«Libero Pensatore» (è tempo di agire)
Articolo Pubblicato il 2 Giugno, 2013

Silenzio assenso e attività istruttoria

Il T.A.R. Liguria, sezione I, con la sentenza 704/2013, interviene sull’interpretazione dell’articolo 20 della Legge 241 del 1990 (strumento di semplificazione), ovvero “nei procedimenti ad istanza di parte per il rilascio di provvedimenti amministrativi il silenzio dell’amministrazione competente equivale a provvedimento di accoglimento della domanda, senza necessità di ulteriori istanze o diffide, se la medesima amministrazione non comunica all’interessato, nei termini” il provvedimento di diniego o indice una conferenza di servizi, superando l’inerzia della P.A. con il divenire di un “assenso” previsto astrattamente dalla legge e concretamente anelato dal privato con la presentazione dell’istanza.

È subito da precisare che l’articolo 2, della Legge n.241 del 1990, prevede un provvedimento espresso e la Legge n.190 del 2012 attenziona – il mancato rispetto dei termini di conclusione del procedimento – quali indicatori di attività potenzialmente a rischio (“corruttiva”) sanzionabile sotto diversi profili (il ritardo nell’emanazione di un atto amministrativo è elemento sufficiente per configurare un danno ingiusto, con conseguente obbligo di risarcimento, Cons. Stato, sez. IV, 7 marzo 2013, n. 1406).

In termini, l’assoluta e ingiustificata inerzia dell’Amministrazione che, a fronte di ripetute istanze, non ha adempiuto al dovere di darvi risposta, costituisce fatto idoneo ad integrare oltre la responsabilità amministrativo – contabile per danno erariale (in relazione al pagamento delle spese del giudizio relativo all’annullamento del silenzio-rifiuto), anche la responsabilità penale per il reato di cui all’art. 328 c.p.; questo, quantomeno a partire dall’entrata in vigore della Legge 18 giugno 2009, n.69, soccorre la eventuale responsabilità risarcitoria per il danno da ritardo in conseguenza dell’inosservanza dolosa o colposa del termine di conclusione del procedimento, per la quale vi è giurisdizione del G.A..

Del resto deve ritenersi che, a prescindere dall’esistenza di una specifica disposizione normativa impositiva, l’obbligo della P.A. di provvedere sussista in tutte quelle ipotesi in cui, in relazione al dovere di correttezza e di buona amministrazione della parte pubblica, o ragioni di giustizia ed equità, sorga per il privato una legittima aspettativa a conoscere il contenuto e le ragioni delle determinazioni (qualunque esse siano) di quest’ultima: l’attività della pubblica amministrazione, anche nel campo della pura discrezionalità, deve svolgersi nei limiti posti dalla legge e dal principio primario del neminem laedere, codificato nell’art. 2043 c.c., per cui è consentito al giudice ordinario accertare se vi sia stato da parte della stessa pubblica amministrazione, un comportamento doloso o colposo che, in violazione di tale norma e tale principio, abbia determinato la violazione di un diritto soggettivo.

Di converso, per regola generale, non sussisteva alcuna violazione dell’obbligo di pronunzia espressa sulla domanda del privato, sancito dall’art.2 della Legge n.241/1990, qualora l’Amministrazione avesse in precedenza provveduto sulla medesima richiesta, dovendo rilevare ora, con la modifica dell’articolo 2, comma 1 ad opera dall’art.1, comma 38, della Legge n.190 del 2012, la necessità di dare seguito all’istanza (negativa: manifesta irricevibilità, inammissibilità, improcedibilità o infondatezza) con un provvedimento espresso redatto in forma semplificata, la cui motivazione può consistere in un sintetico riferimento al punto di fatto o di diritto ritenuto risolutivo.

Riprendendo il tema, il silenzio serbato dalla p.a. su di una denuncia di inizio attività si differenzia:

A. dal silenzio – rifiuto (che costituisce un mero comportamento omissivo, ossia un silenzio non significativo e privo di valore provvedimentale);

B. dal silenzio accoglimento – o assenso – di cui all’art.20 della Legge 7 agosto 1990, n.241 (che presuppone la sussistenza di un potere ampliativo di stampo autorizzatorio o concessorio).

