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Articolo Pubblicato il 28 Dicembre, 2022

Danno erariale per l’appropriazione indebita di somme del bilancio

Danno erariale per l’appropriazione indebita di somme del bilancio

La sez. giur. Veneto della Corte dei Conti, con la sentenza n. 341 del 19 dicembre 2022 (relatore Consigliere Massa), interviene per condannare un economo e responsabile dell’ufficio finanziario di un Ente locale per l’indebita appropriazione di somme prelevate dal bilancio comunale (autoliquidazione di compensi aggiuntivi allo stipendio, operazioni di cassa ed economali) nell’arco di alcuni anni (sino alla data del suo trasferimento presso altra PA): un accertamento della responsabilità erariale, una palmare infedeltà (in violazione degli artt. 97 e 98 Cost.).

Fatti

I fatti sono emersi a seguito di verifiche contabili in chiusura di esercizio e dell’avvio di un procedimento penale per ipotesi di peculato (ex art. 314 c.p., ossia sottrazione di denaro pubblico), con misura cautelare e sequestro preventivo del profitto del reato (seguiva condanna alla pena di anni quattro e mesi quattro di reclusione, oltre al pagamento delle spese processuali, interdizione in perpetuo dai pubblici uffici ed incapacità di contrattare con la PA, salvo che per ottenere le prestazioni di un pubblico servizio, e confisca dei beni).

La condotta posta in essere (nell’area a rischio “gestione delle entrate, spese e patrimonio” del PNA 2015) consisteva in operazioni economali con appropriazione/sottrazione personale di denaro incassato o in gestione delle spese minute, illecita emissione di buoni economali in uscita, “in bianco”, illecita emissione di economali in uscita con “pezze giustificative” (bollettini postali) inesistenti/scadute, illecita emissione di economali di spesa per indebiti acquisti di carburante e per spese di manutenzione dei mezzi comunali, altre spese prive di idonea documentazione giustificativa, illecita emissione di economali di spesa con modifica degli importi, illecita emissione di economali riferiti ad acquisti presso un negozio di ferramenta, illecita emissione di economali riferiti al pagamento di tasse automobilistiche e quote associative, illecita emissione di economali per acquisto voucher (un’evidente contrapposizione di ruoli che viene ingiustificatamente ad immedesimarsi tra controllore e controllato).

Il convenuto, tardivamente costituito, riferiva che nell’atto di citazione, depositato dalla Procura Regionale, era stato indicato un importo di € 134.940,00 (in luogo dell’importo della provvisionale di € 124.798,17 disposta con sentenza penale a favore del Comune costituitosi parte civile), sottolineando che «il danno perseguito nelle due sedi giudiziali (penale e contabile) derivava dai medesimi fatti materiali, concerneva i medesimi soggetti dal lato attivo e dal lato passivo, e che, conseguentemente, nel caso di specie, trovava applicazione il fondamentale principio del ne bis in idem. Diversamente si sarebbe potuta verificare una duplicazione di giudicati».

La Procura erariale (Sostituto Procuratore Generale Spagnuolo Massimiliano) rilevava che la costituzione in giudizio non ha impedito di verificarsi tutte le decadenze previste dal Codice contabile, negando una possibile sopravvenuta carenza di interesse, atteso che il giudizio contabile gode di autonomia rispetto al giudizio penale «il quale potrà esplicare i suoi effetti solo in sede esecutiva laddove il convenuto, attraverso l’effettivo pagamento del dovuto, abbaia estinto integralmente l’obbligazione risarcitoria contabile».

È noto che il danno erariale fatto valere innanzi alla Corte dei conti, anche dopo una sentenza penale di assoluzione per intervenuta prescrizione del reato, ha escluso la violazione del ne bis in idem in quanto la “sanzione” comminata dal Giudice contabile per responsabilità erariale non ha natura “penale” bensì risarcitoria[1].

