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Articolo Pubblicato il 19 Dicembre, 2019

Controversie (e forma) con la P.A. dopo la stipula del contratto

Controversie (e forma) con la P.A. dopo la stipula del contratto

Le sez. Unite Civili della Corte di Cassazione, con l’ordinanza 13 dicembre 2019, n. 32976, intervengono per riaffermare che le controversie relative alla fase successiva alla stipulazione del contratto di regola ricadono nella giurisdizione dell’A.G.O.: la giurisdizione appartiene al giudice ordinario, cui spetta di conoscere dei diritti e degli obblighi che derivano dalla stipulazione del contratto con la P.A.[1].

Va premesso che la giurisdizione si determina in base alla domanda e, ai fini del riparto, rileva non già la prospettazione delle parti, bensì il petitum sostanziale, il quale va identificato non solo e non tanto in funzione della concreta pronuncia che si chiede al giudice, ma anche e soprattutto in funzione della causa petendi, ossia della intrinseca natura della posizione dedotta in giudizio ed individuata dal giudice con riguardo ai fatti allegati al rapporto giuridico del quale detti fatti costituiscono manifestazione[2].

Inoltre, si rileva che costituiscono principi di diritto assolutamente consolidati nella giurisprudenza delle Sezioni Unite che:

  • nel settore dell’attività negoziale della P.A. tutte le controversie che attengono alla fase preliminare – antecedente e prodromica al contratto – inerente alla formazione della sua volontà ed alla scelta del contraente privato in base alle regole c.d. dell’evidenza pubblica, appartengono al giudice amministrativo; mentre quelle che radicano le loro ragioni nella serie negoziale successiva che va dalla stipulazione del contratto fino alle vicende del suo adempimento, e riguarda la disciplina dei rapporti che dal contratto scaturiscono, sono devolute al giudice ordinario;
  • conseguentemente appartengono al giudice ordinario le controversie concernenti l’interpretazione dei diritti e degli obblighi derivanti dal contratto, nonché quelle rivolte ad accertarne le condizioni di validità e di efficacia e ad ottenerne la declaratoria di nullità o inefficacia, ovvero l’annullamento, posto che anche esse hanno ad oggetto non già i provvedimenti riguardanti la scelta dell’altro contraente, ma il rapporto privatistico discendente dal negozio, e che gli eventuali vizi di questo devono essere esaminati esclusivamente dal giudice ordinario competente a conoscerne l’intera disciplina[3];
  • nell’ambito delle patologie ed inefficacie negoziali, rientrano non soltanto quelle inerenti alla struttura del contratto, siano esse estranee e/o alla stessa sopravvenute, ma anche quelle derivanti da irregolarità-illegittimità della procedura amministrativa a monte, perciò comprendenti anche le fattispecie di radicale mancanza del procedimento di evidenza pubblica (o di vizi che ne affliggono singoli atti): perciò accertabile incidentalmente da parte di detto giudice, al quale le parti possono rivolgersi senza necessità del previo annullamento “in parte qua” ad opera del giudice amministrativo[4].

In generale, quindi, una volta terminata la procedura di individuazione del contraente, e l’esercizio di poteri autoritativi pubblici, l’esecuzione della fase successiva all’aggiudicazione rientra nella competenza del giudice ordinario, salvo i casi di giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo.

Nel caso di specie, è avvenuta l’aggiudicazione definitiva impugnata dal secondo classificato ma rigettata – in via definitiva – dal Consiglio di Stato, con la conferma della piena legittimità della aggiudicazione stessa, e rigetto anche della domanda di declaratoria di inefficacia del contratto di appalto nelle more stipulato: con l’inevitabile consolidamento del rapporto negoziale avvenuto con la sottoscrizione delle parti contraenti (a seguito dell’avvenuta aggiudicazione).

