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Articolo Pubblicato il 28 Giugno, 2025

Società pubblica e vincolo di scopo

Società pubblica e vincolo di scopo

La sez. IV, del Consiglio di Stato, con la sentenza 17 giugno 2025 n. 5289, delimita i limiti esterni delle società partecipate, quelle a doppio oggetto, con vincoli più restrittivi delle società in house, per tutelare la concorrenza tra imprese private (il c.d. leveling the playing field)[1], le quali possono operare all’interno delle attività affidate dai soci non potendo entrare nel libero mercato, avendo vincoli di scopo invalicabili: la società mista, pubblico frazionato al 51% (incapace da solo di controllare la società, ex art. 2359 c.c.) e privato, non può concorrere a gare bandite da Enti non soci.

Una scelta gestionale

Le società miste, costituite con la gara a doppio oggetto per la scelta del socio privato e per l’affidamento di uno specifico servizio pubblico, debbono espletare – in via esclusiva – il servizio per il cui affidamento sono state costituite e, pertanto, non possono essere affidatarie di altri servizi o partecipare a gare indette da altre Amministrazioni, anche se relative a servizi similari.

A rafforzare il limite il fatto che la durata della società è intimamente (“indissolubilmente”) collegata al servizio, da cui la sua funzionalizzazione o causa.

Invero, la scelta della società mista, quale modalità di gestione di un servizio pubblico, qualora effettuata, non è, comunque, irreversibile[2].

Comparazione di modelli societari

Si può effettuare una differenziazione tra modelli societari:

  • in house risponde alla scelta di ricorrere alla auto-organizzazione amministrativa, oggi sancita dall’omonimo principio di cui all’art. 7 del nuovo Codice dei contratti pubblici, con possibilità di partecipare ad altri servizi, mancando il socio privato.
  • società mista risponde, invece, alla scelta di ricorrere al privato – individuato tramite una vera e propria procedura di affidamento a evidenza pubblica – nella veste di socio e non di appaltatore: da tale modello il privato non può acquisire (come si è detto) indebiti vantaggi competitivi su commesse diverse.

Fatto

Nel caso di specie, la società mista non avrebbe potuto partecipare alla eventuale gara che il Comune aveva ritenuto di avviare per l’affidamento del servizio di gestione rifiuti sul proprio territorio, avendo quale “oggetto esclusivo” della propria attività soltanto il servizio affidato in concessione, con la gara a doppio oggetto, non potendosi invocare in senso contrario neppure le previsioni statutarie, relative all’oggetto sociale, che deve essere contenuto nelle prescrizioni limitative dell’art. 17 del d.lgs. n. 175/2016 (TUSP).

L’oggetto del servizio messo a gara era limitato al servizio di raccolta di rifiuti nell’ambito del bacino territoriale dei Comuni aderenti alla società, senza possibilità di svolgere analogo servizio in favore di altri Comuni: lo stesso piano industriale era dimensionato (c.d. calibrazione “in relazione alla prestazione per cui la società è stata costituita”) in relazione al bacino territoriale di utenza (ossia, gli abitanti dei Comuni interessati), ma non mediante partecipazione alle gare dagli stessi indette per la raccolta dei rifiuti, bensì previa loro adesione volontaria alla società, nella logica del rafforzamento dell’Ambito territoriale ottimale, ai sensi dell’art. 200 del d.lgs. n. 152 del 2006.

Le società a controllo pubblico

Si possono considerare società miste “a controllo pubblico” anche quelle “a controllo pubblico frazionato” in cui i soci pubblici dispongono complessivamente, in assemblea ordinaria, della maggioranza dei voti previsti dall’art. 2359 c.c.[3], anche se la quota del socio privato è superiore alla quota di ciascun singolo socio pubblico, anche se mancano specifici patti parasociali o vincoli statutari e anche se il socio privato nomina l’amministratore delegato.

Infatti, ai sensi dell’art. 2, comma 1, lettera m), del d.lgs. n. 175/2016, sono società a controllo pubblico, senza eccezioni, tutte quelle in cui “una o più amministrazioni pubbliche” dispongano della “maggioranza dei voti esercitabili nell’assemblea ordinaria”, ai sensi dell’art. 2359 c.c.[4]: si tratta di ipotesi tra loro alternative e incondizionate, quella per cui la predetta maggioranza dei voti debba essere garantita da “una” o “più amministrazioni pubbliche”, anche in assenza di vincoli giuridici di coordinamento (la ratio è quella di evitare che possano strumentalmente sottrarsi all’applicazione delle disposizioni speciali dettate dal TUSP nei confronti delle “società a controllo pubblico”, eccependo l’assenza di norme statutarie o di patti di sindacato fra i soci pubblici, tutti di minoranza).

Sotto altro orientamento, il dato testuale della norma che richiama un «potere», in correlazione alla lett. b) del medesimo articolo[5], è tale per cui non è sufficiente a tali fini una semplice sommatoria delle partecipazioni di soggetti pubblici tale da esprimere la maggioranza del capitale sociale – potendosi diversamente conformare e modulare gli assetti di potere nell’ambito degli organi societari – ma occorrono piuttosto, in assenza di un controllo monocratico, ex art. 2359 c.c., atti o accordi che vincolino i soggetti pubblici all’esercizio congiunto delle loro prerogative, così da rendere concreto ed effettivo un potere di controllo pubblico[6], o quanto meno un comportamento concludente dei soci pubblici orientato in tal senso[7].