Di converso, per definire la natura sostanzialmente penale di una sanzione occorre avere riguardo, alternativamente, alla natura dell’infrazione secondo il diritto interno, oppure alla natura della sanzione desunta dallo scopo (punitivo, deterrente, riparatorio, di prevenzione, ecc.) o, ancora, alla gravità, in astratto, della sanzione[2], atteso che il giudizio di responsabilità davanti alla Corte dei conti è indubitabilmente finalizzato alla reintegrazione del danno subìto dall’Amministrazione, ne consegue che per esso non si pone la problematica del ne bis in idem rispetto al giudizio penale[3]: la reciproca autonomia tra la sfera della giurisdizione contabile e quella penale (e, in generale, di ogni altro plesso giurisdizionale) giace sul presupposto che, per quanto i procedimenti possano essere accomunati da situazioni fattuali anche totalmente coincidenti, sono comunque diversi i beni della vita che si possono far valere e di cui se ne chiede tutela nell’una piuttosto che nell’altra giurisdizione[4].

Si ricava la piena concomitanza di più procedimenti innanzi a giudici diversi, stante l’autonomia, la differenza ontologica e quella effettuale che caratterizzano le diverse azioni: la giurisdizione della Corte dei conti non è preclusa né dal contemporaneo svolgimento di paralleli procedimenti, né dal fatto che sui medesimi fatti sia già intervenuta altra pronuncia.

Donde – nel merito – la Procura, in relazione alle condotte assunte dal convenuto, protagonista in una serie di operazioni volte all’appropriazione indebita di somme prelevate dal bilancio comunale, conferma la richiesta di danno patrimoniale contestato e quantificato.

Il pronunciamento

Il Giudice contabile condanna “il dipendente pubblico infedele” nella misura richiesta dalla Procura erariale a favore del Comune (con rivalutazione e interessi) con le seguenti determinazioni:

SOTTO IL PROFILO DEL NE BIS IN IDEM

Viene rigettata, in quanto inammissibile, l’eccezione (peraltro, tardiva) di non luogo a procedere in relazione al giudizio penale, rilevando che per rendere tecnicamente pregiudiziale la decisione civile dalla definizione del giudizio penale, non basta che nei due processi rilevino gli stessi fatti, ma occorre che l’effetto giuridico dedotto nel processo civile sia collegato normativamente alla commissione del reato che è oggetto di imputazione nel giudizio penale[5].

In termini più lineari e comprensivi, i medesimi fatti del giudizio penale assumono un profilo diverso in sede di procedimento per l’accertamento della responsabilità amministrativa, che giustificano l’autonomia del procedimento e la compatibilità del suo esito con quello del giudizio penale (che nel caso di specie era già stato celebrato).

Vi è autonomia dei due giudizi[6], né si può ritenere il giudizio contabile in un rapporto di dipendenza con quello penale in presenza degli stessi elementi di prova, visto che il requirente contabile forma le proprie richieste su valutazione diverse in ordine alle condotte contestate al convenuto, laddove le stesse presentano «contenuti propri, disancorati dalla qualificazione penale dei fatti»: piena indipendenza del giudizio contabile rispetto a quello penale, nonché a quello civile[7].

In questo senso, la specialità della responsabilità amministrativa, soprattutto nelle fattispecie normative c.d. sanzionatorie, si manifesta nella compresenza della funzione risarcitoria con la funzione sanzionatoria, che esclude la possibilità di sovrapporre gli ambiti soggettivi e oggettivi del diverso giudizio civile o penale: nel rispetto del principio del ne bis in idem, uno Stato ben può imporre una doppia sanzione (amministrativa e penale) per gli stessi fatti purché le misure punitive abbiano diversa natura e diversi fini[8].

SOTTO IL PROFILO DELLE NORME VIOLATE

Dal quadro probatorio fornito dall’inquirente, annota il Collegio giudicante, emerge in modo palese la violazione ai doveri di servizio da parte del dipendente pubblico (quell’essenza di etica pubblica che persegue l’interesse generale/collettivo rispetto a quello contrapposto privato/personale, c.d. secondario), il quale ha assunto in modo consapevole una serie di condotte volte a manipolare e contraffare la documentazione contabile di entrate e spese di sua gestione, allo scopo di impossessarsi di denaro pubblico, in opposizione e pregiudizio con un catalogo di norme giuridiche costituzionali, primarie e secondarie che «sono state pretermesse e disattese con coscienza e volontà, con assoluta, consapevole, persistente intenzionalità».

