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Articolo Pubblicato il 21 Agosto, 2023

Demanio stradale ed uso pubblico: i poteri della PA

Demanio stradale ed uso pubblico: i poteri della PA

La sez. Unica del TAR Valle D’Aosta, con la sentenza 8 agosto 2023 n. 37, definisce la distinzione tra strada pubblica e privata, il diritto d’uso e la cognizione incidentale in materia di servitù pubblica del GA, aspetto rilevante per comprendere i poteri della PA sul patrimonio, sia pubblico che privato, specie quando quest’ultimo è gravato da un’“utilità” di passaggio collettivo (di persone per soddisfare un interesse generale), idonea a far perdere il dominio del privato sul bene proprio[1].

Il privato, comunque, non può subire – in via unilaterale – dalla PA l’imposizione di una servitù pubblica, ovvero la realizzazione di un intervento (opera pubblica), senza un necessario, quanto doveroso, contraddittorio, a nulla rilevando da una parte, l’inserimento del bene (rectius strada) nell’elenco delle vie pubbliche, dall’altra, l’utilità pubblica a giustificazione dell’imposizione di un diritto reale (o intervento) senza una procedura espropriativa.

L’uso pubblico

In effetti, può succedere che il privato si veda imporre un limite alla disponibilità del bene, specie quando si tratta di una strada privata che ha perso il suo carattere alieno per assumere una funzione di uso pubblico (strada vicinale)[2], dove l’Amministrazione può realizzare marciapiedi o illuminazione pubblica[3], ovvero altri interventi (ad es. sottoservizi) strumentali a consentire la fruizione ad un numero indistinto di cittadini, privando al privato la sua disponibilità, donde la servitù d’uso pubblico: ossia la capacità di soddisfare le esigenze di una collettività di persone qualificate dall’appartenenza ad una comunità territoriale.

Tuttavia, questa facoltà di intervenire su beni privati (terreni, caso di specie) esige il rispetto della forma che nel diritto trova la fonte nelle norme (il procedimento espropriativo, ad esempio) e non in un mero comportamento: il titolo giuridico si acquista nei modi prescritti dalla legge (per contratto o dal giudice) e non da un atto unilaterale della PA.

È noto, in prima osservazione, che l’iscrizione di una strada nell’elenco delle vie pubbliche o gravate da uso pubblico riveste funzione puramente dichiarativa della pretesa del Comune di agire sul bene (iscrizione costituente presunzione iuris tantum, superabile con la prova contraria), ponendo una semplice presunzione di pubblicità dell’uso, superabile con la prova contraria della natura della strada e dell’inesistenza di un diritto di godimento da parte della collettività mediante un’azione negatoria di servitù[4].

Ne consegue che questo non sia sufficiente per l’esercizio del potere pubblico, essendo superabile tale iscrizione con la prova contraria della sua natura privata e dell’inesistenza di un diritto di godimento da parte della collettività.

Ciò posto, per l’attribuzione del carattere di demanialità comunale ad una via privata è necessario che con la destinazione della strada all’uso pubblico concorra l’intervenuto acquisto, da parte dell’Ente locale, della proprietà del suolo relativo per effetto:

  • di un contratto, in conseguenza di un procedimento d’esproprio;
  • di usucapione;
  • (fatto) nell’adibizione ad uso pubblico di un tratto viario che, per le sue caratteristiche, assuma una esplicita finalità di collegamento tra due luoghi (due intersezioni), essendo destinato al transito di un numero indifferenziato di persone (nei termini infra);
  • della dicatio ad patriam, ossia l’asservimento del bene da parte del proprietario all’uso pubblico di una comunità, di talché il bene stesso viene ad assumere le caratteristiche analoghe a quelle di un bene demaniale[5].

Sotto questo ultimo profilo, la dicatio ad patriam è ravvisabile ogni qualvolta il comportamento del proprietario, pur se non intenzionalmente diretto a dar vita al diritto di uso pubblico, ponga volontariamente, con carattere di continuità, un proprio bene a disposizione della collettività, assoggettandolo al correlativo uso, al fine di soddisfare un’esigenza comune ai membri di tale collettività uti cives – e non uti singuli, ossia quali soggetti che si trovano in una posizione qualificata rispetto al bene gravato[6] – indipendentemente dai motivi per i quali detto comportamento venga tenuto[7].

