«Libero Pensatore» (è tempo di agire)

Sotto un profilo generale e comune, l’art. 23, Pratiche commerciali considerate in ogni caso ingannevoli, del d.lgs. 6 settembre 2005, n. 206, Codice del consumo, a norma dell’articolo 7 della legge 29 luglio 2003, n. 229, individua una serie di condotte che “falsano” la realtà (il vero), esempi traslabili anche nell’ordinaria azione amministrativa a fronte del dovere di trasparenza (dall’accesso documentale al FOIA), nonché dei principi di collaborazione e buona fede tra PA e cittadino, ex comma 2 bis, dell’art. 1 della legge n. 241/1990 (evidente precipitato del principio costituzionale di cui all’art. 97 Cost.).

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Pubblicità occulta e trasparenza

Pubblicità occulta e trasparenza

Sotto un profilo generale e comune, l’art. 23, Pratiche commerciali considerate in ogni caso ingannevoli, del d.lgs. 6 settembre 2005, n. 206, Codice del consumo, a norma dell’articolo 7 della legge 29 luglio 2003, n. 229, individua una serie di condotte che “falsano” la realtà (il vero), esempi traslabili anche nell’ordinaria azione amministrativa a fronte del dovere di trasparenza (dall’accesso documentale al FOIA), nonché dei principi di collaborazione e buona fede tra PA e cittadino, ex comma 2 bis, dell’art. 1 della legge n. 241/1990 (evidente precipitato del principio costituzionale di cui all’art. 97 Cost.).

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Il posizionamento (o sostituzione, sempre da provarsi)[1] di un cancello o di una rete (o recinzione), quale limitazione fisica all’accesso ad uno spazio privato (estrinsecazione dello ius excludendi alios proprio del diritto di proprietà), esige il titolo edilizio (autorizzazione), specie se sono necessarie opere murarie, ossia il consolidamento delle fondamenta.

L’intervento sanzionatorio è avvenuto a distanza di tempo: questo fatto non inficia l’intervento repressivo del Comune, non potendo invocare il legittimo affidamento ingenerato, così come pure un unico atto di applicazione di più sanzioni per interventi diversi illecitamente eseguiti.

L’abusività

È noto, altresì, che la realizzazione di qualsiasi manufatto in una zona coperta da vincolo paesaggistico, altera il pregresso stato dei luoghi, deve essere preceduto da autorizzazione paesaggistica anche quando trattasi di opere realizzabili mediante una dichiarazione d’inizio attività; di contro, è obbligata l’Amministrazione ad adottare un provvedimento di demolizione per tutte le opere che siano comunque costruite senza titolo in aree sottoposte a vincolo paesistico, a prescindere dalla classificazione degli abusi valevole nel diverso contesto dei titoli edilizi[2].

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Cancello o rete di sbarramento: serve il titolo edilizio

Cancello o rete di sbarramento: serve il titolo edilizio

Il posizionamento (o sostituzione, sempre da provarsi)[1] di un cancello o di una rete (o recinzione), quale limitazione fisica all’accesso ad uno spazio privato (estrinsecazione dello ius excludendi alios proprio del diritto di proprietà), esige il titolo edilizio (autorizzazione), specie se sono necessarie opere murarie, ossia il consolidamento delle fondamenta.

L’intervento sanzionatorio è avvenuto a distanza di tempo: questo fatto non inficia l’intervento repressivo del Comune, non potendo invocare il legittimo affidamento ingenerato, così come pure un unico atto di applicazione di più sanzioni per interventi diversi illecitamente eseguiti.

L’abusività

È noto, altresì, che la realizzazione di qualsiasi manufatto in una zona coperta da vincolo paesaggistico, altera il pregresso stato dei luoghi, deve essere preceduto da autorizzazione paesaggistica anche quando trattasi di opere realizzabili mediante una dichiarazione d’inizio attività; di contro, è obbligata l’Amministrazione ad adottare un provvedimento di demolizione per tutte le opere che siano comunque costruite senza titolo in aree sottoposte a vincolo paesistico, a prescindere dalla classificazione degli abusi valevole nel diverso contesto dei titoli edilizi[2].

