«Libero Pensatore» (è tempo di agire)
Articolo Pubblicato il 15 Febbraio, 2015

Incarico di assistenza legale

Il contratto stipulato tra l’ente pubblico e l’avvocato, per l’assistenza legale in un procedimento giudiziario, costituisce una negozio atipico non disciplinato dal codice civile, trova la propria fonte di riferimento tra i contratti “d’opera intellettuale”, species del genus contratto di lavoro autonomo.

È subito da precisare che “il conferimento dell’incarico di patrocinio legale comprende normalmente anche quello di prestare assistenza stragiudiziale alla medesima parte, in relazione alle medesime vicende cui si riferisce l’incarico di patrocinio; che anche nell’ambito di una procedura giudiziale civile il professionista può prestare, in relazione alla stessa pratica, sia attività giudiziale sia attività stragiudiziale, comprendendosi in quest’ultima quelle prestazioni che non risultino strettamente connesse e strumentali all’attività propriamente processuale” (Cass. Civ, sez. II, sentenza n. 16016/2003).

In effetti, si tratta di un contratto con il quale il professionista si obbliga a compiere la prestazione verso un corrispettivo, con lavoro prevalentemente proprio e senza vincoli di subordinazione verso il committente, distinguendosi dal contratto di appalto in quanto per l’opera o il servizio non è necessaria quella complessa organizzazione di mezzi e attività che è proprio dell’appalto.

Infatti, l’incarico professionale si configura come contratto di prestazione d’opera, ex artt. 2222 -2238 c.c., riconducibile al modello della locatio operis, rispetto al quale assume rilevanza la personalità della prestazione resa dall’esecutore; concettualmente distinto rimane, pertanto, l’appalto di servizi, il quale ha ad oggetto la prestazione imprenditoriale di un risultato resa da soggetti con organizzazione strutturata e prodotta senza caratterizzazione personale (Cons. Stato, sez. IV, sentenza n. 263/2008).

L’avvocato, in generale, si obbliga (obbligazione di mezzi) al compimento di un’attività con la diligenza da valutarsi con riguardo alla natura della prestazione (ai sensi dell’articolo 1176, comma 2 c.c.), impegnandosi al risultato desiderato ma non al suo conseguimento.

Questa circostanza comporta che l’inadempimento alla propria obbligazione non può essere desunto ipso facto, dal mancato raggiungimento del risultato utile avuto di mira il committente, ma deve essere valutato alla stregua dei doveri inerenti lo svolgimento dell’attività professionale; in particolare, in luogo del tradizionale criterio della “diligenza del buon padre di famiglia”, il parametro della “diligenza professionale”: quella media posta nell’esercizio della propria preparazione professionale e di attenzione medie, salvo il caso di particolare difficoltà, nel qual caso risponde soltanto per dolo o colpa grave (art. 2236 c.c.).

L’avvocato deve tendere a conseguire il buon esito della lite e sussiste la sua responsabilità se, probabilmente e presuntivamente, applicando il principio penale di equivalenza delle cause, esso non è stato raggiunto per sua negligenza (si pensi al danno eventuale per tardiva proposizione dell’impugnazione).

Ne consegue che l’obbligazione dell’avvocato, come di regola del professionista, è un obbligazione di mezzi e non di risultato, ed il mancato conseguimento del risultato utile non vale di per sé a costituire inadempimento o a determinare il sorgere della sua responsabilità; quello che rileva sono le modalità dello svolgimento della sua attività in relazione al parametro di diligenza, come citato sopra.

Quando al nesso causale è necessario che la parte fornisca la prova di aver subito il pregiudizio e che tale danno sia eziologicamente riconducibile alla condotta, anche omissiva, dell’avvocato, dovendo provare non solo il sicuro fondamento dell’attività che l’avvocato avrebbe dovuto compiere, ma anche che tale sua diversa attività avrebbe determinato un differente esito della vicenda (con una valutazione prognostica positiva).

Va anche rilevato che l’attività di rappresentanza e difesa in giudizio, non può prescindere dall’osservanza delle norme e delle procedure previste dal codice dei contratti pubblici (D.Lgs. n.163/2006, Allegato II B) per l’affidamento dell’appalto di servizi nei cc.dd. settori esclusi, nei quali sono compresi “i servizi legali”.

Tuttavia, secondo un recente arresto della giurisprudenza amministrativa l’Amministrazione… non ha l’obbligo di esperire una “gara” per affidare un singolo incarico di patrocinio legale, poiché sussistono profonde differenze tra i generici servizi legali e l’incarico di patrocinio/difesa legale, cioè tra l’attività continuativa o comunque non episodica di assistenza e consulenza giuridica, caratterizzata dalla complessità dell’oggetto, da una specifica organizzazione rapportata alla predeterminazione della durata, dalla predeterminazione del compenso, all’espletamento del singolo incarico di patrocinio legale, e pertanto non è sussumibile nella nozione di contratto di appalto ratione materiae abbracciata dal legislatore comunitario.

Peraltro, è da osservare che l’individuazione dell’avvocato, per la difesa in giudizio, risente di una scelta particolare, dove la natura fiduciaria non è collegata necessariamente alla sola valutazione di un preventivo di spesa, ovvero di un curriculum professionale, essendo unita a componenti esterne, relative alla personalità – qualità dell’incaricato (intuitus personae), confermando che trattasi di una prestazione d’opera intellettuale, di cui all’art. 2230 c.c., conclusi dalla P.A. al pari di qualsiasi altro soggetto privato.

(estratto, Incarico di assistenza legale con schema negoziale, I contratti dello Stato e degli Enti pubblici, n.4, 2014)