La dicatio ad patriam, come modo di costituzione di una servitù di uso pubblico, si perfeziona, quindi, già con l’inizio dell’uso pubblico quando sia verificato il comportamento del proprietario che denoti la volontà di mettere l’area di proprietà privata a disposizione della collettività indifferenziata, e questa sia utilizzata per il soddisfacimento di un interesse comune della collettività[8], consistendo, appunto, nella destinazione volontaria, definitiva e gratuita, della proprietà immobiliare al servizio della collettività, in assenza di riserve o reazioni[9].

In parole più semplici, la proprietà pubblica o l’uso pubblico deve avvenire con modalità valide non potendo l’Amministrazione di motu proprio dichiarane la titolarità (rectius l’appartenenza) con la semplice iscrizione della via negli elenchi delle strade comunali, giacché tale iscrizione non può pregiudicare le situazioni giuridiche attinenti alla proprietà del terreno e connesse con il regime giuridico della medesima[10], né la natura pubblica di una strada può essere desunta dalla prospettazione della mera previsione programmatica di tale destinazione (ad es. occupazione sine titulo), dall’espletamento su di essa, di fatto, del pubblico transito per un periodo infraventennale, o dall’intervento di atti di riconoscimento dell’Amministrazione medesima circa la funzione assolta da una determinata strada[11].

Invero, indispensabile, ai sensi dell’art. 824 c.c., che la strada risulti di proprietà di un Ente pubblico territoriale in base:

  • ad un atto (contratto di acquisto, accordo bonario, decreto di esproprio);
  • alternativamente di fatto, fra cui anche l’usucapione, idoneo a trasferire il dominio;
  • ovvero che su di essa sia stata costituita a favore dell’Ente una servitù di uso pubblico e che essa venga destinata, con una manifestazione di volontà espressa o tacita, all’uso pubblico.

In breve, la strada privata viene qualifica strada vicinale pubblica, quando avuto riguardo alle sue condizioni effettive, la concreta idoneità del bene a soddisfare esigenze di carattere generale, anche per il collegamento con la pubblica via, e un titolo valido a sorreggere l’affermazione del diritto di uso pubblico, che può anche identificarsi nella protrazione dell’uso da tempo immemorabile[12].

L’approdo porta a ritenere che affinché un’area privata possa ritenersi sottoposta ad una servitù pubblica, è necessario, oltre all’intrinseca idoneità del bene, che l’uso avvenga ad opera di una collettività indeterminata di persone e per soddisfare un pubblico, generale interesse e l’onere della prova in ordine alla limitazione del diritto dominicale, ex art. 2967 c.c., incombe in capo a chi ne afferma la sussistenza[13].

Ordunque, l’esistenza di un diritto di uso pubblico del bene non può sorgere per meri fatti concludenti, ma presuppone un titolo idoneo a detto scopo e la relativa prova non può discendere da semplici presunzioni o dal mero uso pubblico di fatto della strada, ma presuppone necessariamente un atto pubblico o privato[14].

Di converso, la sdemanializzazione di un bene pubblico – ed a fortiori la sottrazione di un bene patrimoniale indisponibile alla sua originaria destinazione – oltre che frutto di una esplicita determinazione (nel senso di un provvedimento espresso) può essere il portato di comportamenti univoci tenuti dall’Amministrazione proprietaria che si appalesano in modo concludente, incompatibili con la volontà di conservare la destinazione del bene all’uso pubblico (aspetti da dimostrare con apparato probatorio da parte di colui che ne rivendica l’uso), non certo con lo spoglio abusivo[15].

Il fatto

Il ricorso avviene contro una deliberazione comunale di costituzione di servitù di uso pubblico su tratto di strada privata, atto mai comunicato al ricorrente: il ricorrente, infatti, risulta proprietario di un terreno che rientra in un percorso per l’accesso ad un parcheggio, adiacente alla sua proprietà.

La difesa del Comune, evidenziava che, in una prima fase, in attesa dell’adozione di un accesso stradale pubblico, veniva costituito un vincolo di passaggio temporaneo di uso pubblico per dieci anni (atto registrato e trascritto) e, nella seconda fase, nell’imminenza della scadenza del contratto decennale, operava l’atto impugnato, per rendere permanente il passaggio: un vincolo reale sul terreno del privato.

Secondo l’uomo comune, una modalità suggestiva di passaggio da un contratto con prestazioni sinallagmatiche ad atto unilaterale coercitivo del “primo” diritto reale: quasi una confisca, un’appropriazione amministrativa senza il concorso del titolare del diritto.

