dirigenziale o di vertice della P.A. o degli altri soggetti per i quali la disciplina trova applicazione: questa «valutazione non si esaurisce in un opinamento, ma è produttiva di conseguenze giuridiche, perciò ha carattere provvedimentale»[1].

La disciplina dell’inconferibilità

Il comma 4, lettera b) dell’art. 12, Incompatibilità tra incarichi dirigenziali interni e esterni e cariche di componenti degli organi di indirizzo nelle amministrazioni statali, regionali e locali, del d.lgs. n. 39/2013, prevede che «Gli incarichi dirigenziali, interni e esterni, nelle pubbliche amministrazioni, negli enti pubblici e negli enti di diritto privato in controllo pubblico di livello provinciale o comunale sono incompatibili… con la carica di componente della giunta o del consiglio di una provincia, di un comune con popolazione superiore ai 15.000 abitanti o di una forma associativa tra comuni avente la medesima popolazione, ricompresi nella stessa regione dell’amministrazione locale che ha conferito l’incarico».

Gli incarichi dirigenziali

L’Autorità, dopo l’attività istruttoria interlocutoria, procede con l’analisi giuridica della norma, escludendo l’applicazione dell’ipotesi cit. della lettera b), in relazione alla condizione di non assimilazione tra P.O. e incarico dirigenziale, in base alla definizione dell’art. 1, comma 2, lettera j) del d.lgs. n. 39/2013, dove per “incarichi dirigenziali interni” comprende «gli incarichi di funzione dirigenziale, comunque denominati, che comportano l’esercizio in via esclusiva delle competenze di amministrazione e gestione… conferiti a dirigenti o ad altri dipendenti, ivi comprese le categorie di personale di cui all’articolo 3 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, appartenenti ai ruoli dell’amministrazione che conferisce l’incarico ovvero al ruolo di altra pubblica amministrazione»[2].

A rafforzare questa tesi viene richiamato a contrario un precedente orientamento n. 4 del 15 maggio 2014, riformulato in data 19 marzo 2015, ove si stabiliva che «sussiste l’incompatibilità, ai sensi dell’art. 12, comma 4 lett. b) del d.lgs. n. 39/2013, tra l’incarico di posizione organizzativa in un ente locale, conferito ai sensi dell’art. 109, comma 2 del d.lgs. n. 267/2000 e la carica di componente della giunta o dell’assemblea della forma associativa di cui il medesimo ente locale fa parte, in quanto tale incarico è qualificabile come incarico di funzioni dirigenziali a personale non dirigenziale, fatta salva l’ipotesi che il conferimento dello stesso sia avvenuto prima dell’entrata in vigore del citato decreto 39, secondo quanto stabilito dall’art. 29-ter del d.l. n. 69/2013».

L’ANAC riferisce che l’orientamento cit. fa esplicito riferimento ad una P.O. conferita ai sensi dell’art. 109, Conferimento di funzioni dirigenziali, del TUEL, assimilabile ad un incarico dirigenziale, in relazione alle previsioni del comma 2 dove «nei comuni privi di personale di qualifica dirigenziale le funzioni di cui all’articolo 107, commi 2 e 3, fatta salva l’applicazione dell’articolo 97, comma 4, lettera d), possono essere attribuite, a seguito di provvedimento motivato del sindaco, ai responsabili degli uffici o dei servizi, indipendentemente dalla loro qualifica funzionale, anche in deroga a ogni diversa disposizione».

P.O. e funzioni apicali

In termini divulgativi, pur trattandosi di un medesimo incarico di responsabilità la norma va riferita agli incarichi apicali, dove il soggetto esercita la funzione dirigenziale piena, pur non rivestendone la qualifica contrattuale: un’identità di responsabilità non mediate da una figura sovraordinata, come nel caso di P.O. posto alle dipendenze funzionali di un dirigente.

In questo senso e a conferma del principio di assimilazione viene valutato nel concreto l’incarico di P.O., avvenuto con determinazione dirigenziale di conferimento, che ex se pur anche con affidamento di funzioni decisorie (insite nel ruolo ricoperto, ex art. 13 CCNL 21 maggio 2018, ovvero con conferimento di delega) la responsabilità dirigenziale non può essere pretermessa, quanto attenuata: i ruoli e connesse responsabilità rimangono distinte.

