«Libero Pensatore» (è tempo di agire)

Il Responsabile della prevenzione della corruzione e della trasparenza (RPCT) è una persona fisica, individuata dagli organi di governo delle amministrazioni pubbliche e dai soggetti tenuti alle norme in materia di prevenzione della corruzione, titolare di compiti stabiliti dalla legge e dalle indicazioni programmatiche dell’Autorità Nazionale Anticorruzione (ANAC), nelle sue formulazioni di soft law, a cui viene affidato il compito di gestire, coordinare e vigilare sulle “misure” di prevenzione del rischio corruttivo, con capacità proprie di intervento, anche sanzionatorio, allo scopo di garantire un modello di tutela anticipata in grado di ridurre i fenomeni di cattiva amministrazione (c.d. maladministration), non necessariamente rilevanti sotto il profilo penale.

Il concetto voluto dal legislatore di “corruzione” ha un’accezione più ampia di quella penale, tale da ricomprendere le varie situazioni e condotte amministrative che esulano dal perseguimento dell’interesse generale, per giungere all’abuso del potere (rectius conflitto di interessi) al fine di ottenere vantaggi personali: un uso a fini privati delle funzioni pubbliche che si riversa sull’inquinamento dell’azione amministrativa ab externo, sia che tale azione abbia successo e sia nel caso in cui rimanga a livello di tentativo.

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Il Responsabile della Prevenzione della Corruzione e della Trasparenza

Il Responsabile della Prevenzione della Corruzione e della Trasparenza

Il Responsabile della prevenzione della corruzione e della trasparenza (RPCT) è una persona fisica, individuata dagli organi di governo delle amministrazioni pubbliche e dai soggetti tenuti alle norme in materia di prevenzione della corruzione, titolare di compiti stabiliti dalla legge e dalle indicazioni programmatiche dell’Autorità Nazionale Anticorruzione (ANAC), nelle sue formulazioni di soft law, a cui viene affidato il compito di gestire, coordinare e vigilare sulle “misure” di prevenzione del rischio corruttivo, con capacità proprie di intervento, anche sanzionatorio, allo scopo di garantire un modello di tutela anticipata in grado di ridurre i fenomeni di cattiva amministrazione (c.d. maladministration), non necessariamente rilevanti sotto il profilo penale.

Il concetto voluto dal legislatore di “corruzione” ha un’accezione più ampia di quella penale, tale da ricomprendere le varie situazioni e condotte amministrative che esulano dal perseguimento dell’interesse generale, per giungere all’abuso del potere (rectius conflitto di interessi) al fine di ottenere vantaggi personali: un uso a fini privati delle funzioni pubbliche che si riversa sull’inquinamento dell’azione amministrativa ab externo, sia che tale azione abbia successo e sia nel caso in cui rimanga a livello di tentativo.

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Gli accordi di pianificazione e la perequazione urbanistica costituiscono dei modelli di governance del territorio, attuativi dei principi costituzionali di partecipazione e sussidiarietà, che ammettono il partenariato pubblico – privato nel perseguimento dell’interesse pubblico o generale ad un regolare, armonico e sostenibile sviluppo economico – sociale di un’area determinata (ex art. 97 Cost.), garantendo un equilibrato scambio di utilità tra la pubblica amministrazione (P.A.), titolare di una potestà pubblica di cura e promozione collettiva (ex art. 3, comma 2 del d.lgs. n. 267/2000, cd. TUEL), e il privato, portatore di bisogni individuali di natura economica e dai contorni trasmissibili dei diritti estrinsecazione dello ius aedificandi, anche in relazione alla “funzione sociale” della proprietà (ex artt. 41 e 42 Cost.).

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Accordi di pianificazione e perequazione urbanistica

Accordi di pianificazione e perequazione urbanistica

Gli accordi di pianificazione e la perequazione urbanistica costituiscono dei modelli di governance del territorio, attuativi dei principi costituzionali di partecipazione e sussidiarietà, che ammettono il partenariato pubblico – privato nel perseguimento dell’interesse pubblico o generale ad un regolare, armonico e sostenibile sviluppo economico – sociale di un’area determinata (ex art. 97 Cost.), garantendo un equilibrato scambio di utilità tra la pubblica amministrazione (P.A.), titolare di una potestà pubblica di cura e promozione collettiva (ex art. 3, comma 2 del d.lgs. n. 267/2000, cd. TUEL), e il privato, portatore di bisogni individuali di natura economica e dai contorni trasmissibili dei diritti estrinsecazione dello ius aedificandi, anche in relazione alla “funzione sociale” della proprietà (ex artt. 41 e 42 Cost.).

