«Libero Pensatore» (è tempo di agire)

La sez. VI del Consiglio di Stato, con la sentenza 29 dicembre 2020, n. 8478, estensore Fantini, dichiara la legittimità di un’aggiudicazione di una vendita di un immobile pubblico a persona da nominare.

Nel caso di specie, la ricorrente impugnava l’aggiudicazione definitiva ad una cooperativa sociale di un terreno di proprietà di un ATER (Azienda regionale territoriale per l’edilizia), lamentando la violazione della disciplina del contratto per persona da nominare, in ragione del mancato rispetto del termine (pari a tre giorni) per la individuazione del terzo designato.

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Acquisto con persona da nominare oltre i termini di legge

Acquisto con persona da nominare oltre i termini di legge

La sez. VI del Consiglio di Stato, con la sentenza 29 dicembre 2020, n. 8478, estensore Fantini, dichiara la legittimità di un’aggiudicazione di una vendita di un immobile pubblico a persona da nominare.

Nel caso di specie, la ricorrente impugnava l’aggiudicazione definitiva ad una cooperativa sociale di un terreno di proprietà di un ATER (Azienda regionale territoriale per l’edilizia), lamentando la violazione della disciplina del contratto per persona da nominare, in ragione del mancato rispetto del termine (pari a tre giorni) per la individuazione del terzo designato.

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La sez. VI del Consiglio di Stato, con la sentenza 21 dicembre 2020, n. 8171, estensore Russo, interviene per riaffermare un consolidato orientamento che consente alla P.A. di sanzionare gli abusi edilizi, esercitando l’inesauribile potere di vigilanza sul territorio a tutela della corretta pianificazione, presupposto essenziale per l’adozione di provvedimenti ripristinatori o di condono una volta “espiato” il pagamento pecuniario.

La sentenza, al di là della questione trattata, ha chiarito in modo preciso come la sanzione applicata, resa a fronte di un’attività edilizia abusiva, costituisce un illecito permanente, e si atteggia come misura reale imposta per ragioni di tutela del territorio, priva di finalità punitive ed efficace contro ogni soggetto che vanti sul bene, così realizzato sine titulo, un diritto reale o personale di godimento, indipendentemente dall’esser stato, o no, l’autore dell’illecito.

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Abusi edilizi: la sanzione ha natura reale non personale

Abusi edilizi: la sanzione ha natura reale non personale

La sez. VI del Consiglio di Stato, con la sentenza 21 dicembre 2020, n. 8171, estensore Russo, interviene per riaffermare un consolidato orientamento che consente alla P.A. di sanzionare gli abusi edilizi, esercitando l’inesauribile potere di vigilanza sul territorio a tutela della corretta pianificazione, presupposto essenziale per l’adozione di provvedimenti ripristinatori o di condono una volta “espiato” il pagamento pecuniario.

La sentenza, al di là della questione trattata, ha chiarito in modo preciso come la sanzione applicata, resa a fronte di un’attività edilizia abusiva, costituisce un illecito permanente, e si atteggia come misura reale imposta per ragioni di tutela del territorio, priva di finalità punitive ed efficace contro ogni soggetto che vanti sul bene, così realizzato sine titulo, un diritto reale o personale di godimento, indipendentemente dall’esser stato, o no, l’autore dell’illecito.

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La sez. VI del Consiglio di Stato, con la sentenza 30 ottobre 2020 n. 6685, conferma un orientamento consolidato secondo il quale la prestazione di lavoro (gratuito) presso la Pubblica Amministrazione, non consolida alcuna aspettativa qualificata all’assunzione né può consolidare un valido rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato, anche se l’incarico a termine è stato affidato con selezione ed ha superato il limite legale di 36 mesi.

La questione viene affrontata a seguito del ricorso di alcuni soggetti che avevano svolto attività gratuita di docenza presso una P.A. (Università degli Studi), corrispondente a quella dei professori strutturati, in forza dei reiterati incarichi a tempo determinato (protrattosi per oltre 36 mesi) loro affidati a seguito di apposita procedura selettiva: si postula nessun riconoscimento della costituzione di un rapporto di lavoro a tempo indeterminato come professore (associato o ordinario)[1].

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Lavoro gratuito: nessun riconoscimento di pubblico impiego

Lavoro gratuito: nessun riconoscimento di pubblico impiego

La sez. VI del Consiglio di Stato, con la sentenza 30 ottobre 2020 n. 6685, conferma un orientamento consolidato secondo il quale la prestazione di lavoro (gratuito) presso la Pubblica Amministrazione, non consolida alcuna aspettativa qualificata all’assunzione né può consolidare un valido rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato, anche se l’incarico a termine è stato affidato con selezione ed ha superato il limite legale di 36 mesi.