Le disposizioni violate:

  • gli artt. 4, II comma, 28, 54, II comma, 97 e art. 98 della Costituzione;
  • le norme del DPR n. 62/2013, Codice di comportamento dei dipendenti delle Pubbliche Amministrazioni”, dove al comma 1, dell’art. 3 scolpisce le attitudini (il c.d. valore pubblico) del dipendente che «osserva la Costituzione, servendo la Nazione con disciplina ed onore e conformando la propria condotta ai principi di buon andamento e imparzialità dell’azione amministrativa. Il dipendente svolge i propri compiti nel rispetto della legge, perseguendo l’interesse pubblico senza abusare della posizione o dei poteri di cui è titolare», nonché norme penali;
  • gli artt. 178 e 194 del R.D. 23 maggio 1924, n. 827, Regolamento per l’amministrazione del patrimonio e per la contabilità generale dello Stato, nonché l’art. 93, Responsabilità patrimoniale, del d.lgs. 18 agosto 2000, n. 267 (TUEL) in tema di responsabilità di colui che è incaricato del maneggio di denaro pubblico.

L’INVERSIONE DELL’ONERE DELLA PROVA

Dal quadro fattuale (e dai gravissimi illeciti penali), la contestazione attiene ad una responsabilità di natura strettamente contabile, con una inversione dell’onere della prova in capo al convenuto (agente contabile) circa l’esistenza degli addebiti e la quantificazione del danno.

Il rilievo comporta che per andare esente da responsabilità è necessario dimostrare – per le somme riscosse e non versate – che le mancanze o la diminuzione del denaro siano avvenuti per causa di forza maggiore o per fatti ad esso non imputabili: l’agente contabile va esente da responsabilità solo se prova che l’ammanco è dipeso da causa a lui non riconducibile: aspetto del tutto lapidariamente assente al caso trattato non avendo adempiuto in modo corretto ai propri doveri e neppure potrebbe argomentarsi che gli eventi si sono verificati nonostante avesse mantenuto una condotta diligente nell’esecuzione dei propri obblighi.

In breve, la prova dell’ammanco rappresenta dimostrazione sia dell’inadempimento agli obblighi di servizio e sia del danno cagionato all’erario, a meno che non sussistano idonee giustificazioni in relazione a cause specifiche che abbiano determinato la perdita del danaro pubblico[9]: «giustificazioni che nella presente fattispecie non sono state minimamente dedotte né tantomeno provate», quanto piuttosto è stato «pienamente provata la sussistenza di un nesso causale fra la dolosa condotta del contabile e il verificarsi del danno, quale diretta conseguenza dell’attività contestata dalla Procura, posta in essere in violazione dell’art. 194 del R.D. n. 827/1924».

Sulla scorta di tali insegnamenti, l’economo, in quanto agente contabile assoggettato alla responsabilità connessa al maneggio di denaro pubblico, era tenuto, prima di procedere al pagamento delle spese, a verificare, sotto la sua personale responsabilità, l’ammissibilità delle stesse, riscontrando la loro conformità alle previsioni di legge e regolamentari, sicché è personalmente responsabile delle somme ricevute a tale titolo e dovendo dimostrare, mediante il conto giudiziale, la regolarità dei pagamenti eseguiti in stretta correlazione con le finalità per le quali sono state disposte le anticipazioni stesse[10]: circostanze del tutto inesistenti.

