«Libero Pensatore» (è tempo di agire)

L’infedeltà

La Corte dei conti, sez. giur. Emilia – Romagna, con la sentenza n. 142 del 12 agosto 2022, nel condannare una condotta infedele all’obbligo di imparzialità, ex art. 97 Cost. (bene giuridico da salvaguardare a fronte di azioni in dispregio delle funzioni e delle responsabilità dei funzionari pubblici)[1], fornisce alcune indicazioni sulla pervasività del fenomeno e delle mafie, soffermandosi sulle diverse profilazioni del danno erariale e della sua esibizione concreta.

La prestazione di lavoro pubblico trova anche altri riferimenti costituzionali sul dovere di essere «al servizio esclusivo della Nazione», ex art. 98 Cost., un obbligo negoziale che si concretizza anche nel dovere di fedeltà nei confronti del datore di lavoro pubblico, ex art. 2105 cod. civ., inteso in senso ampio, posto che non attiene solo agli aspetti patrimoniali del rapporto, e dunque al divieto di conflitto di interessi o di concorrenza, ma anche ai più generali canoni di correttezza e buona fede nell’esecuzione del rapporto tra le parti, che proietta la sua violazione sull’immagine e sull’onorabilità della PA (il richiamo si associa al secondo comma dell’art. 54 Cost.), quell’aspettativa di legalità e credibilità in essa riposta dai cittadini (ex art. 2 e 3 Cost.).

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Condotte corruttive e tipologie di danno erariale

Condotte corruttive e tipologie di danno erariale

L’infedeltà

La Corte dei conti, sez. giur. Emilia – Romagna, con la sentenza n. 142 del 12 agosto 2022, nel condannare una condotta infedele all’obbligo di imparzialità, ex art. 97 Cost. (bene giuridico da salvaguardare a fronte di azioni in dispregio delle funzioni e delle responsabilità dei funzionari pubblici)[1], fornisce alcune indicazioni sulla pervasività del fenomeno e delle mafie, soffermandosi sulle diverse profilazioni del danno erariale e della sua esibizione concreta.

La prestazione di lavoro pubblico trova anche altri riferimenti costituzionali sul dovere di essere «al servizio esclusivo della Nazione», ex art. 98 Cost., un obbligo negoziale che si concretizza anche nel dovere di fedeltà nei confronti del datore di lavoro pubblico, ex art. 2105 cod. civ., inteso in senso ampio, posto che non attiene solo agli aspetti patrimoniali del rapporto, e dunque al divieto di conflitto di interessi o di concorrenza, ma anche ai più generali canoni di correttezza e buona fede nell’esecuzione del rapporto tra le parti, che proietta la sua violazione sull’immagine e sull’onorabilità della PA (il richiamo si associa al secondo comma dell’art. 54 Cost.), quell’aspettativa di legalità e credibilità in essa riposta dai cittadini (ex art. 2 e 3 Cost.).

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La questione da affrontare in questa analisi giuridica concerne la possibilità (o meno) di transare un debito tributario con l’ente locale (ad es. ICI/IMU), ovvero il potere della P.A. di ridurre l’accertamento del mancato pagamento di un tributo locale su un’area edificabile (in assenza della realizzazione dell’intervento), pena la perdita dell’entrata, specie se il bene è oggetto di procedura fallimentare.

L’ICI/IMU costituiscono, infatti, un’entrata di natura tributaria, a cui deve riconoscersi natura tributaria all’obbligazione avente ad oggetto le somme dovute in ragione del detto tributo, nonché all’obbligazione relativa agli interessi maturati sulle medesime somme, attesa la natura accessoria di detta obbligazione rispetto a quella principale[1].

Va premesso, che un basso grado di efficienza dell’attività di contrasto all’evasione tributaria nelle fasi di accertamento e di riscossione è sintomo di una criticità che può compromettere gli equilibri di bilancio, e, allo stesso tempo, dimostra l’incapacità di assolvere un compito fondamentale che appartiene alla P.A.: la riscossione delle proprie entrate.