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L’ordinanza n. 31646 del 14 novembre 2023, della Corte di Cassazione (sez. Lavoro), interviene per confermare una sanzione disciplinare (sospensione dal servizio e retribuzione) irrogata ad un Comandante della Polizia Municipale per il mancato uso dell’uniforme di servizio (da oltre un anno) svolgendo, in tale arco temporale, servizio in borghese, così cagionando danno all’immagine dell’Ente.

L’addebito deriva da una segnalazione del Sindaco all’ufficio procedimenti disciplinari (UPD) in relazione al fatto che la divisa, acquistata per tutto il personale in servizio, non veniva indossata dall’interessato, il quale non anteponeva alcun giustificato motivo (ad es. il logoramento della stessa), di converso sistematicamente utilizzava abiti propri (pertanto, non facendosi riconoscere, quasi in anonimato di funzioni, similarmente ai c.d. agenti sotto copertura) per assolvere i compiti di istituto, donde la ritualità della contestazione, ai sensi dell’art. 55 bis del d.lgs. n. 165 del 2001 (TUPI).

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Sanzionato il Comandante della PM senza divisa

Sanzionato il Comandante della PM senza divisa

L’ordinanza n. 31646 del 14 novembre 2023, della Corte di Cassazione (sez. Lavoro), interviene per confermare una sanzione disciplinare (sospensione dal servizio e retribuzione) irrogata ad un Comandante della Polizia Municipale per il mancato uso dell’uniforme di servizio (da oltre un anno) svolgendo, in tale arco temporale, servizio in borghese, così cagionando danno all’immagine dell’Ente.

L’addebito deriva da una segnalazione del Sindaco all’ufficio procedimenti disciplinari (UPD) in relazione al fatto che la divisa, acquistata per tutto il personale in servizio, non veniva indossata dall’interessato, il quale non anteponeva alcun giustificato motivo (ad es. il logoramento della stessa), di converso sistematicamente utilizzava abiti propri (pertanto, non facendosi riconoscere, quasi in anonimato di funzioni, similarmente ai c.d. agenti sotto copertura) per assolvere i compiti di istituto, donde la ritualità della contestazione, ai sensi dell’art. 55 bis del d.lgs. n. 165 del 2001 (TUPI).

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In caso di infortunio sul luogo di lavoro[1] accorso ad un dipendente pubblico si rende immediato verificare da una parte, la corretta presenza delle misure di sicurezza (la c.d. valutazione dei fattori, quanto meno quelli afferenti all’art. 15 del d.lgs. n. 81/2008), ovvero l’idoneità dei luoghi privi di rischi per il personale in servizio (secondo il documento di valutazione dei rischi)[2], dall’altra parte, accertare le (eventuali) responsabilità in capo al soggetto tenuto (il datore di lavoro) ad adottare le misure e a vigilarne (assicurare) l’adeguatezza[3]: un obbligo di prevenzione.

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La nomina a responsabile della sicurezza esenta il Sindaco da responsabilità

La nomina a responsabile della sicurezza esenta il Sindaco da responsabilità

In caso di infortunio sul luogo di lavoro[1] accorso ad un dipendente pubblico si rende immediato verificare da una parte, la corretta presenza delle misure di sicurezza (la c.d. valutazione dei fattori, quanto meno quelli afferenti all’art. 15 del d.lgs. n. 81/2008), ovvero l’idoneità dei luoghi privi di rischi per il personale in servizio (secondo il documento di valutazione dei rischi)[2], dall’altra parte, accertare le (eventuali) responsabilità in capo al soggetto tenuto (il datore di lavoro) ad adottare le misure e a vigilarne (assicurare) l’adeguatezza[3]: un obbligo di prevenzione.

