«Libero Pensatore» (è tempo di agire)

L’attività di difesa legale in giudizio, la quale, riconnettendosi ad interessi costituzionalmente rilevanti, elevabili a veri e propri diritti inviolabili, quale alla difesa ex art. 24 della Cost., presenta delle peculiarità, come il requisito della fiduciarietà del rapporto tra legale e parte assistita, che impongono un trattamento a livello normativo differenziato rispetto alle altre ipotesi di rapporti professionali (si pensi all’incarico professionale di progettazione o di redazione di uno strumento urbanistico ove il requisito della fiduciarietà è mancante o, comunque, non ha una valenza caratterizzata del rapporto che è, invece, imperniato soprattutto sul possesso di determinate competenze tecniche).

La qualità di professionista legale risulta il riflesso soggettivo di una disciplina a cui sottostanno interessi pubblici o collettivi ed in cui concorrono mezzi e modi di tutela, appropriati e coerenti, esprimendo – questa specialità – in una specifica attitudine del rapporto negoziale che si riflette nelle relazioni tra i clienti e i professionisti legali, potendo scegliere l’interessato il proprio difensore sulla base dell’intuitu personae, che presuppone una generica fiducia, come riflesso delle qualità da essi normalmente possedute.

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La transazione della parcella nei servizi legali devoluta al G.O.

La transazione della parcella nei servizi legali devoluta al G.O.

L’attività di difesa legale in giudizio, la quale, riconnettendosi ad interessi costituzionalmente rilevanti, elevabili a veri e propri diritti inviolabili, quale alla difesa ex art. 24 della Cost., presenta delle peculiarità, come il requisito della fiduciarietà del rapporto tra legale e parte assistita, che impongono un trattamento a livello normativo differenziato rispetto alle altre ipotesi di rapporti professionali (si pensi all’incarico professionale di progettazione o di redazione di uno strumento urbanistico ove il requisito della fiduciarietà è mancante o, comunque, non ha una valenza caratterizzata del rapporto che è, invece, imperniato soprattutto sul possesso di determinate competenze tecniche).

La qualità di professionista legale risulta il riflesso soggettivo di una disciplina a cui sottostanno interessi pubblici o collettivi ed in cui concorrono mezzi e modi di tutela, appropriati e coerenti, esprimendo – questa specialità – in una specifica attitudine del rapporto negoziale che si riflette nelle relazioni tra i clienti e i professionisti legali, potendo scegliere l’interessato il proprio difensore sulla base dell’intuitu personae, che presuppone una generica fiducia, come riflesso delle qualità da essi normalmente possedute.

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La sez. V del Consiglio di Stato, con la sentenza 21 gennaio 2021 n. 653 (est. Gambato Spisani), chiarisce la distinzione (o la presenza o meno) tra domicilio e residenza ai fini dell’esercizio dei servizi legali[1], dichiarando l’illegittimità di un regolamento edilizio che ricomprendeva – tra gli uffici aperti al pubblico – anche quelli per l’esercizio della professione di avvocato.

L’art. 43, Domicilio e residenza, del codice civile definisce «Il domicilio di una persona è nel luogo in cui essa ha stabilito la sede principale dei suoi affari e interessi. La residenza è nel luogo in cui la persona ha la dimora abituale».

Si chiarisce che:

  • la residenza della persona è determinata dall’abituale e volontaria dimora[2] in un determinato luogo, caratterizzata dalla permanenza per un periodo apprezzabile (elemento oggettivo) e dall’intenzione di abitarvi in modo stabile (elemento soggettivo), rivelata dalle consuetudini di vita e dallo svolgimento delle normali relazioni sociali, familiari ed affettive, e la verifica di tali requisiti, ai sensi dell’art. 19 d.P.R. n. 223 del 1989, avviene da parte dell’ufficiale d’anagrafe, osservando, altresì, che la stabile permanenza sussiste anche quando la persona si rechi a lavorare o a svolgere altra attività fuori del comune di residenza, sempre che conservi in esso l’abitazione, vi ritorni quando possibile e vi mantenga il centro delle proprie relazioni familiari e sociali[3];
  • di converso, il domicilio va inteso come la sede principale degli affari ed interessi economici, nonché delle relazioni personali, desumibile da elementi presuntivi[4], rilevando, sotto altro profilo, che ai fini dell’individuazione della “residenza fiscale” del contribuente (che non coincide necessariamente con quella anagrafica ma più prossima al domicilio)[5] deve farsi riferimento al centro degli affari e degli interessi vitali dello stesso, dando prevalenza al luogo in cui la gestione di detti interessi è esercitata abitualmente in modo riconoscibile dai terzi, non rivestendo ruolo prioritario, invece, le relazioni affettive e familiari, le quali rilevano solo unitamente ad altri criteri attestanti univocamente il luogo col quale il soggetto ha il più stretto collegamento[6].

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Annullato un regolamento edilizio che dispone oneri per l’abbattimento delle barriere architettoniche a carico del domicilio dell’avvocato

Annullato un regolamento edilizio che dispone oneri per l’abbattimento delle barriere architettoniche a carico del domicilio dell’avvocato

La sez. V del Consiglio di Stato, con la sentenza 21 gennaio 2021 n. 653 (est. Gambato Spisani), chiarisce la distinzione (o la presenza o meno) tra domicilio e residenza ai fini dell’esercizio dei servizi legali[1], dichiarando l’illegittimità di un regolamento edilizio che ricomprendeva – tra gli uffici aperti al pubblico – anche quelli per l’esercizio della professione di avvocato.

