«Libero Pensatore» (sempre)
Articolo Pubblicato il 30 Settembre, 2012

Il diritto di accesso dei consiglieri comunali

L’articolo 43 del TUEL statuisce che “i consiglieri comunali e provinciali hanno diritto di ottenere dagli uffici, rispettivamente, del comune e della provincia, nonché dalle loro aziende ed enti dipendenti, tutte le notizie e le informazioni in loro possesso, utili all’espletamento del proprio mandato. Essi sono tenuti al segreto nei casi specificamente determinati dalla legge”.

La norma, nella sua chiarezza espositiva, è ispirato alla ratio di garantire ai rappresentanti del corpo elettorale l’accesso ai documenti e alle informazioni utili all’espletamento del loro mandato (munus publicum), anche al fine di permettere di valutare, con piena cognizione, la correttezza e l’efficacia dell’operato dell’Amministrazione, e di esprimere un voto consapevole sulle questioni di competenza del consiglio, onde promuovere, anche nell’ambito del consiglio stesso, le iniziative (interrogazioni, interpellanze, mozioni, ordini del giorno, deliberazioni) che spettano ai singoli rappresentanti del corpo elettorale locale: si configura come peculiare espressione del principio democratico dell’autonomia locale e della rappresentanza esponenziale della collettività .

Tra l’accesso dei soggetti interessati di cui agli artt. 22 e ss. della Legge n. 241 del 1990 e l’accesso del consigliere comunale di cui all’art. 43 del TUEL sussiste una profonda differenza: il primo è un istituto che consente ai singoli soggetti di conoscere atti e documenti, al fine di poter predisporre la tutela delle proprie posizioni soggettive eventualmente lese, mentre il secondo è un istituto giuridico posto al fine di consentire al consigliere comunale di poter esercitare il proprio mandato, verificando e controllando il comportamento degli organi istituzionali decisionali del Comune, uffici compresi.

Giova rammentare che le regole in tema di trasparenza della P.A. e di diritto di accesso ai relativi atti si applicano oltre che alle pubbliche amministrazioni, anche ai soggetti privati chiamati all’espletamento di compiti di interesse pubblico (concessionari di pubblici servizi, società ad azionariato pubblico, partecipate); tale principio ha trovato conferma legislativa con le modifiche apportate all’art. 23 dalla Legge n. 241 del 1990 dalla Legge n. 15 del 2005 che si è spinta fino ad iscrivere – agli effetti dell’assoggettamento alla disciplina sulla trasparenza – tra le pubbliche amministrazioni anche i soggetti che svolgono attività di pubblico interesse: l’obbligo pubblicistico di esibizione dell’atto non si pone come incompatibile con l’acquisizione della veste privatistica di società per azione nel caso in cui dette società, per gli interessi pubblici perseguiti, risultino sottoposta iure proprio al regime pubblicistico dell’accesso.

Il complesso normativo approda alla piena accessibilità, da parte del consigliere, delle informazione e degli atti (accesso equivale ad estrazione di copia essendo venuta meno la distinzione tra visione ed estrazione)  in possesso dell’Amministrazione (anche riferiti a periodi antecedenti al mandato), non potendo manifestare alcun diniego (salvo i pochi casi eccezionali e contingenti, da motivare puntualmente e adeguatamente, e salvo il caso – da dimostrare – che lo stesso agisca per interesse personale), determinandosi altrimenti un illegittimo ostacolo al concreto esercizio della sua funzione, che è quella di verificare che il Sindaco e la Giunta municipale (nelle loro articolazioni) esercitino correttamente la loro funzione: poteri e diritti che configurano, dal lato passivo, un vero e proprio dovere di supporto dei consiglieri comunali nella esecuzione del proprio mandato, da parte dei funzionari degli uffici dell’Amministrazione.

I documenti e le informazioni possono essere frutto di un’attività istruttoria degli uffici al fine di relazionare su una determinata “materia o affare”, con la conseguenza che tale diritto può anche consistere nella pretesa che gli uffici dell’Amministrazione, interpellati al riguardo, eseguano elaborazioni dei dati e delle informazioni in loro possesso, in evidente contrapposizione al divieto di elaborazione previsto dalla Legge n.241.