La questione viene affrontata a seguito del ricorso di alcuni soggetti che avevano svolto attività gratuita di docenza presso una P.A. (Università degli Studi), corrispondente a quella dei professori strutturati, in forza dei reiterati incarichi a tempo determinato (protrattosi per oltre 36 mesi) loro affidati a seguito di apposita procedura selettiva: si postula nessun riconoscimento della costituzione di un rapporto di lavoro a tempo indeterminato come professore (associato o ordinario)[1].

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La VI sez. Napoli del T.A.R. Campania, con la sentenza 19 ottobre 2020 n. 4568, interviene per delineare la legittimazione alla sottoscrizione dell’actio ad exibendum, in sede processuale in mancanza del mandato o della procura del titolare del diritto.

Giova rammentare che:

  • l’art. 6, del d.P.R. n. 184/2006, al comma 4 disciplina la richiesta formale di accesso, il cui procedimento «deve concludersi nel termine di trenta giorni, ai sensi dell’articolo 25, comma 4, della legge, decorrenti dalla presentazione della richiesta all’ufficio competente o dalla ricezione della medesima nell’ipotesi disciplinata dal comma 2», mentre all’art. 7 «Accoglimento della richiesta e modalità di accesso», comma 5 precisa che «l’esame dei documenti è effettuato dal richiedente o da persona da lui incaricata, con l’eventuale accompagnamento di altra persona di cui vanno specificate le generalità, che devono essere poi registrate in calce alla richiesta».
  • l’art. 25, «Modalità di esercizio del diritto di accesso e ricorsi», della legge n. 241/1990, al comma 4 dispone che «Decorsi inutilmente trenta giorni dalla richiesta, questa si intende respinta. In caso di diniego dell’accesso, espresso o tacito, o di differimento dello stesso ai sensi dell’articolo 24, comma 4, il richiedente può presentare ricorso al tribunale amministrativo regionale ai sensi del comma 5, ovvero chiedere, nello stesso termine e nei confronti degli atti delle amministrazioni comunali, provinciali e regionali, al difensore civico competente per ambito territoriale, ove costituito, che sia riesaminata la suddetta determinazione», distinguendo, al successivo comma 5, che «Le controversie relative all’accesso ai documenti amministrativi sono disciplinate dal codice del processo amministrativo».

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Legittimazione (rappresentanza) sull’istanza di accesso agli atti in caso di silenzio

Legittimazione (rappresentanza) sull’istanza di accesso agli atti in caso di silenzio

La VI sez. Napoli del T.A.R. Campania, con la sentenza 19 ottobre 2020 n. 4568, interviene per delineare la legittimazione alla sottoscrizione dell’actio ad exibendum, in sede processuale in mancanza del mandato o della procura del titolare del diritto.

Giova rammentare che:

  • l’art. 6, del d.P.R. n. 184/2006, al comma 4 disciplina la richiesta formale di accesso, il cui procedimento «deve concludersi nel termine di trenta giorni, ai sensi dell’articolo 25, comma 4, della legge, decorrenti dalla presentazione della richiesta all’ufficio competente o dalla ricezione della medesima nell’ipotesi disciplinata dal comma 2», mentre all’art. 7 «Accoglimento della richiesta e modalità di accesso», comma 5 precisa che «l’esame dei documenti è effettuato dal richiedente o da persona da lui incaricata, con l’eventuale accompagnamento di altra persona di cui vanno specificate le generalità, che devono essere poi registrate in calce alla richiesta».
  • l’art. 25, «Modalità di esercizio del diritto di accesso e ricorsi», della legge n. 241/1990, al comma 4 dispone che «Decorsi inutilmente trenta giorni dalla richiesta, questa si intende respinta. In caso di diniego dell’accesso, espresso o tacito, o di differimento dello stesso ai sensi dell’articolo 24, comma 4, il richiedente può presentare ricorso al tribunale amministrativo regionale ai sensi del comma 5, ovvero chiedere, nello stesso termine e nei confronti degli atti delle amministrazioni comunali, provinciali e regionali, al difensore civico competente per ambito territoriale, ove costituito, che sia riesaminata la suddetta determinazione», distinguendo, al successivo comma 5, che «Le controversie relative all’accesso ai documenti amministrativi sono disciplinate dal codice del processo amministrativo».

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Il pronunciamento

La sez. VI del Consiglio di Stato, con la sentenza 2 settembre 2019 n. 6043, interviene per annullare un provvedimento di acquisizione gratuita al demanio marittimo di un chiosco – bar nell’errata convinzione dell’avvenuta scadenza della concessione, in realtà oggetto di richiesta di rinnovo (previsto nell’atto originario se presentato prima della scadenza, con effetti che si avrà modo di analizzare).

