«Libero Pensatore» (è tempo di agire)

In caso di infortunio sul luogo di lavoro[1] accorso ad un dipendente pubblico si rende immediato verificare da una parte, la corretta presenza delle misure di sicurezza (la c.d. valutazione dei fattori, quanto meno quelli afferenti all’art. 15 del d.lgs. n. 81/2008), ovvero l’idoneità dei luoghi privi di rischi per il personale in servizio (secondo il documento di valutazione dei rischi)[2], dall’altra parte, accertare le (eventuali) responsabilità in capo al soggetto tenuto (il datore di lavoro) ad adottare le misure e a vigilarne (assicurare) l’adeguatezza[3]: un obbligo di prevenzione.

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La nomina a responsabile della sicurezza esenta il Sindaco da responsabilità

La nomina a responsabile della sicurezza esenta il Sindaco da responsabilità

In caso di infortunio sul luogo di lavoro[1] accorso ad un dipendente pubblico si rende immediato verificare da una parte, la corretta presenza delle misure di sicurezza (la c.d. valutazione dei fattori, quanto meno quelli afferenti all’art. 15 del d.lgs. n. 81/2008), ovvero l’idoneità dei luoghi privi di rischi per il personale in servizio (secondo il documento di valutazione dei rischi)[2], dall’altra parte, accertare le (eventuali) responsabilità in capo al soggetto tenuto (il datore di lavoro) ad adottare le misure e a vigilarne (assicurare) l’adeguatezza[3]: un obbligo di prevenzione.

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Massima

La sez. VI del Consiglio di Stato, con la sentenza n. 6654 del 28 luglio 2022, interviene sull’obbligatorietà per i dirigenti – posti ai vertici della macchina amministrativa[1] – della pubblicazione dei redditi, ai sensi del comma 1, lettera f), dell’art. 14, Obblighi di pubblicazione concernenti i titolari di incarichi politici, di amministrazione, di direzione o di governo e i titolari di incarichi dirigenziali, del d.lgs. n. 33/2013, da includere coloro che ricoprono «cariche di amministrazione, di direzione o di governo», obbligo privo di sanzione: la lotta alla corruzione, mediante il modello FOIA, trova qualche inciampo dell’inerzia del legislatore (della decretazione emergenziale e dei voti di fiducia).

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Lotta alla corruzione con la pubblicazione dei dati reddituali

Lotta alla corruzione con la pubblicazione dei dati reddituali

Massima

La sez. VI del Consiglio di Stato, con la sentenza n. 6654 del 28 luglio 2022, interviene sull’obbligatorietà per i dirigenti – posti ai vertici della macchina amministrativa[1] – della pubblicazione dei redditi, ai sensi del comma 1, lettera f), dell’art. 14, Obblighi di pubblicazione concernenti i titolari di incarichi politici, di amministrazione, di direzione o di governo e i titolari di incarichi dirigenziali, del d.lgs. n. 33/2013, da includere coloro che ricoprono «cariche di amministrazione, di direzione o di governo», obbligo privo di sanzione: la lotta alla corruzione, mediante il modello FOIA, trova qualche inciampo dell’inerzia del legislatore (della decretazione emergenziale e dei voti di fiducia).

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I fatti

La sez. III del Cons. Stato, con la sentenza non definitiva n. 4735 del 10 giugno 2022, si sofferma sulla titolarità di un accesso civico ai “documenti internazionali”, stilati dal Ministero dell’Interno e del Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale (non costituiti in giudizio).

Gli accordi internazionali sono oggetto di pubblicazione obbligatoria, ai sensi dell’art. 4, della legge 11 dicembre 1984, n. 839, Norme sulla Raccolta ufficiale degli atti normativi della Repubblica italiana e sulla Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana, il quale impone che «tutti gli atti internazionali ai quali la Repubblica si obbliga nelle relazioni estere, trattati, convenzioni, scambi di note, accordi ed altri atti comunque denominati», siano pubblicati trimestralmente, in apposito supplemento della Gazzetta Ufficiale, e comunicati alle Presidenze delle Assemblee parlamentari (nell’intento di estendere i controlli politici, o quanto meno a titolo conoscitivo, ed in ogni caso assolvendo un onere di trasparenza).

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L’estensione dell’accesso civico oltre confini

L’estensione dell’accesso civico oltre confini

I fatti

La sez. III del Cons. Stato, con la sentenza non definitiva n. 4735 del 10 giugno 2022, si sofferma sulla titolarità di un accesso civico ai “documenti internazionali”, stilati dal Ministero dell’Interno e del Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale (non costituiti in giudizio).

Gli accordi internazionali sono oggetto di pubblicazione obbligatoria, ai sensi dell’art. 4, della legge 11 dicembre 1984, n. 839, Norme sulla Raccolta ufficiale degli atti normativi della Repubblica italiana e sulla Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana, il quale impone che «tutti gli atti internazionali ai quali la Repubblica si obbliga nelle relazioni estere, trattati, convenzioni, scambi di note, accordi ed altri atti comunque denominati», siano pubblicati trimestralmente, in apposito supplemento della Gazzetta Ufficiale, e comunicati alle Presidenze delle Assemblee parlamentari (nell’intento di estendere i controlli politici, o quanto meno a titolo conoscitivo, ed in ogni caso assolvendo un onere di trasparenza).