In ogni caso, affinché il meccanismo del “silenzio assenso” (che ha sempre un carattere eccezionale in quanto la sua previsione costituisce una deroga al principio secondo cui l’amministrazione deve definire il procedimento con un provvedimento espresso) possa ritenersi perfezionato, è necessario che l’istanza proposta sia formalmente regolare (e non incompleta), cioè sia conforme a quanto prescritto dalla normativa di riferimento.

La giurisprudenza ha affermato che una volta formatosi il “silenzio assenso” questo non può essere ritenuto tamquam non esset dall’amministrazione tanto che per rimuoverne gli effetti dovrà essere esperto il procedimento di autotutela, ai sensi dell’articolo 21 nonies della Legge n.241/90.

L’art. 20, comma 1, della Legge n.241/90 espressamente afferma che il silenzio “equivale a provvedimento di accoglimento”, con ciò significando che il silenzio produce gli stessi effetti del provvedimento di accoglimento.

Da queste premesse, è da verificare se una volta spirato il termine per provvedere la P.A. possa o meno agire, se cioè il maturarsi del silenzio consumi il potere dell’amministrazione oppure no.

La problematica viene poi articolata a seconda il provvedimento successivo espresso sia contenutisticamente omogeneo al silenzio o meno.

Ciò posto, il giudice di prime cure presenta due posizioni per giungere al suo pronunciamento.

A. in assenza di espressa disposizione di legge in tal senso il silenzio non consuma il potere dell’amministrazione più di quanto possa farlo il provvedimento espresso.

a.1. da un lato, il tenore della disposizione di cui all’art. 20 della Legge n.241/90 non può essere inteso come limitante i poteri dell’amministrazione alla sola autotutela ma solo come una modalità procedimentale per la riedizione del potere.

a.2. dall’altro, significa anche che ove particolari forme di autotutela siano vietate dagli ordinamenti settoriali le stesse saranno parimenti vietate nei confronti del “silenzio assenso”: se il permesso di costruire è irrevocabile l’amministrazione non potrà revocare il silenzio formatosi sulla istanza di permesso di costruire.

È evidente, quindi, che se il silenzio non consuma il potere dell’amministrazione di provvedere in senso contenutisticamente difforme dal silenzio a maggior ragione l’amministrazione potrà provvedere in senso conforme al silenzio, disciplinando esplicitamente il rapporto amministrativo già definito in senso favorevole all’istante dal maturarsi del silenzio.

B. il silenzio si caratterizza per una assenza di una decisione, neppure implicita, dell’amministrazione sul rapporto amministrativo (è noto, infatti, che il silenzio a differenza del provvedimento implicito e per definizione un “non provvedimento”) può verificarsi il caso in cui l’istante, a favore del quale il silenzio si è formato, non ritenga di avvalersi degli effetti del silenzio.

b.1. Qualora l’istante, con apposita manifestazione di volontà, formula la richiesta, oppure (in maniera implicita) continua l’interlocuzione procedimentale con l’amministrazione fino alla conclusione espressa del procedimento si giunge alla conclusione che un simile comportamento, purchè univoco, non può che essere qualificato come “rinuncia agli effetti del silenzio”: logica impone che non avrebbe senso continuare l’interlocuzione procedimentale se l’istante intendesse avvalersi degli effetti del maturato silenzio. L’apporto procedimentale del privato esige un’ulteriore attività valutativa (obbligatoria, ex articolo 10, comma 1, lettera b) della Legge n.241/90) della p.a. finalizzata alla conclusione del procedimento.

b.2. Ne deriva che il comportamento di colui che successivamente al maturarsi del “silenzio assenso” continua a interagire con la P.A., rispondendo alle richieste dell’amministrazione e soggiacendo alle condizioni da questa posta, deve ritenersi avere rinunciato agli effetti del silenzio medio tempore maturato, con il riflesso di protrarne la conclusione del procedimento (oltre i termini del “silenzio assenso”) sino all’adozione del provvedimento espresso: non vi è carenza di potere, potere che non si è consumato dalla scadenza del termine per la formazione del “silenzio assenso”.

(Estratto, Rinuncia tacita del silenzio assenso, La Gazzetta degli enti locali, 21 maggio 2013)