L’art. 43, Domicilio e residenza, del codice civile definisce «Il domicilio di una persona è nel luogo in cui essa ha stabilito la sede principale dei suoi affari e interessi. La residenza è nel luogo in cui la persona ha la dimora abituale».

Si chiarisce che:

  • la residenza della persona è determinata dall’abituale e volontaria dimora[2] in un determinato luogo, caratterizzata dalla permanenza per un periodo apprezzabile (elemento oggettivo) e dall’intenzione di abitarvi in modo stabile (elemento soggettivo), rivelata dalle consuetudini di vita e dallo svolgimento delle normali relazioni sociali, familiari ed affettive, e la verifica di tali requisiti, ai sensi dell’art. 19 d.P.R. n. 223 del 1989, avviene da parte dell’ufficiale d’anagrafe, osservando, altresì, che la stabile permanenza sussiste anche quando la persona si rechi a lavorare o a svolgere altra attività fuori del comune di residenza, sempre che conservi in esso l’abitazione, vi ritorni quando possibile e vi mantenga il centro delle proprie relazioni familiari e sociali[3];
  • di converso, il domicilio va inteso come la sede principale degli affari ed interessi economici, nonché delle relazioni personali, desumibile da elementi presuntivi[4], rilevando, sotto altro profilo, che ai fini dell’individuazione della “residenza fiscale” del contribuente (che non coincide necessariamente con quella anagrafica ma più prossima al domicilio)[5] deve farsi riferimento al centro degli affari e degli interessi vitali dello stesso, dando prevalenza al luogo in cui la gestione di detti interessi è esercitata abitualmente in modo riconoscibile dai terzi, non rivestendo ruolo prioritario, invece, le relazioni affettive e familiari, le quali rilevano solo unitamente ad altri criteri attestanti univocamente il luogo col quale il soggetto ha il più stretto collegamento[6].

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La VI sez. Napoli del T.A.R. Campania, con la sentenza 19 ottobre 2020 n. 4568, interviene per delineare la legittimazione alla sottoscrizione dell’actio ad exibendum, in sede processuale in mancanza del mandato o della procura del titolare del diritto.

Giova rammentare che:

  • l’art. 6, del d.P.R. n. 184/2006, al comma 4 disciplina la richiesta formale di accesso, il cui procedimento «deve concludersi nel termine di trenta giorni, ai sensi dell’articolo 25, comma 4, della legge, decorrenti dalla presentazione della richiesta all’ufficio competente o dalla ricezione della medesima nell’ipotesi disciplinata dal comma 2», mentre all’art. 7 «Accoglimento della richiesta e modalità di accesso», comma 5 precisa che «l’esame dei documenti è effettuato dal richiedente o da persona da lui incaricata, con l’eventuale accompagnamento di altra persona di cui vanno specificate le generalità, che devono essere poi registrate in calce alla richiesta».
  • l’art. 25, «Modalità di esercizio del diritto di accesso e ricorsi», della legge n. 241/1990, al comma 4 dispone che «Decorsi inutilmente trenta giorni dalla richiesta, questa si intende respinta. In caso di diniego dell’accesso, espresso o tacito, o di differimento dello stesso ai sensi dell’articolo 24, comma 4, il richiedente può presentare ricorso al tribunale amministrativo regionale ai sensi del comma 5, ovvero chiedere, nello stesso termine e nei confronti degli atti delle amministrazioni comunali, provinciali e regionali, al difensore civico competente per ambito territoriale, ove costituito, che sia riesaminata la suddetta determinazione», distinguendo, al successivo comma 5, che «Le controversie relative all’accesso ai documenti amministrativi sono disciplinate dal codice del processo amministrativo».

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Legittimazione (rappresentanza) sull’istanza di accesso agli atti in caso di silenzio

Legittimazione (rappresentanza) sull’istanza di accesso agli atti in caso di silenzio

La VI sez. Napoli del T.A.R. Campania, con la sentenza 19 ottobre 2020 n. 4568, interviene per delineare la legittimazione alla sottoscrizione dell’actio ad exibendum, in sede processuale in mancanza del mandato o della procura del titolare del diritto.

Giova rammentare che:

  • l’art. 6, del d.P.R. n. 184/2006, al comma 4 disciplina la richiesta formale di accesso, il cui procedimento «deve concludersi nel termine di trenta giorni, ai sensi dell’articolo 25, comma 4, della legge, decorrenti dalla presentazione della richiesta all’ufficio competente o dalla ricezione della medesima nell’ipotesi disciplinata dal comma 2», mentre all’art. 7 «Accoglimento della richiesta e modalità di accesso», comma 5 precisa che «l’esame dei documenti è effettuato dal richiedente o da persona da lui incaricata, con l’eventuale accompagnamento di altra persona di cui vanno specificate le generalità, che devono essere poi registrate in calce alla richiesta».
  • l’art. 25, «Modalità di esercizio del diritto di accesso e ricorsi», della legge n. 241/1990, al comma 4 dispone che «Decorsi inutilmente trenta giorni dalla richiesta, questa si intende respinta. In caso di diniego dell’accesso, espresso o tacito, o di differimento dello stesso ai sensi dell’articolo 24, comma 4, il richiedente può presentare ricorso al tribunale amministrativo regionale ai sensi del comma 5, ovvero chiedere, nello stesso termine e nei confronti degli atti delle amministrazioni comunali, provinciali e regionali, al difensore civico competente per ambito territoriale, ove costituito, che sia riesaminata la suddetta determinazione», distinguendo, al successivo comma 5, che «Le controversie relative all’accesso ai documenti amministrativi sono disciplinate dal codice del processo amministrativo».

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