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L’affidamento della gestione impianti sportivi e prolungamento dell’affidamento

Sulla gestione degli impianti sportivi la Deliberazione ANAC n. 1300 del 14 dicembre 2016 interviene distinguendo due tipologie:

  1. gestione di impianti sportivi con rilevanza economica, qualificabile quale “concessione di servizi”, ai sensi dell’art. 3, comma 1, lett. vv) del Codice, da affidare nel rispetto delle previsioni di cui all’art. 164 e seguenti del Codice stesso, con applicazione delle parti I e II del Codice stesso (per quanto compatibili);
  2. gestione di impianti sportivi privi di rilevanza economica, sottratta alla disciplina delle concessioni di servizi (art. 164, comma 3), ricondotta nella categoria degli “appalti di servizi”, da aggiudicare secondo le specifiche previsioni dettate dal Codice per gli appalti di servizi sociali di cui al Titolo VI, sez. IV.

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Affidamento della gestione impianti sportivi

Affidamento della gestione impianti sportivi

L’affidamento della gestione impianti sportivi e prolungamento dell’affidamento

Sulla gestione degli impianti sportivi la Deliberazione ANAC n. 1300 del 14 dicembre 2016 interviene distinguendo due tipologie:

  1. gestione di impianti sportivi con rilevanza economica, qualificabile quale “concessione di servizi”, ai sensi dell’art. 3, comma 1, lett. vv) del Codice, da affidare nel rispetto delle previsioni di cui all’art. 164 e seguenti del Codice stesso, con applicazione delle parti I e II del Codice stesso (per quanto compatibili);
  2. gestione di impianti sportivi privi di rilevanza economica, sottratta alla disciplina delle concessioni di servizi (art. 164, comma 3), ricondotta nella categoria degli “appalti di servizi”, da aggiudicare secondo le specifiche previsioni dettate dal Codice per gli appalti di servizi sociali di cui al Titolo VI, sez. IV.

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Nella nuova visione del diritto di accesso, sul modello freedom of information act (cd. F.O.I.A.), avvenuta dall’approvazione del d.lgs. n. 97/2016 che ha riscritto l’art. 5 “accesso civico ai dati e documenti” del d.lgs. n. 33/2013, il titolo di legittimazione è alla base dell’istanza ostensiva: il soggetto richiedente non deve dimostrare alcun interesse qualificato e non deve motivare la sua pretesa informativa (full disclosure), essendo tale diritto di libertà riconosciuto a “chiunque”, senza limiti oggettivi e soggettivi.

Il diritto di accesso, nella sua forma di diritto di “accesso civico” non esige alcuna registrazione perché la sua natura si fonda sulla volontà di garantire un controllo generalizzato da parte dell’opinione pubblica e di piena partecipazione alla realizzazione del principio “trasparenza” (right to know), assolvendo, diversamente dal diritto di accesso, di cui alla legge n. 241/1990, il reclamo collettivo di conoscere le modalità di utilizzo delle risorse pubbliche e, più in generale, l’attività e l’organizzazione della pubblica amministrazione (P.A.), anche in funzione di misura di contrasto e prevenzione della corruzione.

Con l’accesso civico chiunque ha il “potere” di controllare democraticamente la conformità dell’attività dell’amministrazione pubblica, determinando anche una maggiore responsabilizzazione di coloro che ricoprono ruoli strategici al suo interno, soprattutto nelle aree più sensibili al rischio corruzione, così come individuate dalla legge n. 190 del 2012.

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Vicinitas, trasparenza e accesso agli atti

Vicinitas, trasparenza e  accesso agli atti

Nella nuova visione del diritto di accesso, sul modello freedom of information act (cd. F.O.I.A.), avvenuta dall’approvazione del d.lgs. n. 97/2016 che ha riscritto l’art. 5 “accesso civico ai dati e documenti” del d.lgs. n. 33/2013, il titolo di legittimazione è alla base dell’istanza ostensiva: il soggetto richiedente non deve dimostrare alcun interesse qualificato e non deve motivare la sua pretesa informativa (full disclosure), essendo tale diritto di libertà riconosciuto a “chiunque”, senza limiti oggettivi e soggettivi.

Il diritto di accesso, nella sua forma di diritto di “accesso civico” non esige alcuna registrazione perché la sua natura si fonda sulla volontà di garantire un controllo generalizzato da parte dell’opinione pubblica e di piena partecipazione alla realizzazione del principio “trasparenza” (right to know), assolvendo, diversamente dal diritto di accesso, di cui alla legge n. 241/1990, il reclamo collettivo di conoscere le modalità di utilizzo delle risorse pubbliche e, più in generale, l’attività e l’organizzazione della pubblica amministrazione (P.A.), anche in funzione di misura di contrasto e prevenzione della corruzione.