Nomina ai soci privati dell’amministratore delegato

Anche ammettendo che i privati nominano l’amministratore delegato con compiti operativi, in presenza dell’influenza dominante del socio pubblico che ha la quota maggiore, ancorché inferiore a quella del socio privato, a cui spetta la nomina della maggioranza dei componenti del Consiglio di Amministrazione della società (il c.d. modello di governance), anche in relazione ai poteri di ordinaria amministrazione, siamo in presenza di un “controllo pubblico” sulla società: si ricade nell’ipotesi di cui all’art. 2359, primo comma, n. 3), richiamato dall’art. 2, comma 1, lett. b), del TUSP, secondo cui sono considerate società controllate «le società che sono sotto influenza dominante di un’altra società in virtù di particolari vincoli contrattuali con essa».

L’oggetto esclusivo

L’art. 17 TUSP non consente alle società miste, a differenza delle società in house, di concorrere a gare indette da Enti terzi e comunque di svolgere attività diverse da quelle rientranti nella “gara a doppio oggetto”.

La disciplina del modello della società mista appare chiaramente definito dagli artt. 17 e 26 TUSP, nonché dell’art. 16 del d.lgs. n. 201/2022 (che individua la società mista disciplinata dal TUSP quale possibile forma di gestione dei servizi di interesse economico generale di livello locale).

Le citate disposizioni esprimono:

  • una stretta funzionalizzazione tra società e servizio oggetto di affidamento;
  • il nesso di esclusività esistente tra costituzione della società mista e svolgimento del servizio affidato dagli enti pubblici soci;
  • la strumentalità della società mista rispetto al servizio per il quale l’ente è stato costituito da intendere in termini di esclusività dell’oggetto della società stessa, atteso che nella norma espressamente si postula che l’affidamento del contratto di appalto o di concessione è «oggetto esclusivo dell’attività della società mista»;
  • il carattere della esclusività è riferito al tipo di attività che la società può prestare in via generale e non al fatto che solo tale specifica attività, in quanto oggetto del bando a doppio oggetto, sia conferibile senza gara laddove ulteriori attività possano comunque essere svolte mediante gara.

I benefici del privato

Pare giusto osservare che l’art. 17 del d.lgs. n. 175/2016, la cui applicabilità ai servizi pubblici locali è stata espressamente prevista dal recente art. 16 del d.lgs. n. 201/22, mira ad evitare che, attraverso la deroga alla disciplina societaria prevista dal comma 4 della disposizione e la conseguente attribuzione al socio privato di particolari diritti e vantaggi non coerenti con l’effettiva entità della sua partecipazione, proprio il socio privato possa beneficiare di tali deroghe per gestire la società con criteri diversi da quelli a cui si attengono gli altri operatori economici finendo, in tal modo, per acquisire requisiti e risorse da spendere ai fini della partecipazione ad ulteriori future gare indette da altre stazioni appaltanti, così alterando il fisiologico meccanismo della concorrenza.

Sintesi

La società mista rappresenta un importante modello di gestione dei servizi pubblici locali e, in una logica di partenariato pubblico privato e di valorizzazione dell’esperienza del socio privato operativo, si caratterizza come società di scopo finalizzata alla gestione dello specifico servizio oggetto della gara e non come società generalista, non potendo il socio privato abusare della posizione di vantaggio concorrenziale per beneficiare di ulteriori affidamenti derivanti dalla gestione dei servizi pubblici non ricompresi nell’oggetto sociale: aspetto che ne determina la natura giuridica, finalizzata a prevenire possibili effetti distorsivi della concorrenza conseguenti al mancato rispetto della par condicio tra imprese (da intendersi come una rendita di posizione in forza del partenariato con soggetti pubblici).

(pubblicato, gruppodelfino.it, 22 giugno 2025)

[1] Non sussiste neppure alcuna irragionevole disparità di trattamento, ex art. 3 Cost., rispetto alle società in house, trattandosi di modelli operativi ontologicamente diversi e come tali non comparabili, Cons. Stato, sez. II, 18 aprile 2007, n. 456.

[2] TAR Lazio, Roma, sez. II bis, 19 marzo 2024, n. 5452.

[3] Corte conti, sez. contr. Sardegna, delibera 20 aprile 2023, n. 30, in modo similare, riferisce che il controllo dei soci non richiede la titolarità di partecipazioni di controllo, ma la detenzione di partecipazioni anche se non qualificate, rilevando a contrario la possibilità di un controllo esteso di più Amministrazioni. Va anche detto che la partecipazione minoritaria (anche pulviscolare) nel caso, ad esempio, di una società in house esige nell’ente partecipante il controllo analogo congiunto, poiché tale controllo sulla partecipata costituisce il presupposto per ritenere sussistente la stretta «necessarietà dell’acquisizione societaria per il perseguimento delle proprie finalità istituzionali», di cui all’art. 4, comma 1, TUSP: solo in tal caso l’ente potrebbe incidere sulle scelte strategiche della società e procedere all’affidamento diretto del servizio (o altro) alla società in house, Corte conti, sez. contr. Emilia – Romagna, delibera 13 settembre 2022, n. 110.

[4] Cfr. Corte conti, SS.RR., delibera n. 11/SSRRCO/QMIG/19, secondo cui in virtù del combinato disposto delle lett. b) ed m) dell’art. 2 del TUSP, possono essere qualificate come “società a controllo pubblico” quelle in cui “una o più” Amministrazioni dispongono della maggioranza dei voti esercitabili in assembla ordinaria (oppure di voti o rapporti contrattuali sufficienti a configurare un’influenza dominante).

[5] Cfr. Cons. Stato, sez. V, 23 gennaio 2019, n. 578; Corte conti, SS.RR. giur., 22 maggio 2019, n. 16; Orientamento Mef del 15 febbraio 2018.

[6] Cfr. Cons. Stato, sez. III, 3 marzo 2020, n. 1564.

[7] Cons. Stato, sez. V, 10 marzo 2023, n. 2543; Anac, delibera 25 settembre 2019, n. 859.