Seguiva ulteriore impugnazione al giudice amministrativo per la dichiarazione di nullità del contratto stipulato per violazione della procedura di individuazione del contraente, donde veniva eccepito preliminarmente il difetto di giurisdizione del giudice amministrativo in luogo di quello ordinario, con apposito ricorso per regolamento preventivo di giurisdizione[5].

Pare giusto rammentare che le Sezioni Unite della Corte di cassazione, quando sono chiamate ad occuparsi di questioni di giurisdizione, sono giudice anche del fatto ed hanno perciò il potere di procedere direttamente all’apprezzamento delle risultanze istruttorie, con una valutazione che è del tutto autonoma da quella del giudice di merito[6].

Da queste premesse fattuali, le sez. Unite si allineano al consolidato orientamento per il quale rientrano nella giurisdizione del giudice ordinario le controversie che radicano le loro ragioni nella serie negoziale successiva alla stipulazione del contratto.

La stipulazione del contratto costituisce, pertanto, il momento del sorgere del vincolo negoziale[7], non potendosi attribuire al provvedimento di aggiudicazione definitiva il valore di conclusione del contratto medesimo, sicché deve ritenersi che il contratto di appalto, una volta concluso con la forma scritta (digitale), perfeziona l’incontro del consenso delle parti nell’ambito di un contesto documentale scritto recante gli elementi essenziali del regolamento contrattuale (e che pertanto la controversia rientri nella giurisdizione dell’A.G.O.)[8].

Si comprende che la volontà decidente si manifesta attraverso la forma scritta ad substantiam (principio “formalistico” dell’atto scritto) che costituisce un elemento essenziale del negozio il quale non è valido se non è espresso in quella determinata forma voluta dalla legge, quando invece, è richiesta la forma ad probationem, la sua mancanza importa solo una limitazione sul terreno della prova, nel senso che non è ammissibile la prova per testimoni, qualunque sia il valore del contratto (tranne per perdita incolpevole del documento) né quella per presunzione, mentre sono ammissibili altre prove, come giuramento e la confessione.

La forma scritta manifesta, nella sua pienezza documentale, l’azione amministrativa consentendo di verificare l’operato decisionale (il percorso argomentativo, ex articolo 3 della Legge 241 del 1990), dando stabilità e certezza alle proprie determinazioni non potendo dare un qualche significato a quelle condotte che non esplicitano in un contenuto documentale scritto, e di riflesso costituiscono lo spartiacque tra la fase prettamente pubblicistica e quella di natura privatistica dei diritti e degli obblighi reciproci, segnati nel contratto.

Il contratto instaura il rapporto obbligatorio, in assenza del quale, ai fini d’una valida conclusione del contratto rimane del tutto irrilevante l’esistenza di una deliberazione o determinazione amministrativa con la quale l’organo collegiale dell’ente o il dirigente abbia deliberato in ordine alla stipulazione del contratto in quanto detti documenti non costituiscono una proposta contrattuale, ma atti con efficacia interna (di natura preparatoria), che hanno solo natura autorizzatoria e quale unico destinatario il diverso organo legittimato a esprimere la volontà all’esterno.

Al di fuori delle ipotesi tassativamente individuate dalla norma, i contratti con la P.A. escludono che la manifestazione di volontà delle parti possa essere implicita o desumibile da comportamenti meramente attuativi[9], ma deve rimarcarsi che, salvo le ipotesi in cui specifiche norme lo consentano, il contratto deve essere consacrato in un unico e diretto documento nel quale siano specificamente indicate le clausole disciplinanti il rapporto: la volontà della P.A. di concludere il negozio deve essere manifestata alla controparte dall’organo rappresentativo esterno dell’ente che è il solo abilitato a stipulare in nome e per conto di questo, e ad essere perciò munito dei poteri necessari per vincolare l’Amministrazione per la quale si obbliga, altrimenti determinandosi la nullità del contratto (ex art. 1418 c.c., comma 2, e art. 1325 c.c., n. 1)[10].

