«Libero Pensatore» (è tempo di agire)

La natura della concessione cimiteriale

La concessione cimiteriale è un atto amministrativo con il quale la P.A. concede ad un terzo nuove posizioni giuridiche attive (c.d. atto ampliativo della sfera giuridica del destinatario)[1] che si distingue dall’autorizzazione che si limita (quest’ultima) a rimuovere un limite all’esercizio di diritti, poteri e facoltà preesistenti, differenziandosi alla radice del diritto proprio per il conferimento di nuovi diritti e potestà di cui la P.A. è titolare (per questi primi motivi non si potrebbe parlare di acquisto di un titolo di proprietà, peraltro il bene è demaniale, ex comma 2 dell’art. 824 c.c., di conseguenza inalienabili, ai sensi dell’art. 823 c.c.)[2] ma che non intende esercitare direttamente (pur mantenendone intestato il potere e la titolarità) ammettendo il soggetto «al godimento di beni della vita riservati ai pubblici poteri, non suscettibili di formare oggetto di atti di autonomia privata»[3].

Questo ultimo carattere, inserito nel codice civile dal 21 aprile 1942 (data di sua entrata in vigore) ha introdotto una conformazione generale delle aree cimiteriali e dei relativi diritti, sottratti alla disponibilità dei privati e oggetto di “concessioni traslative” da parte dell’ente titolare, sicché la cessione di un diritto al sepolcro (o tumulazione), inteso tanto come diritto primario di sepolcro quanto come diritto sul manufatto, va configurata come voltura della relativa concessione demaniale, sottoposta al requisito di efficacia della autorizzazione del concedente Comune (non, dunque, una cessione di proprietà del privato concessionario)[4].

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Negoziabilità del sepolcro cimiteriale

Negoziabilità del sepolcro cimiteriale

La natura della concessione cimiteriale

La concessione cimiteriale è un atto amministrativo con il quale la P.A. concede ad un terzo nuove posizioni giuridiche attive (c.d. atto ampliativo della sfera giuridica del destinatario)[1] che si distingue dall’autorizzazione che si limita (quest’ultima) a rimuovere un limite all’esercizio di diritti, poteri e facoltà preesistenti, differenziandosi alla radice del diritto proprio per il conferimento di nuovi diritti e potestà di cui la P.A. è titolare (per questi primi motivi non si potrebbe parlare di acquisto di un titolo di proprietà, peraltro il bene è demaniale, ex comma 2 dell’art. 824 c.c., di conseguenza inalienabili, ai sensi dell’art. 823 c.c.)[2] ma che non intende esercitare direttamente (pur mantenendone intestato il potere e la titolarità) ammettendo il soggetto «al godimento di beni della vita riservati ai pubblici poteri, non suscettibili di formare oggetto di atti di autonomia privata»[3].

Questo ultimo carattere, inserito nel codice civile dal 21 aprile 1942 (data di sua entrata in vigore) ha introdotto una conformazione generale delle aree cimiteriali e dei relativi diritti, sottratti alla disponibilità dei privati e oggetto di “concessioni traslative” da parte dell’ente titolare, sicché la cessione di un diritto al sepolcro (o tumulazione), inteso tanto come diritto primario di sepolcro quanto come diritto sul manufatto, va configurata come voltura della relativa concessione demaniale, sottoposta al requisito di efficacia della autorizzazione del concedente Comune (non, dunque, una cessione di proprietà del privato concessionario)[4].

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La libertà di culto, vagliata dal potere locale, viene rimessa al giudizio della Corte Costituzionale sul bisogno di professare, liberamente e senza vincoli, nei luoghi e negli edifici tale libertà costituzionalmente garantita.

La questione viene riproposta alla Consulta della sez. seconda Milano del TAR Lombardia, con la sentenza 8 ottobre 2018, n. 2227 (il precedente, con ordinanza 3 agosto 2018, n. 1939, si tratta dei commi 1 e 2 dell’art. 75), per scrutinare la legittimità costituzionale dell’art. 75, della legge regionale Lombardia 3 febbraio 2015, n. 2 che non detta alcun limite alla discrezionalità del Comune nel decidere quando determinarsi (comma 5, «I comuni che intendono prevedere nuove attrezzature religiose sono tenuti ad adottare e approvare il piano delle attrezzature religiose entro diciotto mesi») e in che senso (commi 1 e 2) a fronte della richiesta di individuazione di edifici o aree da destinare al culto.

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La libertà di culto (non) può essere una scelta discrezionale

La libertà di culto (non) può essere una scelta discrezionale

La libertà di culto, vagliata dal potere locale, viene rimessa al giudizio della Corte Costituzionale sul bisogno di professare, liberamente e senza vincoli, nei luoghi e negli edifici tale libertà costituzionalmente garantita.