In tale dibattimento è da ritenere che il rilascio di documenti (copia di tavole tecniche, disegni, grafici, foto, progetti e similari) possa essere validamente sostituito con modalità alternative alla fotocopiatura, quali la riproduzione su CD – rom in formato PDF, non modificabile , riducendo notevolmente i costi di produzione e l’attività materiale degli uffici, in piena simbiosi al concetto di “Amministrazione aperta” e di procedimento “digitalizzato”.

È da asserire altresì che la richiesta del consigliere non va motivata  atteso che, qualora richiesta, sarebbe introdotta una sorta di controllo dell’Amministrazione, attraverso i propri uffici, sull’esercizio del mandato del consigliere comunale: dal termine “utili”, contenuto nell’art. 43, del D. Lgs. 18 agosto 2000, n. 267, non può conseguire alcuna limitazione al diritto di accesso dei consiglieri comunali, detto aggettivo garantendo in realtà l’estensione di tale diritto di accesso a qualsiasi atto ravvisato utile per l’esercizio del mandato.

Occorre puntualizzare che il diritto di accesso non può essere subordinato ad una specifica utilità delle informazioni e notizie all’espletamento del mandato essendo necessario semmai auspicabile (altrimenti la richiesta diventa indeterminata) la concreta individuazione degli atti richiesti (la tipologia di atti e il periodo temporale di riferimento), e risulterebbe oltremodo illegittima la prescrizione di un regolamento comunale riguardante la formulazione di una sola domanda per ogni documento richiesto, perché limiterebbe eccessivamente l’istituto, rendendone più gravoso l’esercizio (in contrapposizione alla sua più lata estensione: prevale un principio di “favor”).

In assenza di una motivazione, richiesta espressamente per l’accesso previsto dalla Legge n.241, appare evidente che è preclusa ogni valutazione sul merito e, allo stesso tempo, non è possibile ostacolare il diritto in funzione della natura “riservata” del documento non ravvisandosi controinteressati (coloro che potrebbero opporsi all’accesso) ed essendo il consigliere comunale tenuto al segreto (presidiato dall’articolo 622 c.p.) ; con al conseguenza che il diritto di accesso deve essere esercitato personalmente dal consigliere in quanto vincolato al segreto d’ufficio, evitando che altri soggetti, non tenuti a tale segreto, possano accedere ad atti dell’Amministrazione senza una previa verifica in ordine al loro personale interesse a conoscere tali atti.

Quest’ultimo aspetto è rilevante in quanto preclude ogni eventuale attività ispettiva del consigliere finalizzata ad un interesse di un soggetto terzo (particolare), venendo meno quindi da una parte, all’assolvimento di un funzione pubblica (insita dello status), dall’altro, violando un obbligo di legge (il segreto)  e, non secondariamente, un profilo erariale collegato all’esenzione dei costi di copia.

La richiesta di atti, anche in copia, avanzata dal consigliere deve essere effettivamente strumentale, in una situazione di normale dialettica istituzionale all’interno dell’Amministrazione, all’espletamento del mandato politico –amministrativo e qualora possa dimostrarsi, con prove certe, l’assenza di tale profilo cogente risulta inevitabile il formarsi di una situazione di “danno patrimoniale ingiusto”; potrebbe, cioè, sussistere ove risultasse effettivamente dimostrato che il diritto pretensivo del consigliere sia stato esercitato o consentito in modo non corretto, in contrasto con la finalità della legge, così che i documenti acquisiti in copia non sono risultati utili né per l’esercizio del mandato amministrativo, né per i fini di questo.