Ed in effetti nella determinazione si esprimeva tale modalità organizzativa di lavoro sotto la direzione del dirigente: «di stabilire che nel perseguimento degli obiettivi sopra assegnati l’incaricato si adoperi attuando gli indirizzi impartiti dal Dirigente supportandolo soprattutto nelle seguenti attività del Settore»: un’attività che soggiace agli indirizzi dirigenziali, non dunque in piena autonomia decisionale e/o organizzativa, pur avendo ricevuto delega ad alcune funzioni dirigenziali[3] in base ad una norma regolamentare interna e alla disciplina dell’art. 17, comma 1 bis del d.lgs. n. 165/2001: «I dirigenti, per specifiche e comprovate ragioni di servizio, possono delegare per un periodo di tempo determinato, con atto scritto e motivato, alcune delle competenze comprese nelle funzioni di cui alle lettere b), d) ed e) del comma 1 a dipendenti che ricoprano le posizioni funzionali più elevate nell’ambito degli uffici ad essi affidati. Non si applica in ogni caso l’articolo 2103 del codice civile».

La delegazione amministrativa

È noto che la delega (a termine) non è un trasferimento tout court di tutte le funzioni (sine die), soggiace ai principi costituzionali dell’art. 97 Cost. («Nell’ordinamento degli uffici sono determinate le sfere di competenza, le attribuzioni e le responsabilità proprie dei funzionari»), riferito al principio di inderogabilità delle funzioni, sotteso al principio di legalità dell’azione amministrativa e al principio di riserva di competenza, rilevando che la delega di “funzioni[4] autorizza l’esercizio della competenza dal titolare trasferita al delegato (c.d. delegazione amministrativa), con relativa responsabilità propria[5]; si distingue, altresì, dalla delega alla “firma” che realizza, quest’ultima, un mero decentramento burocratico senza rilevanza esterna, restando l’atto firmato dal delegato imputabile all’organo delegante, con la conseguenza che, nell’ambito dell’organizzazione interna dell’ufficio, l’attuazione di detta delega di firma può avvenire anche mediante ordini di servizio, senza necessità di indicazione nominativa, essendo sufficiente l’individuazione della qualifica rivestita dall’impiegato delegato, la quale consente la successiva verifica della corrispondenza tra sottoscrittore e destinatario della delega stessa[6].

Assenza di responsabilità dirigenziale

Il quadro fattuale dimostra che le funzioni concretamente e specificatamente esercitate dalla P.O., conferita ai sensi dell’art. 13 del CCNL 2016-2018 – e non ai sensi dell’art. 109, comma 2, del TUEL, non sono assimilabili alla categoria degli incarichi dirigenziali, così come definiti dall’art. 1, comma 2, lettera j), del d.lgs. n. 39/2013, e che, pertanto, non si è integrata la fattispecie di incompatibilità, di cui alla lettera b), del comma 4, dell’art. 12 del d.lgs. 39/2013: manca un esercizio stabile di responsabilità e autonomia, tipico della dirigenza.

Una misura concreta

La norma di riferimento, e più in generale il d.lgs. n. 39/2013, svolge una funzione che si richiama direttamente ai principi costituzionali dell’art. 54, 97 e 98 Cost., richiedendo che il soggetto chiamato ad amministrare i beni pubblici (che essendo pubblici non sono per loro natura personali) dovrebbe assolvere (secondo le indicazioni dei diversi PNA)[7] la funzione ricoperta in modo imparziale (con onorabilità e moralità, senza una sentenza di condanna anche non definitiva per reati contro la Pubblica Amministrazione), al riparo da condizionamenti impropri che possano provenire dalla sfera politica e dal settore privato, evitando lo svolgimento di certe attività/funzioni in conflitto di interessi e che possano agevolare la precostituzione di situazioni favorevoli al fine di ottenere incarichi dirigenziali e posizioni assimilate post incarico (serve un periodo di raffreddamento) e, quindi, comportare il rischio di un accordo corruttivo per conseguire il vantaggio in maniera illecita.

Allo stesso tempo, la legge ha anche valutato in via generale che il contemporaneo svolgimento di alcune attività potrebbe generare il rischio di svolgimento imparziale dell’attività amministrativa, costituendo un terreno favorevole a illeciti scambi di favori, quando un soggetto si trova in una posizione che richiederebbe l’astensione, ovvero optare per una carica, essendo incompatibile il loro contemporaneo esercizio.

Il legislatore ha inteso evitare le c.d. contiguità, le porte girevoli (pantouflage), le interessenze decisionali, arginando quelle situazioni che compromettono la serenità di giudizio: «quei diffusi fenomeni di “convergenza” tra interessi pubblici, in cui la promozione di un diritto o di un interesse pubblico si riduce a mero alibi per la promozione di un interesse privato»[8].