La questione viene riproposta alla Consulta della sez. seconda Milano del TAR Lombardia, con la sentenza 8 ottobre 2018, n. 2227 (il precedente, con ordinanza 3 agosto 2018, n. 1939, si tratta dei commi 1 e 2 dell’art. 75), per scrutinare la legittimità costituzionale dell’art. 75, della legge regionale Lombardia 3 febbraio 2015, n. 2 che non detta alcun limite alla discrezionalità del Comune nel decidere quando determinarsi (comma 5, «I comuni che intendono prevedere nuove attrezzature religiose sono tenuti ad adottare e approvare il piano delle attrezzature religiose entro diciotto mesi») e in che senso (commi 1 e 2) a fronte della richiesta di individuazione di edifici o aree da destinare al culto.

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L’Amministrazione è titolare della competenza sulla valutazione della nuova destinazione di un bene (adibito al culto e alla preghiera) anche in assenza di un espresso divieto.

La seconda sezione Milano del T.A.R. Lombardia, con la sentenza n. 2018 del 27 agosto 2018, ritiene legittimo il diniego opposto da un Comune al cambio di destinazione urbanistica per la realizzazione di un edificio di culto, anche in assenza di un divieto espresso dalle norme o della realizzazione di nuove opere edilizie.

Il Comune rigettava la domanda di permesso di costruire, presentata da un’Associazione, per realizzare un luogo di culto in un determinato immobile:

A margine, veniva segnalato nel bene adibito a luogo di culto risultava, da un rapporto di Polizia Locale, «una rilevante presenza di persone da ultimo nelle serate di venerdì e sabato desumibile dal numero consistente di veicoli nell’area esterna e dal via vai di persone in entrata e uscita dall’immobile».

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Edifici di culto e destinazione urbanistica

Edifici di culto e destinazione urbanistica

L’Amministrazione è titolare della competenza sulla valutazione della nuova destinazione di un bene (adibito al culto e alla preghiera) anche in assenza di un espresso divieto.

La seconda sezione Milano del T.A.R. Lombardia, con la sentenza n. 2018 del 27 agosto 2018, ritiene legittimo il diniego opposto da un Comune al cambio di destinazione urbanistica per la realizzazione di un edificio di culto, anche in assenza di un divieto espresso dalle norme o della realizzazione di nuove opere edilizie.

Il Comune rigettava la domanda di permesso di costruire, presentata da un’Associazione, per realizzare un luogo di culto in un determinato immobile:

A margine, veniva segnalato nel bene adibito a luogo di culto risultava, da un rapporto di Polizia Locale, «una rilevante presenza di persone da ultimo nelle serate di venerdì e sabato desumibile dal numero consistente di veicoli nell’area esterna e dal via vai di persone in entrata e uscita dall’immobile».

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Libertà di culto o di pianificazione urbana

La questione può essere posta nei seguenti termini: se sia o no possibile aprire nuovi luoghi religiosi o se «l’installazione di nuove attrezzature religiose presuppone il Piano delle attrezzature religiose», come richiesto dalla Legge regionale Lombardia 11 marzo 2005, n. 12, indipendentemente dal carico urbanistico generato dall’opera ?.

La sez. seconda del T.A.R. Lombardia, Milano, con ordinanza 3 agosto 2018, n. 1939, rimette alla Corte costituzionale il quesito esposto, per un verifica di compatibilità costituzionale in contrasto con gli articoli 2 (diritti inviolabili), 3 (uguaglianza) e 19 (libertà religiosa) della Costituzione.

Il ragionamento sotteso, si discute, è quello di limitare attraverso un Piano urbanistico (notoriamente uno strumento di programmazione dove è prevalente l’esercizio del merito politico) la libertà religiosa.

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Libertà di culto o di pianificazione urbana

Libertà di culto o di pianificazione urbana

Libertà di culto o di pianificazione urbana

La questione può essere posta nei seguenti termini: se sia o no possibile aprire nuovi luoghi religiosi o se «l’installazione di nuove attrezzature religiose presuppone il Piano delle attrezzature religiose», come richiesto dalla Legge regionale Lombardia 11 marzo 2005, n. 12, indipendentemente dal carico urbanistico generato dall’opera ?.

La sez. seconda del T.A.R. Lombardia, Milano, con ordinanza 3 agosto 2018, n. 1939, rimette alla Corte costituzionale il quesito esposto, per un verifica di compatibilità costituzionale in contrasto con gli articoli 2 (diritti inviolabili), 3 (uguaglianza) e 19 (libertà religiosa) della Costituzione.

Il ragionamento sotteso, si discute, è quello di limitare attraverso un Piano urbanistico (notoriamente uno strumento di programmazione dove è prevalente l’esercizio del merito politico) la libertà religiosa.

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