CONDOTTE ILLECITE (ELEMENTO SOGGETTIVO)

Nella lettura della sentenza emerge senza esitazione la consapevolezza di una articolata serie di illeciti posti in essere da parte del convenuto, il quale (anche in violazione delle norme contrattuali e dell’obbligo di astensione) si:

  • «è arbitrariamente autoliquidato… in assenza di qualsivoglia prestazione e/o giustificazione, somme per compensi e differenze stipendiali non dovuti (specifici mandati in luogo degli ordinari “cedolini” stipendiali)»;
  • appropriato della gestione economale, al di fuori di ogni regola di sana gestione e prudente contabile, «concepita e attuata mediante artifici contabili e meccanismi fraudolenti che rendevano particolarmente complicato il disvelamento dell’illecito»[11];
  • assunto sia la funzione di economo/agente della riscossione che quella di responsabile del Servizio Finanziario, istituzionalmente preposto alle verifiche di cassa sulla gestione dell’economo/agente della riscossione, nonché a parificarne i rendiconti con le scritture contabili dell’Ente, con una grave ferita amministrativa dovuta al conflitto di interessi permanente: «l’intestazione, in capo alla medesima persona, delle due funzioni di controllore e di controllato non solo ha determinato una violazione del principio di “alterità”, ma ha impedito lo svolgersi di regolari ed efficaci procedure di controllo e quindi di rendere immediatamente intellegibile il meccanismo truffaldino posto in essere dal dipendente infedele»[12].

Il panorama delle violazioni si presenta talmente consolidato nell’illecito tale da dimostrare senza riserva la lesione del pubblico erario (viene accertata la condotta contra ius) con piena «consapevolezza di sottrarre denaro dal bilancio comunale e di distrarlo dai fini istituzionali a soddisfacimento dei propri», configurandosi la condotta dolosa «in quanto volta anche ad occultare gli illeciti perpetrati approfittando del doppio incarico rivestito… ciò spiega perché gli atti e i comportamenti sono stati compiutamente disvelati solamente a seguito delle verifiche compiute dal Segretario comunale, compendiate nella denuncia inoltrata alla Procura contabile»[13].

L’ELEMENTO OGGETTIVO

L’elemento oggettivo traspare in tutta la sua dimensione e responsabilità, contestato puntualmente dalla Procura regionale e quantificato nell’ammontare il danno: un pregiudizio erariale connesso a distinte fattispecie di danno, determinato in complessivi € 134.940,00, sussistendo tutti gli elementi per configurare – a carico del convenuto – la responsabilità contabile.

In sede esecutiva, viene precisato, si terrà conto degli eventuali versamenti di somme effettuate dal convenuto in favore del Comune riferibili alla fattispecie di danno di cui è causa, con scomputo dal totale della somma dovuta a titolo di risarcimento.

Osservazioni minime

La sentenza non offre spazio ad alcun commento.

Forse (may be) con l’adozione di stringenti controlli di regolarità amministrativa, di misure di prevenzione della corruzione e della trasparenza (nella dimensione della c.d. maladministration), di verifiche periodiche di contabilità (ex artt. 223, 224, 239, del d.lgs. n. 267/2000), della rotazione degli incarichi, della separazione tra controllore e controllato, si sarebbe potuto aiutare l’emersione dei gravi fatti appresi nella disamina del pronunciamento erariale, anticipando il dramma: la perdita dell’etica pubblica.

Si tratterebbe (solo) di quell’esercizio della funzione con «disciplina ed onore» che dovrebbe essere patrimonio e humus valoriale di chi amministra i beni pubblici, non solo a livello comunale e gli esempi stranieri non mancano (la “rete” dell’Italian Job non aiuta).

(pubblicato, lentepubblica.it, 28 dicembre 2022)

[1] Corte EDU, sentenza “Rigolio contro Italia” del 13 maggio 2014.

[2] La Corte Europea ha escluso la violazione della Convenzione nell’ipotesi in cui, a seguito della conclusione di un processo penale o in concomitanza con lo stesso, per gli stessi fatti, venga avviato un giudizio di responsabilità amministrativa innanzi alla Corte dei conti, distinguendo la natura risarcitoria e sui generis di quest’ultima, rispetto alla responsabilità penale, esclusivamente punitiva, sentenza 4 marzo 2014 — ricorso 18640/10 Grande Stevens.