Si coglie che una parte dell’essenza della norma persegue l’obiettivo di prevenire quelle situazioni ambientali che possono nuocere in via potenziale all’imparzialità, all’esercizio del potere amministrativo neutro senza interferenze territoriali.

Significativo ed espressione di una misura di “distanziamento” sono le indicazioni (preclusioni) riscontrabili nel bando di concorso indetto dal Ministero dell’Interno, per la copertura di milleduecentoventisette posti di allievo agente della Polizia di Stato, con talune riserve (GU n. 56 del 16 luglio 2021) dove all’art. 18, Ammissione dei vincitori al corso di formazione, al punto 3, si legge «gli allievi agenti della Polizia di Stato, al termine del corso di formazione previsto, sono assegnati in sedi di servizio diverse dalla regione di origine, da quella di residenza e da quelle limitrofe. A tal fine, la Regione Siciliana è considerata limitrofa alla Regione Calabria».

Nel complesso l’astensione esige che il soggetto non possa ricoprire taluni incarichi per la presenza di un potenziale conflitto di interessi, presenti/futuri, evitando ex ante l’assunzione del ruolo e delle funzioni, una valutazione del legislatore a fronte di situazioni ex lege inconferibili/incompatibili[9].

[1] Cons. Stato, sez. V, 11 gennaio 2018, n. 126.

[2] Cfr. Nessuna situazione di inconferibilità e incompatibilità (ex d.lgs. n. 39/2013) per la partecipazione ad una procedura concorsuale a dirigente: va accertata all’esito della nomina, mauriziolucca.com, 19 agosto 2020, ove si analizza la disciplina e la sua applicazione.

[3] Nello specifico: «direzione, coordinamento e controllo dell’attività degli uffici, dei responsabili dei procedimenti amministrativi e delle altre P.O. del settore omissis, anche con poteri sostitutivi in caso di inerzia; gestione del personale del settore omissis, anche ai sensi di quanto previsto all’articolo 16, comma 1, lettera l bis del d.lgs. 165/2001». In sede di contradittorio veniva dichiarato che le funzioni non si configurano di natura dirigenziale, nemmeno di natura vicaria e neppure in via esclusiva.

[4] Da non confondere con le funzioni “vicarie” nell’ipotesi di impossibilità di esercizio delle funzioni da parte di soggetto titolare della competenza, allorché specifiche disposizioni di legge, oppure i relativi statuti prevedano questa figura sostitutiva; il vicario, ove si verifichino le condizioni previste, è autorizzato ad esercitare tutte le attribuzioni proprie del sostituito, senza necessità di apposita delega, Cass. civ., sez. III., 12 maggio 2017, n. 11776.

[5] Cfr. TESSARO, La delega dei poteri Dirigenziali dopo la normativa di Riforma, Comuni, 2003, n. 2, pagg. 63 ss., dove si analizza la delegazione amministrativa ammessa solo nei casi espressamente previsti da singole e particolari norme di legge e, come tali, di stretta interpretazione.

[6] Cass. civ., sez. V, 19 aprile 2019, n. 11013.

[7] Cfr. ANAC, delibera n. 1201 del 18 dicembre 2019, Indicazioni per l’applicazione della disciplina delle inconferibilità di incarichi presso le pubbliche amministrazioni e presso gli enti privati in controllo pubblico in caso di condanna per reati contro la pubblica amministrazione – art. 3 d.lgs. n. 39/2013 e art. 35 bis d.lgs. n. 165/2001.

[8] DI RIENZO e FERRARINI, Viaggio nel mondo dei conflitti di interessi, Azienditalia, 2021, n. 4, pag. 792.

[9] Cfr. l’art. 18 dell’Ordinamento giudiziario (il cui testo vigente è quello che segue l’art. 19, comma 1, d.lgs. 23 febbraio 2006, n. 109) in tema di «incompatibilità di sede per rapporti di parentela o affinità con esercenti la professione forense», applicabile ai magistrati amministrativi, in forza di quanto disposto dall’art. 28 della legge 27 aprile 1982, n. 186, il quale rende incompatibilità la nomina a presidente di TAR monosezionale per incompatibilità di sede per rapporti di parentela o affinità con esercenti la professione forense; una presunzione assoluta di incompatibilità che opera per categorie e che astrae dalla necessità di un concreto conflitto di interessi e perciò non prevede né ammette prove contrarie, Cons. Stato, sez. V, 6 aprile 2021, n. 2759.