In termini diversi, il rilascio dei documenti è soggetto ad un’attività istruttoria a cura del responsabile del procedimento e dato atto che nel procedimento amministrativo, in generale, l’acquisizione delle “prove” si svolge in forma libera, e non conosce prove legali predeterminate, talché possono essere senz’altro usate dall’Amministrazione prove costituite da dichiarazioni di persone a conoscenza dei fatti e documentazione prodotta dagli stessi , qualora emergessero tali circostanze probatorie saremo in presenza di una situazione non conforme a legge e generatrice di danno patrimoniale (non escludendo un ipotesi penalmente rilevante di abuso): l’accertamento di finalità estranee al mandato preclude l’accesso privilegiato del consigliere rispetto all’ordinaria actio ad exhibendum.

Ciò accadrebbe se, ad esempio, il consigliere chiedesse ed ottenesse, esorbitando dai limiti delle proprie facoltà, copia di atti amministrativi per fini esclusivamente personali o di terzi e, dunque, estranei alla funzione pubblica di controllo che a lui spetta in quanto membro del corpo elettivo o, ancora peggio, per porre in essere una condotta “emulativa” al fine di recare molestia e intralcio al funzionamento degli uffici comunali con l’uso spropositato e dispendioso della macchina fotocopiatrice e delle risorse umane presenti.

Di converso, un utilizzo (“esercizio del diritto”) finalizzato ad aggravare l’attività degli uffici con intenti “ostruzionistici o di paralisi” violerebbe i principi costituzionali di “buon andamento” (ex art.97 Cost.) e di “fedeltà” (“disciplina ed onore”, ex art.54 Cost.) che devono governare tutta l’attività della P.A. e l’esercizio delle funzione (compresa quella del consigliere comunale): il “buon andamento” si sostanzia nel corretto uso del potere finalizzato al perseguimento – imparziale – dell’interesse pubblico e al miglior utilizzo delle risorse pubbliche, mentre la “fedeltà” vincola la condotta del singolo amministratore all’adempimento del mandato con esclusione di ogni diverso interesse rispetto quello pubblico .

È di tutta evidenza che l’esercizio dell’attività amministrativa incontra limiti, di ordine positivo, che sono rivolti a mantenere il suo esercizio stessa nell’ambito dei fini pubblici che la P.A. deve sempre perseguire e che, anche qualora essi siano fissati in modo elastico connotando una attività di natura discrezionale, questa atteso che è stabilità in capo ad Autorità che esercita funzioni e poteri pubblici, consiste anzitutto e propriamente nella facoltà di scelta tra più comportamenti possibili (tutti ugualmente conformi a legge), previa ponderazione comparativa degli interessi compresenti, imponendo che la scelta, da un lato, debba cadere sulla soluzione che sia finalizzata al perseguimento di quel fine pubblico che è rispondente alla causa della legittimazione del potere esercitato e, dall’altro, essere deferente dell’interesse pubblico in genere, con particolare riguardo dei principi di buon andamento e di imparzialità dell’azione amministrativa.

Accanto a questi pilastri costituzionali non va sottaciuto che l’acquisizione di documenti amministrativi si informa al principio di “leale collaborazione istituzionale” (ex art.22, comma 5, della Legge n.241) che non prescinde dalla correttezza dell’istanza ostensiva proiettata a garantire una consapevole partecipazione del consigliere nell’attività del Comune, non certamente quella di interferirne nel “regolare funzionamento”, in violazione ictu oculi ai principi generali dell’attività amministrativa declinati al primo comma dell’articolo 1, della Legge n. 241 del 1990: “economicità, efficacia, imparzialità, pubblicità e trasparenza”.

Alla luce di queste prime osservazioni, si può sostenere che il diritto di accesso dei consiglieri comunali è liberato:

a.         dall’onere della richiesta scritta;

b.         dalla prova della titolarità di un interesse alla tutela di una situazione giuridicamente rilevante ;

c.         dall’onere della motivazione della propria richiesta , né gli uffici comunali hanno titolo a richiederle e conoscerle ;

d.         dal limite del controllo, purché non sia emulativo e paralizzante, dell’attività dell’ente, finalità che, invece, sostanzia proprio un saliente profilo del mandato elettivo.

 

(estratto, LexItalia.it, 2012, n.9)