[3] Corte EDU, sentenza “Engel e altri contro Paesi Bassi” dell’8 giugno 1976.

[4] Cfr. Corte conti, sez. I App., sentenza n. 80/2015 e n. 22/2021; sez. II App., sentenza n. 670/2018; sez. III App., sentenza n. 547/2017, a sua volta fondata sul costante orientamento espresso Cass. civ, SS.UU., sentenze n. 8927/2014 e n. 14632/2015.

[5] Cass. civ., sez. VI -III, ordinanza 19 dicembre 2019 – 18 maggio 2020, n. 9066; sez. VI – II, 4 aprile 2016, n. 6510. Non sussiste violazione del principio del ne bis in idem tra il giudizio civile introdotta dalla PA, avente ad oggetto l’accertamento del danno derivante dalla lesione di un suo diritto soggettivo conseguente alla violazione di un’obbligazione civile, contrattuale o legale, o della clausola generale di danno aquiliano, da parte di soggetto investito di rapporto di servizio con essa, ed il giudizio promosso per i medesimi fatti innanzi alla Corte dei Conti dal Procuratore contabile, nell’esercizio dell’azione obbligatoria che gli compete. Ed invero, la prima causa finalizzata al pieno ristoro del danno, con funzione riparatoria e integralmente compensativa, a protezione dell’interesse particolare della singola Amministrazione attrice, mentre, l’altra, invece, è volta alla tutela dell’interesse pubblico generale, al buon andamento della PA e al corretto impiego delle risorse, con funzione essenzialmente o prevalentemente sanzionatoria, Cass. civ., SS.UU., 8 luglio 2020, n. 14230.

[6] Vi è la reciproca autonomia e indipendenza tra giurisdizione civile e penale, da un lato, e giurisdizione contabile, Cass. civ., SS.UU, sentenza n. 8927/2014, come già sostenuto dalla Corte costituzionale con la sentenza 13 luglio 2007, n. 272.

[7] Corte conti, sez. riunite giur., ordinanza 3 gennaio 2017, n. 1, ove richiama l’art. 295, Sospensione necessaria, c.p.c. quale unica eccezione qualora si configuri un rapporto di pregiudizialità logico-giuridica «tra la definizione di una controversia in sede penale e l’affermazione della responsabilità in sede erariale». La giurisdizione penale e la giurisdizione civile per risarcimento dei danni – da un lato – e la giurisdizione contabile – dall’altro – sono reciprocamente indipendenti nei profili istituzionali anche quando investono un medesimo fatto materiale, per cui, la pendenza dei giudizi, non produce una violazione del principio del ne bis in idem, e neppure preclude la proponibilità della domanda (salvo che il credito risarcitorio sia già stato integralmente soddisfatto), Cass. civ., sez. III, 14 luglio 2015, n. 14632.

[8] Corte conti, sez. I Centrale d’Appello, 10 luglio 2018, n. 291, idem Corte conti, sez. III, 21 novembre 2017, n. 547.

[9] Corte conti, sez. II App., 15 maggio 2020, n. 126.

[10] Corte conti, sez. giur. Calabria, 20 ottobre 2020, n. 371.

[11] Si ritiene sussistere un doloso occultamento, rilevante nei confronti del creditore, solo laddove si sia in presenza di una condotta fraudolenta, da parte del debitore, e che sia stata tale da comportare, per l’altra parte, una vera e propria impossibilità di agire, non una mera difficoltà di accertamento del credito, Cass. civ., sentenze nn. 26355/2005, 1222/2004, 10592/1998 e 5682/1985.

[12] Cfr. Corte conti, sez. giur. Umbria, sentenza n. 50/2016; sez. giur. Toscana, sentenza n. 284/2013; sez. giur. Liguria, nn. 140/2014 e 38/2016.

[13] La conoscibilità obiettiva del danno presuppone, dunque, che il danno si sia verificato e, in secondo luogo, che sia conoscibile secondo ordinari criteri di diligenza, Corte conti, sez. giur. Toscana, 25 ottobre 2022, n. 344.