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La legittimazione

La sez. giur. del C.G.A.R.S., con il decreto del 4 marzo 2022, n. 91, interviene per riaffermare i confini della legittimazione del consigliere comunale a fronte della violazione dei propri diritti afferenti alla lesione del munus publicum.

La legittimazione da parte del consigliere comunale, al pari di tutti gli altri soggetti dell’ordinamento, ad impugnare le deliberazioni emanate dal consiglio è ammissibile solo quando esse ledano un suo interesse personale diretto, sicché il consigliere dell’Ente locale non può impugnare le deliberazioni con le quali è semplicemente in disaccordo, perché ciò significherebbe trasporre e continuare nelle sedi di giustizia la competizione che lo ha visto in minoranza, gravando le sedi medesime di decisioni che competono all’organo collegiale elettivo[1].

La questione, nella sua essenzialità, verteva sul difetto di legittimazione e difetto di interesse alla proposizione di un ricorso proposto da un consigliere comunale avverso un atto consigliare, ove si intendeva contrastare l’errato conteggio dei voti, e dunque l’esito del deliberato in relazione alle evidenti ripercussioni sull’esercizio delle funzioni e delle prerogative connesse all’incarico ricoperto (e alla stessa esistenza dell’organo).

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La legittimazione del consigliere comunale sull’errato conteggio dei voti

La legittimazione del consigliere comunale sull’errato conteggio dei voti

La legittimazione

La sez. giur. del C.G.A.R.S., con il decreto del 4 marzo 2022, n. 91, interviene per riaffermare i confini della legittimazione del consigliere comunale a fronte della violazione dei propri diritti afferenti alla lesione del munus publicum.

La legittimazione da parte del consigliere comunale, al pari di tutti gli altri soggetti dell’ordinamento, ad impugnare le deliberazioni emanate dal consiglio è ammissibile solo quando esse ledano un suo interesse personale diretto, sicché il consigliere dell’Ente locale non può impugnare le deliberazioni con le quali è semplicemente in disaccordo, perché ciò significherebbe trasporre e continuare nelle sedi di giustizia la competizione che lo ha visto in minoranza, gravando le sedi medesime di decisioni che competono all’organo collegiale elettivo[1].

La questione, nella sua essenzialità, verteva sul difetto di legittimazione e difetto di interesse alla proposizione di un ricorso proposto da un consigliere comunale avverso un atto consigliare, ove si intendeva contrastare l’errato conteggio dei voti, e dunque l’esito del deliberato in relazione alle evidenti ripercussioni sull’esercizio delle funzioni e delle prerogative connesse all’incarico ricoperto (e alla stessa esistenza dell’organo).

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Il pronunciamento

La Corte Cost., con la sentenza n. 240 del 7 dicembre 2021 (redattore Stefano Petitti), interviene per allarmare il legislatore (quello che dovrebbe scrivere le leggi) affinché sia assicurata la libertà di voto, espressione compiuta delle democrazie evolute dove, a fianco della separazione dei poteri e non della loro concentrazione (diversamente saremo di fronte ad un regime) la rappresentanza degli Enti esponenziali delle Comunità (quelle territoriali) avviene previa elezione da parte del corpo elettorale: il popolo.

In termini più diretti, l’elezione attuale (come definita dalla riforma degli “Enti di area vasta”) dei Sindaci delle Città metropolitane (enti di secondo livello) è in contrasto con il principio di uguaglianza del voto (attiene ai diritti politici e, segnatamente di elettorato attivo) e pregiudica la responsabilità politica del vertice nominato (con elezioni di secondo grado, ossia da parte degli amministratori locali eletti o automaticamente coincidente per legge, ovvero il Sindaco metropolitano risulta «di diritto» il Sindaco del Comune capoluogo) nei confronti degli elettori: è necessario assicurare ai cittadini la possibilità di esprimere, in via diretta o indiretta, i propri rappresentanti: la persistenza di questo sistema risulta «del tutto ingiustificato».

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La riforma delle Città Metropolitane e delle Province: un fallimento dei diritti politici

La riforma delle Città Metropolitane e delle Province: un fallimento dei diritti politici

Il pronunciamento

La Corte Cost., con la sentenza n. 240 del 7 dicembre 2021 (redattore Stefano Petitti), interviene per allarmare il legislatore (quello che dovrebbe scrivere le leggi) affinché sia assicurata la libertà di voto, espressione compiuta delle democrazie evolute dove, a fianco della separazione dei poteri e non della loro concentrazione (diversamente saremo di fronte ad un regime) la rappresentanza degli Enti esponenziali delle Comunità (quelle territoriali) avviene previa elezione da parte del corpo elettorale: il popolo.