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L’indisponibilità (alla transazione) dell’obbligazione tributaria salvo il ricorso agli strumenti deflattivi previsti dalla legge

L’indisponibilità (alla transazione) dell’obbligazione tributaria salvo il ricorso agli strumenti deflattivi previsti dalla legge

La questione da affrontare in questa analisi giuridica concerne la possibilità (o meno) di transare un debito tributario con l’ente locale (ad es. ICI/IMU), ovvero il potere della P.A. di ridurre l’accertamento del mancato pagamento di un tributo locale su un’area edificabile (in assenza della realizzazione dell’intervento), pena la perdita dell’entrata, specie se il bene è oggetto di procedura fallimentare.

L’ICI/IMU costituiscono, infatti, un’entrata di natura tributaria, a cui deve riconoscersi natura tributaria all’obbligazione avente ad oggetto le somme dovute in ragione del detto tributo, nonché all’obbligazione relativa agli interessi maturati sulle medesime somme, attesa la natura accessoria di detta obbligazione rispetto a quella principale[1].

Va premesso, che un basso grado di efficienza dell’attività di contrasto all’evasione tributaria nelle fasi di accertamento e di riscossione è sintomo di una criticità che può compromettere gli equilibri di bilancio, e, allo stesso tempo, dimostra l’incapacità di assolvere un compito fondamentale che appartiene alla P.A.: la riscossione delle proprie entrate.

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Gli incentivi per le funzioni tecniche sono catalogati nell’art. 113 del d.lgs. n. 50/2016 e attengono a quelle attività aggiuntive che presentano una “particolare complessità” tale da richiedere un quid ulteriore, tipica espressione di quelle prestazioni professionali e specialistiche che esigono un grado di capacità che va oltre all’ordinaria, valutazione rimessa all’Amministrazione e specificatamente al Responsabile del procedimento, individuato nel titolare della competenza: il dirigente, ovvero colui che assume le funzioni dirigenziali negli enti privi della dirigenza o responsabile del servizio[1].

In questo senso, la disciplina si presenta derogatoria rispetto al principio di onnicomprensività della retribuzione, non costituiscono spesa per il personale ai fini della determinazione della capacità assunzionale, secondo la nuova normativa dell’art. 33, comma 2 del d.l. n. 34/2019 (e ss.mm.ii)[2], da considerarsi di stretta interpretazione non suscettibile di estensione analogica, dovendo rientrare in una previsione regolamentare e in presenza di una procedura di gara.

Allo stesso tempo, l’adozione del regolamento risulta una condizione essenziale ai fini del legittimo riparto tra gli aventi diritto delle risorse accantonate sul fondo[3], giacché – nella sistematicità della legge – il regolamento è la fonte destinata ad individuare le modalità ed i criteri della ripartizione, oltre alla percentuale, che comunque non può superare il tetto massimo fissato dalla legge[4].

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Gli incentivi per funzioni tecniche tra affidamenti diretti informali e comparazioni formali, cercando una nozione compatibile di “gara”

Gli incentivi per funzioni tecniche tra affidamenti diretti informali e comparazioni formali, cercando una nozione compatibile di “gara”

Gli incentivi per le funzioni tecniche sono catalogati nell’art. 113 del d.lgs. n. 50/2016 e attengono a quelle attività aggiuntive che presentano una “particolare complessità” tale da richiedere un quid ulteriore, tipica espressione di quelle prestazioni professionali e specialistiche che esigono un grado di capacità che va oltre all’ordinaria, valutazione rimessa all’Amministrazione e specificatamente al Responsabile del procedimento, individuato nel titolare della competenza: il dirigente, ovvero colui che assume le funzioni dirigenziali negli enti privi della dirigenza o responsabile del servizio[1].

In questo senso, la disciplina si presenta derogatoria rispetto al principio di onnicomprensività della retribuzione, non costituiscono spesa per il personale ai fini della determinazione della capacità assunzionale, secondo la nuova normativa dell’art. 33, comma 2 del d.l. n. 34/2019 (e ss.mm.ii)[2], da considerarsi di stretta interpretazione non suscettibile di estensione analogica, dovendo rientrare in una previsione regolamentare e in presenza di una procedura di gara.