Una volta che le parti rassegnano le proprie obbligazioni all’interno del contratto, si apre una fase successiva a quella pubblicistica e i rapporti trovano consistenza nel contenuto negoziale secondo le regole predeterminate negli atti di gara, esprimendo i propri diritti in una condizione di parità con evidente attrazione nella giurisdizione civile.

In questo ambito applicativo, sono disciplinate non solo le obbligazioni che attengono al loro adempimento e, quindi, riferite all’interpretazione dei diritti e degli obblighi delle parti, ma anche tutte le questioni volte ad accertare le condizioni di validità, efficacia, nullità o annullabilità del contratto, siano esse inerenti o estranee o sopravvenute alla struttura del contratto, comprese quelle derivanti da irregolarità o illegittimità della procedura amministrativa a monte e le fattispecie di radicale mancanza del procedimento dell’evidenza pubblica o sussistenza di vizi che ne affliggono singoli atti, accertabili incidentalmente da detto giudice, al quale le parti possono rivolgersi senza necessità del previo annullamento da parte del giudice amministrativo[11].

A sostegno di tale orientamento, sovvengono le indicazioni del Giudice delle leggi[12] secondo cui l’affidamento al giudice amministrativo di ambiti di “intreccio” tra diritti ed interessi (esclusa, quindi, l’ipotesi in cui si sia in presenza di sole situazioni di diritto soggettivo) deve avvenire per «materie» che devono essere «particolari» rispetto a quelle devolute alla giurisdizione generale di legittimità, nel senso che devono partecipare della loro medesima natura, che è contrassegnata dalla circostanza che la Pubblica Amministrazione agisce come autorità nei confronti della quale è accordata tutela al cittadino davanti al giudice amministrativo.

In termini diversi, ove manca un esercizio di un potere pubblico la giurisdizione rientra nella competenza del giudice ordinario, dovendo affermare che la pretesa fatta valere davanti al giudice amministrativo che non attenga alla «fase del procedimento ad evidenza pubblica in ordine alla scelta del contraente» che si conclude con il provvedimento di aggiudicazione definitiva, bensì alla dedotta invalidità del contratto di appalto stipulato a seguito di detta aggiudicazione, ed al conseguente diritto della parte attrice (classificatasi al secondo posto nell’espletamento della gara) al subentro nel contratto stesso, rientra nella giurisdizione dell’A.G.O.

Quando giunge in rilievo, pur prescindendo dal mero criterio cronologico, non l’esercizio di un potere autoritativo che si manifesti attraverso atti di natura provvedimentale a fronte dei quali la posizione soggettiva del privato si atteggia ad interesse legittimo, ma la mera verifica, a carattere vincolato e su basi di parità, del diritto soggettivo dell’attore al subentro nel contratto di appalto che assume invalidamente stipulato in favore della controparte la controversia non può appartenere al G.A.

Tali principi generali trovano piena conferma anche sotto il mero profilo letterale della norma nel puntuale riscontro nel disposto dell’art. 133 comma 1, lettera e), punto 1), c.p.a., che estende la giurisdizione esclusiva alla dichiarazione di inefficacia del contratto stipulato solo nel caso in cui questa sia conseguenza dell’annullamento del provvedimento di aggiudicazione (che non è avvenuto), in ciò esaurendosi la scelta del legislatore – non estensibile analogicamente senza violare il disposto dell’art. 103 Cost. come interpretato dal giudice delle leggi – dell’ambito nel quale si verifica un “intreccio” tra diritti ed interessi idoneo a giustificare l’attribuzione della controversia al giudice amministrativo.