Le fonti di legge

In via di premessa, è noto che le concessioni demaniali marittime sono concessioni amministrative aventi ad oggetto l’occupazione e l’uso, anche esclusivo, di beni facenti parte del demanio necessario dello Stato (ex art. 822, comma 1, c.c.) e il rilascio delle stesse è disciplinato dal Codice della Navigazione che, all’art. 37, prevede che nel caso di più domande di concessione sia preferito (cd. diritto di insistenza)[1] il richiedente che offra maggiori garanzie di proficua utilizzazione della concessione e si proponga di avvalersi di questa per un uso che risponda ad un più rilevante interesse pubblico e, a tal fine, l’art. 18 del Regolamento di esecuzione al Codice della Navigazione prevede un iter procedimentale finalizzato alla pubblicazione delle istanze di rilascio di concessione[2].

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Demanio marittimo (spiagge) e acquisizione delle opere inamovibili al termine della concessione

Demanio marittimo (spiagge) e acquisizione delle opere inamovibili al termine della concessione

Il pronunciamento

La sez. VI del Consiglio di Stato, con la sentenza 2 settembre 2019 n. 6043, interviene per annullare un provvedimento di acquisizione gratuita al demanio marittimo di un chiosco – bar nell’errata convinzione dell’avvenuta scadenza della concessione, in realtà oggetto di richiesta di rinnovo (previsto nell’atto originario se presentato prima della scadenza, con effetti che si avrà modo di analizzare).

Le fonti di legge

In via di premessa, è noto che le concessioni demaniali marittime sono concessioni amministrative aventi ad oggetto l’occupazione e l’uso, anche esclusivo, di beni facenti parte del demanio necessario dello Stato (ex art. 822, comma 1, c.c.) e il rilascio delle stesse è disciplinato dal Codice della Navigazione che, all’art. 37, prevede che nel caso di più domande di concessione sia preferito (cd. diritto di insistenza)[1] il richiedente che offra maggiori garanzie di proficua utilizzazione della concessione e si proponga di avvalersi di questa per un uso che risponda ad un più rilevante interesse pubblico e, a tal fine, l’art. 18 del Regolamento di esecuzione al Codice della Navigazione prevede un iter procedimentale finalizzato alla pubblicazione delle istanze di rilascio di concessione[2].

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La sesta sez. del Consiglio di Stato, con la sentenza 29 agosto 2019 n. 5934 (estensore Caputo) definisce i poteri di tutela esecutoria dell’Amministrazione in presenza di occupazioni da terzi sine titulo quando agisca in area appartenente al patrimonio disponibile, dove l’esercizio di tale potere autoritativo non trova fondamento, dovendo ricorrere alle comuni azioni possessorie o della rei vindicatio civilistica.

È noto che sono soggetti al regime del demanio pubblico i beni indicati dagli artt. 823 e 824 c.c., e, in tale materia, non è possibile ipotizzare la modifica della titolarità del bene per effetto di comportamenti occupativi o di impossessamento da parte dei privati, stante il divieto di usucapione del demanio di cui all’art. 823 c.c.[1].

Il potere di autotutela demaniale, ai sensi dell’art. 378 della Legge 20 marzo 1865, n. 2248, allegato F), legittima la P.A. ad esercitare la tutela possessoria in presenza dell’apposizione di limiti od occupazioni da parte del privato: il potere esercitato attraverso l’ordinanza di sgombero non è riducibile all’azione possessoria privatistica (ex artt. 1168 e ss. cod. civ.) ma è correlato alla finalità di ripristinare la disponibilità del bene pubblico in favore della collettività, a prescindere dalle modalità concrete nelle quali si è giunti all’occupazione abusiva in via di fatto e quali ne siano le cause[2].

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Niente tutela esecutoria (ordinanza di sgombero) sul patrimonio disponibile

Niente tutela esecutoria (ordinanza di sgombero) sul patrimonio disponibile

La sesta sez. del Consiglio di Stato, con la sentenza 29 agosto 2019 n. 5934 (estensore Caputo) definisce i poteri di tutela esecutoria dell’Amministrazione in presenza di occupazioni da terzi sine titulo quando agisca in area appartenente al patrimonio disponibile, dove l’esercizio di tale potere autoritativo non trova fondamento, dovendo ricorrere alle comuni azioni possessorie o della rei vindicatio civilistica.

È noto che sono soggetti al regime del demanio pubblico i beni indicati dagli artt. 823 e 824 c.c., e, in tale materia, non è possibile ipotizzare la modifica della titolarità del bene per effetto di comportamenti occupativi o di impossessamento da parte dei privati, stante il divieto di usucapione del demanio di cui all’art. 823 c.c.[1].

Il potere di autotutela demaniale, ai sensi dell’art. 378 della Legge 20 marzo 1865, n. 2248, allegato F), legittima la P.A. ad esercitare la tutela possessoria in presenza dell’apposizione di limiti od occupazioni da parte del privato: il potere esercitato attraverso l’ordinanza di sgombero non è riducibile all’azione possessoria privatistica (ex artt. 1168 e ss. cod. civ.) ma è correlato alla finalità di ripristinare la disponibilità del bene pubblico in favore della collettività, a prescindere dalle modalità concrete nelle quali si è giunti all’occupazione abusiva in via di fatto e quali ne siano le cause[2].

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