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Il DPR 13 giugno 2023, n. 81, in vigore dal 14 luglio 2023, ha inserito nel Codice di comportamento (il DPR n. 62/2013) una nuova fonte, da alcuni (i c.d. logici) ritenuta superflua (che di fatto non sembra esserlo) vista la ragionevolezza di una condotta che non potrebbe non essere percepita come lesiva ex se, quale quella di usare l’identità digitale (rectius profili di vita privata da condividere con like) sui profili on line, senza avere cura (consapevolezza) degli effetti “domino”, nel senso che l’eccesso (i nostrani definiscono “buon gusto”) di “umanità” (a volte) non si concilia con la funzione pubblica ricoperta (ex artt. 54 e 98 Cost.), anche se le condotte (postate, immagini o video short) sono avvenute in orario extralavorativo, c.d. fuori servizio.

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Sanzione disciplinare per la pubblicazione di un video in WhatsApp

Sanzione disciplinare per la pubblicazione di un video in WhatsApp

Il DPR 13 giugno 2023, n. 81, in vigore dal 14 luglio 2023, ha inserito nel Codice di comportamento (il DPR n. 62/2013) una nuova fonte, da alcuni (i c.d. logici) ritenuta superflua (che di fatto non sembra esserlo) vista la ragionevolezza di una condotta che non potrebbe non essere percepita come lesiva ex se, quale quella di usare l’identità digitale (rectius profili di vita privata da condividere con like) sui profili on line, senza avere cura (consapevolezza) degli effetti “domino”, nel senso che l’eccesso (i nostrani definiscono “buon gusto”) di “umanità” (a volte) non si concilia con la funzione pubblica ricoperta (ex artt. 54 e 98 Cost.), anche se le condotte (postate, immagini o video short) sono avvenute in orario extralavorativo, c.d. fuori servizio.

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Prendendo a riferimento l’art. 844, Immissioni, cod. civ., apprendiamo che «il proprietario di un fondo non può impedire … i rumori … derivanti dal fondo del vicino, se non superano la normale tollerabilità, avuto anche riguardo alla condizione dei luoghi», mentre l’art. 659, Disturbo delle occupazioni o del riposo delle persone, cod. pen., dispone che «chiunque, mediante schiamazzi o rumori, ovvero abusando di strumenti sonori o di segnalazioni acustiche, ovvero suscitando o non impedendo strepiti di animali, disturba le occupazioni o il riposo delle persone, ovvero gli spettacoli, i ritrovi o i trattenimenti pubblici, è punito con l’arresto fino a tre mesi o con l’ammenda», avendo cura di individuare l’azionabilità della contravvenzione «punibile a querela della persona offesa, salvo che il fatto abbia ad oggetto spettacoli, ritrovi o trattenimenti pubblici, ovvero sia commesso nei confronti di persona incapace, per età o per infermità».

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L’inquinamento dai rumori esterni nella propria abitazione

L’inquinamento dai rumori esterni nella propria abitazione

Prendendo a riferimento l’art. 844, Immissioni, cod. civ., apprendiamo che «il proprietario di un fondo non può impedire … i rumori … derivanti dal fondo del vicino, se non superano la normale tollerabilità, avuto anche riguardo alla condizione dei luoghi», mentre l’art. 659, Disturbo delle occupazioni o del riposo delle persone, cod. pen., dispone che «chiunque, mediante schiamazzi o rumori, ovvero abusando di strumenti sonori o di segnalazioni acustiche, ovvero suscitando o non impedendo strepiti di animali, disturba le occupazioni o il riposo delle persone, ovvero gli spettacoli, i ritrovi o i trattenimenti pubblici, è punito con l’arresto fino a tre mesi o con l’ammenda», avendo cura di individuare l’azionabilità della contravvenzione «punibile a querela della persona offesa, salvo che il fatto abbia ad oggetto spettacoli, ritrovi o trattenimenti pubblici, ovvero sia commesso nei confronti di persona incapace, per età o per infermità».

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