«Libero Pensatore» (è tempo di agire)

La sez. I Catanzaro, del TAR Calabria, con la sentenza 7 agosto 2023 n. 1120, segnala un’evidente anomalia nella richiesta di un consigliere comunale (di minoranza) di accedere alla documentazione amministrativa di una procedura concorsuale, limitandosi a qualificarsi (c.d. legittimazione) come “amministratore pubblico”, senza fornire alcun profilo di utilità (interesse) all’esercizio del c.d. munus publicum.

Inquadramento

È noto che in materia di accesso ai documenti amministrativi da parte dei consiglieri comunali, l’art. 43 del d.lgs. n. 267/2000 (TUEL) è ispirato alla “ratio” di garantire ai rappresentanti del corpo elettorale l’accesso ai documenti e alle informazioni utili all’espletamento del loro mandato, anche al fine di permettere e di valutare, con piena cognizione, la correttezza e l’efficacia dell’operato dell’Amministrazione, e di esprimere un voto consapevole sulle questioni di competenza del consiglio, onde promuovere, anche nell’ambito del consiglio stesso, le iniziative (interrogazioni, interpellanze, mozioni, ordini del giorno, deliberazioni) che spettano ai singoli rappresentanti del corpo elettorale locale: tale diritto si configura come peculiare espressione del principio democratico dell’autonomia locale e della rappresentanza esponenziale della collettività[1].

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Il diritto anomalo di accesso del consigliere comunale

Il diritto anomalo di accesso del consigliere comunale

La sez. I Catanzaro, del TAR Calabria, con la sentenza 7 agosto 2023 n. 1120, segnala un’evidente anomalia nella richiesta di un consigliere comunale (di minoranza) di accedere alla documentazione amministrativa di una procedura concorsuale, limitandosi a qualificarsi (c.d. legittimazione) come “amministratore pubblico”, senza fornire alcun profilo di utilità (interesse) all’esercizio del c.d. munus publicum.

Inquadramento

È noto che in materia di accesso ai documenti amministrativi da parte dei consiglieri comunali, l’art. 43 del d.lgs. n. 267/2000 (TUEL) è ispirato alla “ratio” di garantire ai rappresentanti del corpo elettorale l’accesso ai documenti e alle informazioni utili all’espletamento del loro mandato, anche al fine di permettere e di valutare, con piena cognizione, la correttezza e l’efficacia dell’operato dell’Amministrazione, e di esprimere un voto consapevole sulle questioni di competenza del consiglio, onde promuovere, anche nell’ambito del consiglio stesso, le iniziative (interrogazioni, interpellanze, mozioni, ordini del giorno, deliberazioni) che spettano ai singoli rappresentanti del corpo elettorale locale: tale diritto si configura come peculiare espressione del principio democratico dell’autonomia locale e della rappresentanza esponenziale della collettività[1].

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La sez. II del TAR Emilia Romagna, Bologna, con la sentenza 6 aprile 2023 n. 207, conferma che la reiterazione di una domanda di accesso agli atti della PA può essere accolta in presenza di elementi di novità rispetto alla richiesta originaria, diversamente in sede di giudizio la stessa risulta inammissibile.

L’esistenza e l’accesso esplorativo

È noto, ai sensi del comma 2, dell’art. 2 del DPR n. 184/2006, il diritto di accesso si esercita con riferimento ai documenti amministrativi materialmente esistenti al momento della richiesta e detenuti alla stessa data da una Pubblica Amministrazione, nei confronti dell’Autorità competente a formare l’atto conclusivo o a detenerlo stabilmente, rilevando che la stessa non è tenuta ad elaborare dati in suo possesso al fine di soddisfare le richieste di accesso.

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Considerazioni sulla reiterazione della domanda di accesso agli atti della PA

Considerazioni sulla reiterazione della domanda di accesso agli atti della PA

La sez. II del TAR Emilia Romagna, Bologna, con la sentenza 6 aprile 2023 n. 207, conferma che la reiterazione di una domanda di accesso agli atti della PA può essere accolta in presenza di elementi di novità rispetto alla richiesta originaria, diversamente in sede di giudizio la stessa risulta inammissibile.

L’esistenza e l’accesso esplorativo

È noto, ai sensi del comma 2, dell’art. 2 del DPR n. 184/2006, il diritto di accesso si esercita con riferimento ai documenti amministrativi materialmente esistenti al momento della richiesta e detenuti alla stessa data da una Pubblica Amministrazione, nei confronti dell’Autorità competente a formare l’atto conclusivo o a detenerlo stabilmente, rilevando che la stessa non è tenuta ad elaborare dati in suo possesso al fine di soddisfare le richieste di accesso.

