In generale, la delega di funzioni, specie in materia di sicurezza sui luoghi di lavoro, ai sensi del d.lgs. n. 81/2008 (Attuazione dell’articolo 1 della […]
La sez. I del Consiglio di Stato, con parere n. 827 del 27 giugno 2024, interviene sulla legittimità di una sanzione disciplinare (sospensione per la […]
L’art. 21 della Cost., esprime un principio di libertà del pensiero, dove il singolo può esprimere le proprie opinioni («Tutti hanno diritto di manifestare liberamente […]
Premessa di inquadramento Tra i più significativi decreti attuativi (delegati) della legge n. 190/2012 (c.d. Anticorruzione), il decreto legislativo n. 39/2013 ha introdotto nel nostro […]
La sez. II Milano del TAR Lombardia, con l’ordinanza 14 giugno 2024 n. 612, sovverte un orientamento sulla sufficienza del voto numerico nella valutazione delle […]
In generale nei rapporti con la PA, può accadere che si ometta di rendere una dichiarazione a fronte di un obbligo imperativo di presentare, in funzione di un dovere di collaborazione (ex comma 2 bis dell’art. 1 della legge n. 241/1990), tutta una serie di informazioni relative all’affidabilità del soggetto, ad es. c.d. moralità professionale, con lo scopo di individuare un contraente fedele.
In generale, la delega di funzioni, specie in materia di sicurezza sui luoghi di lavoro, ai sensi del d.lgs. n. 81/2008 (Attuazione dell’articolo 1 della legge 3 agosto 2007, n. 123, in materia di tutela della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro), non esclude l’obbligo di vigilanza del datore di lavoro, ovvero di colui che detiene il potere in qualità di datore di lavoro, sicché in ordine al corretto espletamento da parte del delegato delle funzioni trasferite si deve sempre valutare concretamente la complessiva gestione del rischio nell’attività effettuata dal delegato[1], nonché il contenuto dell’atto di delega, a cui non si deve prescindere nella valutazione del caso concreto[2].
La sez. I del Consiglio di Stato, con parere n. 827 del 27 giugno 2024, interviene sulla legittimità di una sanzione disciplinare (sospensione per la durata di dodici mesi) relativa ad una condotta di un militare influencer che ha esorbitato i limiti di continenza e pertinenza nell’esercizio del diritto di manifestazione del pensiero (ex art. 21 Cost.), pubblicando on line video diffamatori[1].
L’art. 21 della Cost., esprime un principio di libertà del pensiero, dove il singolo può esprimere le proprie opinioni («Tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione»), una tutela costituzionale aperta, rientrante tra i diritti inviolabili dell’uomo, espressione dei regimi democratici, dove la censura segna i limiti a questa libertà (a volte invocando “la scienza”, suprema espressione del comando che sopprime), ledendo i diritti del singolo (la sfera personale con un’indebita ingerenza), ovvero il diritto di essere informati e di rendere conto delle proprie azioni se il soggetto è un soggetto pubblico.
La sez. I del TAR Veneto, con la sentenza 10 giugno 2024, n. 1358, conferma il diritto di accesso civico generalizzato (ex art. 5, comma 2, del d.lgs. n. 33 del 2013, per tutti modello FOIA) nei confronti di un soggetto privato per l’attività di interesse pubblico (farmacia, quale attività d’impresa che consiste nella vendita di medicinali immessi in commercio, artt. 119 ss., r.d. 27 luglio 1934, n. 1265), soggetto rientrante nell’ambito applicativo dell’art. 2 bis, comma 3, del decreto Trasparenza.
Tra i più significativi decreti attuativi (delegati) della legge n. 190/2012 (c.d. Anticorruzione), il decreto legislativo n. 39/2013 ha introdotto nel nostro ordinamento una serie di norme (a volte di difficile comprensione) con lo scopo di contrastare (in chiave preventiva) fenomeni di corruzione, e, nello specifico, quelle ex ante posizioni di conflitti di interesse (volute dal “legislatore governativo”) [1] allo scopo di garantire il buon andamento e l’imparzialità della Pubblica Amministrazione e assicurare, allo stesso tempo, che i pubblici impiegati, da ricomprendere tutti coloro che esercitano una funzione/prestazione pubblica, pure in chiave privatistica, (ap)prestino l’attività al servizio esclusivo dell’Amministrazione di appartenenza (ex art. 2105 c.c.), ossia il datore di lavoro pubblico, in una estesa platea di soggetti (ex art. 2 bis del d.lgs. n. 33/2013), nei forgiati canoni costituzionali cristallizzati dagli articoli 97 e 98 della Costituzione, nonché in applicazione del più generale principio di uguaglianza (ex art. 3 Cost.) [2].