A margine, va annotato che la Corte costituzionale[13] ha definito i confini della giurisdizione amministrativa esclusiva, esigendo: a) che vi siano coinvolte situazioni giuridiche di diritto soggettivo e/o d’interesse legittimo strettamente connesse; b) che il legislatore assegni al giudice amministrativo la cognizione non di blocchi di materie, ma di materie determinate; c) che l’Amministrazione agisca, in tali ambiti predefiniti, come autorità, cioè attraverso la spendita di poteri amministrativi, che possono essere esercitati sia mediante atti unilaterali e autoritativi, sia mediante moduli consensuali, sia mediante comportamenti, purché questi ultimi siano posti in essere nell’esercizio di un potere pubblico e non consistano, invece, in meri comportamenti materiali avulsi da tale esercizio.

Inoltre, il riferimento ai comportamenti della Pubblica Amministrazione deve essere inteso, secondo la Corte delle leggi, nel senso che rilevano, ai fini del riparto della giurisdizione, i comportamenti costituenti espressione di un potere amministrativo e non anche quelli materiali posti in essere dall’Amministrazione al di fuori dell’esercizio di un’attività autoritativa[14].

[1] Distinta è la giurisdizione della Corte dei Conti, a cui appartiene – tendenzialmente in via generale – la materia di contabilità pubblica (ancorché secondo ambiti la cui concreta determinazione è rimessa alla discrezionalità del legislatore), riguardante ogni controversia inerente alla gestione di denaro di spettanza dello Stato o di enti pubblici da parte di un agente contabile, Cass. Civ., sez. Unite, 16 novembre 2016, n. 23302 e 24 dicembre 2018, n. 33362.

[2] Cass. Civ., sez. Unite, ordinanza 26 luglio 2019, n. 20403 e 31 luglio 2018, n. 20350.

[3] Cons. Stato, sez. VI, sentenze nn. 4956/2007 e 7215/2006.

[4] Cass. Civ., sez. Unite, ordinanza 5 aprile 2012, n. 5446. Vedi, anche, sul riparto Cass. Civ., sez. Unite, ordinanza 5 ottobre 2018, n. 24411. Cfr. art. 133, comma 1, lettera e), n. 1 del D.Lgs. 2 luglio 2010, n. 104.

[5] Alla stregua della disciplina dettata dall’art. 41 cod. proc. civ., il regolamento di giurisdizione si configura non già come mezzo d’impugnazione, ma come strumento volto a provocare, indipendentemente da un conflitto in atto tra più giudici, una pronuncia sulla giurisdizione prima che la causa sia decisa nel merito, e ciò al fine di evitare lo svolgimento di un’attività giurisdizionale destinata a rivelarsi inutile nel caso in cui successivamente venga dichiarato il difetto di giurisdizione, Corte Cass., sez. Unite, ordinanza 10 gennaio 2019, n. 489.

[6] Cass. Civ., sez. Unite, 7 novembre 2017, n. 26339.

[7] La forma scritta dei negozi giuridici stipulati nei confronti della P.A. richiede la forma ad substantiam, requisito essenziale in mancanza del quale i contratti sono affetti da nullità, Cass. Civ., sez. III, Ord. 21 giugno 2018, n. 16307.

[8] Cons. Stato, sez. V, 25 novembre 2015, n. 5356.

[9] Deve escludersi che si possa ipotizzare la possibilità di una conclusione tacita per facta concludentia, posto che altrimenti si perverrebbe all’effetto di eludere il requisito della forma scritta, Cons. Stato, sez. VI, 3 giugno 2010, n. 3507.

[10] Il requisito di forma scritta è richiesto non soltanto per la conclusione del contratto, ma anche per le eventuali modificazioni successive, Cass. Civ., sez. II, 22 marzo 2019, n. 8244.

[11] Cfr. Cass. Civ., sez. Unite, sentenze nn. 20347/2018; 23468/20116; 5446/2012 e 27169/2007.

[12] Corte Cost., sentenza n. 204 del 5 – 6 luglio 2004.

[13] Corte Cost., sentenza n. 35 del 2010 e ordinanza n. 167 del 2011.

[14] Cass. Civ., sez. Unite, 26 settembre 2017, n. 22357.