Allo stesso tempo, l’adozione del regolamento risulta una condizione essenziale ai fini del legittimo riparto tra gli aventi diritto delle risorse accantonate sul fondo[3], giacché – nella sistematicità della legge – il regolamento è la fonte destinata ad individuare le modalità ed i criteri della ripartizione, oltre alla percentuale, che comunque non può superare il tetto massimo fissato dalla legge[4].

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L’affidamento diretto di un bene pubblico – senza alcuna procedura comparativa – costituisce un’aperta violazione ai principi generali della contrattualistica pubblica che impongono da una parte, la redditività dei beni (con una conseguente entrata all’erario), dall’altra, una procedura aperta e trasparente (in piena aderenza alla disciplina comunitaria, deve intendersi «concorrenza»)[1].

Non va sottaciuto che secondo un consolidato orientamento della Corte di Cassazione, soltanto in presenza di beni demaniali o del patrimonio indisponibile, si impone il ricorso a procedura di concessione di beni, nel mentre di norma il rapporto avente ad oggetto il godimento di bene immobile compreso nel patrimonio disponibile si qualifica in termini privatistici[2]; di converso, la natura patrimoniale disponibile del bene pubblico discende che l’attribuzione in godimento a soggetti terzi venga effettuata secondo le categorie negoziali di diritto comune[3], non esimendo l’Amministrazione (in entrambi i casi) da una procedura di gara.

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Questioni sull’affidamento diretto di un bene e responsabilità

Questioni sull’affidamento diretto di un bene e responsabilità

L’affidamento diretto di un bene pubblico – senza alcuna procedura comparativa – costituisce un’aperta violazione ai principi generali della contrattualistica pubblica che impongono da una parte, la redditività dei beni (con una conseguente entrata all’erario), dall’altra, una procedura aperta e trasparente (in piena aderenza alla disciplina comunitaria, deve intendersi «concorrenza»)[1].

Non va sottaciuto che secondo un consolidato orientamento della Corte di Cassazione, soltanto in presenza di beni demaniali o del patrimonio indisponibile, si impone il ricorso a procedura di concessione di beni, nel mentre di norma il rapporto avente ad oggetto il godimento di bene immobile compreso nel patrimonio disponibile si qualifica in termini privatistici[2]; di converso, la natura patrimoniale disponibile del bene pubblico discende che l’attribuzione in godimento a soggetti terzi venga effettuata secondo le categorie negoziali di diritto comune[3], non esimendo l’Amministrazione (in entrambi i casi) da una procedura di gara.

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La sez. prima del T.A.R. Emilia Romagna, Parma, con la sentenza 2 dicembre 2019, n. 282, interviene per stabilire la legittimità di un atto dirigenziale che impone misure di natura pratica ai proprietari, possessori o detentori a qualsiasi titolo di cani, anche solo temporaneamente incaricati della loro custodia o conduzione, in relazione alle loro necessità essenziali di vita (c.d. deiezioni liquide), prevenendo l’asserito “pregiudizio igienico”.

La vicenda prende piede dall’impugnazione di un’ordinanza dirigenziale tesa a fornire una risposta ad «un disagio segnalato dai cittadini» conseguenza della «noncuranza con la quale sovente, le deiezioni liquide dei cani vengono lasciate dai loro detentori sui marciapiedi, strade, piazze pubbliche e di uso pubblico»,

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Potere di ordinanza, custodia animali e regole di condotta sulle deiezioni liquide

Potere di ordinanza, custodia animali e regole di condotta sulle deiezioni liquide

La sez. prima del T.A.R. Emilia Romagna, Parma, con la sentenza 2 dicembre 2019, n. 282, interviene per stabilire la legittimità di un atto dirigenziale che impone misure di natura pratica ai proprietari, possessori o detentori a qualsiasi titolo di cani, anche solo temporaneamente incaricati della loro custodia o conduzione, in relazione alle loro necessità essenziali di vita (c.d. deiezioni liquide), prevenendo l’asserito “pregiudizio igienico”.

La vicenda prende piede dall’impugnazione di un’ordinanza dirigenziale tesa a fornire una risposta ad «un disagio segnalato dai cittadini» conseguenza della «noncuranza con la quale sovente, le deiezioni liquide dei cani vengono lasciate dai loro detentori sui marciapiedi, strade, piazze pubbliche e di uso pubblico»,

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