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La sez. II quater Roma del T.A.R. Lazio, con la sentenza 9 dicembre 2020, n. 13188 interviene per limitare il diritto di accesso del confinante, ove non sia dimostrato un interesse giuridicamente rilevante alla documentazione amministrativa autorizzativa del titolo edilizio: il mero interesse alla generica tutela individuale (del proprio nucleo familiare) o alla vigilanza sul corretto sviluppo urbano non sostanzia una posizione qualificata.

È noto che il diritto di accesso non è meramente strumentale alla proposizione di un’azione giudiziale, ma assume un carattere autonomo rispetto ad essa (essendo la situazione legittimante all’accesso autonoma e distinta da quella legittimante all’impugnativa giudiziale e dall’esito stesso di questa impugnativa)[1], con la conseguenza pratica che il rimedio speciale, previsto a tutela del diritto di accesso, deve ritenersi consentito anche se l’interessato non può più agire, o non possa ancora agire, in sede giurisdizionale, in quanto l’autonomia della domanda di accesso comporta che il giudice, chiamato a decidere su tale domanda, deve verificare solo i presupposti legittimanti la richiesta di accesso e non anche la possibilità di utilizzare gli atti richiesti in un giudizio[2].

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Limiti al diritto di accesso (emulativo) dei titoli edilizi da parte del confinante

Limiti al diritto di accesso (emulativo) dei titoli edilizi da parte del confinante

La sez. II quater Roma del T.A.R. Lazio, con la sentenza 9 dicembre 2020, n. 13188 interviene per limitare il diritto di accesso del confinante, ove non sia dimostrato un interesse giuridicamente rilevante alla documentazione amministrativa autorizzativa del titolo edilizio: il mero interesse alla generica tutela individuale (del proprio nucleo familiare) o alla vigilanza sul corretto sviluppo urbano non sostanzia una posizione qualificata.

È noto che il diritto di accesso non è meramente strumentale alla proposizione di un’azione giudiziale, ma assume un carattere autonomo rispetto ad essa (essendo la situazione legittimante all’accesso autonoma e distinta da quella legittimante all’impugnativa giudiziale e dall’esito stesso di questa impugnativa)[1], con la conseguenza pratica che il rimedio speciale, previsto a tutela del diritto di accesso, deve ritenersi consentito anche se l’interessato non può più agire, o non possa ancora agire, in sede giurisdizionale, in quanto l’autonomia della domanda di accesso comporta che il giudice, chiamato a decidere su tale domanda, deve verificare solo i presupposti legittimanti la richiesta di accesso e non anche la possibilità di utilizzare gli atti richiesti in un giudizio[2].

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La sentenza 20 ottobre 2020 n. 10660 del T.A.R. Lazio, Roma, sez. II bis, interviene per affermare la legittimità di un diniego di accesso documentale quando la richiesta si manifesta del tutto generica e con una funzione esplorativa, priva di una legittimazione capace di azionare quell’interesse qualificato tutelato dall’ordinamento, contrario ad attività della P.A. prive di un valore sostanziale o di una qualche utilità per il destinatario e, più in generale, al buon andamento dell’azione amministrativa.

Va aggiunto che la prova della “necessarietà” della conoscenza dei documenti per curare e difendere i propri interessi giuridici essa deve essere dimostrata su basi meramente presuntive, in relazione, cioè, all’“utilità” che il richiedente potrebbe presumibilmente ricavare dalla conoscenza dei documenti richiesti, da valutarsi in relazione alla situazione giuridica sottesa alla domanda di accesso e all’interesse dedotto dagli istanti[1].

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Il diritto di accesso documentale con finalità esplorativa

Il diritto di accesso documentale con finalità esplorativa

La sentenza 20 ottobre 2020 n. 10660 del T.A.R. Lazio, Roma, sez. II bis, interviene per affermare la legittimità di un diniego di accesso documentale quando la richiesta si manifesta del tutto generica e con una funzione esplorativa, priva di una legittimazione capace di azionare quell’interesse qualificato tutelato dall’ordinamento, contrario ad attività della P.A. prive di un valore sostanziale o di una qualche utilità per il destinatario e, più in generale, al buon andamento dell’azione amministrativa.

Va aggiunto che la prova della “necessarietà” della conoscenza dei documenti per curare e difendere i propri interessi giuridici essa deve essere dimostrata su basi meramente presuntive, in relazione, cioè, all’“utilità” che il richiedente potrebbe presumibilmente ricavare dalla conoscenza dei documenti richiesti, da valutarsi in relazione alla situazione giuridica sottesa alla domanda di accesso e all’interesse dedotto dagli istanti[1].

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