Con l’accesso civico chiunque ha il “potere” di controllare democraticamente la conformità dell’attività dell’amministrazione pubblica, determinando anche una maggiore responsabilizzazione di coloro che ricoprono ruoli strategici al suo interno, soprattutto nelle aree più sensibili al rischio corruzione, così come individuate dalla legge n. 190 del 2012.

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Nelle politiche di prevenzione del rischio corruttivo, e più in generale, nell’esercizio di una funzione pubblica, l’azione posta in essere, sia a livello istruttorio che decisorio, deve perseguire – senza limiti interni – l’interesse generale affinché l’agire neutro possa raggiungere lo scopo finalistico (rectius il bene comune) libero da condizionamenti: il potere discrezionale allo stato puro, assolvendo i canoni costituzionali di buon andamento e imparzialità (ex art. 97 Cost.).

Il conflitto di interesse si insinua in questo processo decisionale alterandone il percorso, immettendo una componente estranea (quella personale) alla comparazione dei fini (generali), indebolendo la linearità del processo dispositivo, entrando in contrasto con una posizione particolare che può astrattamente oscurare o limitare l’equilibrio psicologico, esitando nell’assolvere i compiti istituzionali in posizione di terzietà, aprendo la strada all’utilità individuale in danno all’interesse pubblico.

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Conflitto di interessi e nomina nuova Commissione concorsuale

Conflitto di interessi e nomina nuova Commissione concorsuale

Nelle politiche di prevenzione del rischio corruttivo, e più in generale, nell’esercizio di una funzione pubblica, l’azione posta in essere, sia a livello istruttorio che decisorio, deve perseguire – senza limiti interni – l’interesse generale affinché l’agire neutro possa raggiungere lo scopo finalistico (rectius il bene comune) libero da condizionamenti: il potere discrezionale allo stato puro, assolvendo i canoni costituzionali di buon andamento e imparzialità (ex art. 97 Cost.).

Il conflitto di interesse si insinua in questo processo decisionale alterandone il percorso, immettendo una componente estranea (quella personale) alla comparazione dei fini (generali), indebolendo la linearità del processo dispositivo, entrando in contrasto con una posizione particolare che può astrattamente oscurare o limitare l’equilibrio psicologico, esitando nell’assolvere i compiti istituzionali in posizione di terzietà, aprendo la strada all’utilità individuale in danno all’interesse pubblico.

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Il “conflitto di interessi” in ambito pubblico è il substrato sociale, prima che giuridico, che permea e/o invade la condotta umana, alterandone la visione “neutra” e orientandone l’azione a vantaggio di una situazione personale, diretta o indiretta, consapevole o incosciente, precostituendo il risultato finale della commistione di contrapposti (in conflitto, appunto) valori, quello generale di “buon andamento e imparzialità”, quello utilitaristico della sfera individuale, in antitesi con i valori di “eguaglianza” e “democrazia” posti tra i “principi fondamentali” dalla Costituzione Italiana.

È noto che la presenza del conflitto di interessi, nel procedimento amministrativo, prescinde dall’esito – più o meno positivo – della decisione assunta, non involgendo la correttezza dell’operato del soggetto in conflitto di interessi, poiché l’analisi si ferma nella fase antecedente allo svolgersi del processo decisionale, prescindendo dall’esercizio della discrezionalità amministrativa o dal suo prodotto provvedimentale.

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Rapporti di parentela e conflitto di interessi

Rapporti di parentela e conflitto di interessi

Il “conflitto di interessi” in ambito pubblico è il substrato sociale, prima che giuridico, che permea e/o invade la condotta umana, alterandone la visione “neutra” e orientandone l’azione a vantaggio di una situazione personale, diretta o indiretta, consapevole o incosciente, precostituendo il risultato finale della commistione di contrapposti (in conflitto, appunto) valori, quello generale di “buon andamento e imparzialità”, quello utilitaristico della sfera individuale, in antitesi con i valori di “eguaglianza” e “democrazia” posti tra i “principi fondamentali” dalla Costituzione Italiana.

È noto che la presenza del conflitto di interessi, nel procedimento amministrativo, prescinde dall’esito – più o meno positivo – della decisione assunta, non involgendo la correttezza dell’operato del soggetto in conflitto di interessi, poiché l’analisi si ferma nella fase antecedente allo svolgersi del processo decisionale, prescindendo dall’esercizio della discrezionalità amministrativa o dal suo prodotto provvedimentale.

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