In termini più diretti, l’elezione attuale (come definita dalla riforma degli “Enti di area vasta”) dei Sindaci delle Città metropolitane (enti di secondo livello) è in contrasto con il principio di uguaglianza del voto (attiene ai diritti politici e, segnatamente di elettorato attivo) e pregiudica la responsabilità politica del vertice nominato (con elezioni di secondo grado, ossia da parte degli amministratori locali eletti o automaticamente coincidente per legge, ovvero il Sindaco metropolitano risulta «di diritto» il Sindaco del Comune capoluogo) nei confronti degli elettori: è necessario assicurare ai cittadini la possibilità di esprimere, in via diretta o indiretta, i propri rappresentanti: la persistenza di questo sistema risulta «del tutto ingiustificato».

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Assistiamo ad una produzione normativa anomala, il Governo legifera «in casi straordinari di necessità e d’urgenza» (ex comma 1, dell’art. 77 Cost.) per «imprimere un impulso decisivo allo snellimento delle procedure amministrative in tutti i settori incisi dalle previsioni», in sede di conversione dei D.L. il Parlamento inserisce nuovi tomi del diritto, modificando le norme, stralciando pezzi di commi, al punto da poter leggere un testo di legge che appare diverso per contenuto e sostanza rispetto a quello proposto e adottato dall’esecutivo: le norme provvisorie vedono rinnovata la propria fonte, «che non è più il provvedimento governativo, ormai uscito di scena, ma la successiva legge di conversione (c.d. «novazione della fonte»)»[1]

Il D.L. n. 77/2021, così come il successivo D.L. 80/2021, convertito con modificazioni in legge 113/2021, introduce in sede di conversione una pluralità di norme che contrastano con la necessaria omogeneità del decreto-legge, un’eterogeneità rispetto alle disposizioni originariamente contenute nel D.L., senza l’adozione della procedura normale di esame e di approvazione diretta da parte delle Camere: «il Parlamento, nell’approvare la legge di conversione di un decreto, può esercitare la propria potestà legislativa anche introducendo, con disposizioni aggiuntive, contenuti precettivi ulteriori…, peraltro con il limite dell’omogeneità complessiva dell’atto normativo rispetto all’oggetto o allo scopo», dovendo, tuttavia, osservare in presenza di emendamenti direttamente incidenti sul testo del provvedimento governativo l’omogeneità del decreto-legge «dalla legge di conversione, verificandosi, in mancanza, un uso improprio, da parte del Parlamento, di un potere che la Costituzione gli attribuisce, con speciali modalità di procedura, allo scopo tipico di convertire, o non, in legge un decreto»[2].

In breve, la decretazione d’urgenza con l’aggiunta di norme in sede di conversione del decreto – legge, del tutto estranee rispetto al contenuto della decretazione d’urgenza, costituisce concretamente un procedimento abbreviato in luogo di quello normale.

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Il d.l. n. 77/2021, convertito con aggiunte in legge n. 108/2021

Il d.l. n. 77/2021, convertito con aggiunte in legge n. 108/2021

Assistiamo ad una produzione normativa anomala, il Governo legifera «in casi straordinari di necessità e d’urgenza» (ex comma 1, dell’art. 77 Cost.) per «imprimere un impulso decisivo allo snellimento delle procedure amministrative in tutti i settori incisi dalle previsioni», in sede di conversione dei D.L. il Parlamento inserisce nuovi tomi del diritto, modificando le norme, stralciando pezzi di commi, al punto da poter leggere un testo di legge che appare diverso per contenuto e sostanza rispetto a quello proposto e adottato dall’esecutivo: le norme provvisorie vedono rinnovata la propria fonte, «che non è più il provvedimento governativo, ormai uscito di scena, ma la successiva legge di conversione (c.d. «novazione della fonte»)»[1]

Il D.L. n. 77/2021, così come il successivo D.L. 80/2021, convertito con modificazioni in legge 113/2021, introduce in sede di conversione una pluralità di norme che contrastano con la necessaria omogeneità del decreto-legge, un’eterogeneità rispetto alle disposizioni originariamente contenute nel D.L., senza l’adozione della procedura normale di esame e di approvazione diretta da parte delle Camere: «il Parlamento, nell’approvare la legge di conversione di un decreto, può esercitare la propria potestà legislativa anche introducendo, con disposizioni aggiuntive, contenuti precettivi ulteriori…, peraltro con il limite dell’omogeneità complessiva dell’atto normativo rispetto all’oggetto o allo scopo», dovendo, tuttavia, osservare in presenza di emendamenti direttamente incidenti sul testo del provvedimento governativo l’omogeneità del decreto-legge «dalla legge di conversione, verificandosi, in mancanza, un uso improprio, da parte del Parlamento, di un potere che la Costituzione gli attribuisce, con speciali modalità di procedura, allo scopo tipico di convertire, o non, in legge un decreto»[2].

In breve, la decretazione d’urgenza con l’aggiunta di norme in sede di conversione del decreto – legge, del tutto estranee rispetto al contenuto della decretazione d’urgenza, costituisce concretamente un procedimento abbreviato in luogo di quello normale.

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