Riportati gli elementi essenziali della questione, il ricorso intendeva evidenziare, quali vizi (si riportano i principali):

  • la mancata comunicazione di avvio del procedimento per la costituzione della servitù di passaggio;
  • il Comune avrebbe costituito la servitù – per “dicatio ad patriam” – sull’errato presupposto della disponibilità del bene da parte del privato di mettere il proprio bene a disposizione della collettività in via definitiva e in perpetuo;
  • difetto istruttorio (anche sotto il profilo procedimentale dell’assenza di pareri e dell’attività di deposito dei documenti per la seduta consiliare), carenza probatoria e motivazionale sulla volontà di acconsentire la servitù anche da parte di altri frontisti (travisamento dei fatti);
  • le manutenzioni effettuate della strada rientravano tra le obbligazioni del contratto decennale di temporaneo passaggio e non dunque un esercizio del potere sul bene.

Prime osservazioni di diritto

Il Tribunale inquadra le servitù rilevando che si costituiscono, ai sensi di quanto disposto dall’art. 1032 c.c.:

  • per contratto;
  • o, in mancanza di accordo tra le parti, per sentenza del giudice ordinario (competente sul diritto di proprietà), indispensabile anche per accertare l’eventuale acquisto per usucapione[16];
  • per atto amministrativo solo «nei casi specialmente determinati dalla legge» (parte finale del comma 1).

Richiamato il fondamento civilistico della costituzione delle servitù si analizza la costituzione, ai sensi dell’art. 855 c.c., in tema di dicatio ad patriam, ribadendo che non siamo in presenza di una norma speciale che preveda una costituzione di servitù per atto amministrativo, anzi è richiesto l’accertamento del giudice civile, trattandosi di costituzione diritto reale per esercizio di fatto e per tempo immemore, assimilabile lato sensu all’usucapione.

In ogni caso, là dove sia prevista da norma speciale la costituzione di servitù per atto amministrativo, essa presuppone sempre l’attivazione di una procedura ablatoria che implica il riconoscimento (obbligatorio e non facoltativo) in favore del privato di idonee garanzie procedimentali e partecipative (c.d. contradittorio del “giusto procedimento”), oltre che di un indennizzo, pena l’illegittimità del procedimento (in mancanza del consenso il peso reale risulta illegittimo)[17].

Merito

Dalle premesse, si acclara che la Pubblica Amministrazione non ha alcun potere di costituire servitù di uso pubblico “per atto amministrativo” al di fuori di previsioni tipiche di legge e per il tramite di una procedura ablatoria, che esige delle puntuali e progressive fasi procedimentali a natura fisiologicamente partecipativa, la cui omissione comporta una sicura sanzione di illegittimità.

La dicatio ad patriam non rientra tra siffatte previsioni, è invece pacifico che i Comuni, con mero effetto di invertire l’onere della prova circa l’esistenza o meno di una servitù di uso pubblico e senza alcuna valenza costitutiva, possono, al più, procedere all’iscrizione di una strada nell’elenco delle vie pubbliche o gravate di uso pubblico, che sempre può essere contrastata con una prova contraria.

Il principio di diritto consolidato sul punto annota che «l’inserimento di una strada nell’elenco delle vie pubbliche o gravate da uso pubblico riveste funzione puramente dichiarativa della pretesa del comune, ponendo una semplice presunzione di pubblicità dell’uso, superabile con la prova contraria della natura della strada e dell’inesistenza di un diritto di godimento da parte della collettività mediante un’azione negatoria di servitù»[18].

Giudizio civile e Giudizio amministrativo

Al di fuori della procedura ablatoria (c.d. esproprio), là dove un giudizio abbia ad oggetto in via principale l’esistenza o meno di una servitù, anche di uso pubblico la cognizione resta devoluta alla cognizione del giudice ordinario, incidendo direttamente sul diritto di proprietà.

Nell’eventuale giudizio civile tramite il quale l’Amministrazione proponga un’azione di accertamento di costituzione di servitù per dicatio ad patriam, ovvero il privato decida di tutelare la proprietà per il tramite di una azione negatoria servitutis, l’iscrizione delle vie nell’elenco delle vie pubbliche o gravate di uso pubblico produrrà i suoi effetti di inversione dell’onere della prova.

Di contro, il giudice amministrativo può “incidentalmente” conoscere dell’esistenza o meno di una servitù di uso pubblico nei soli limiti in cui tale accertamento sia finalizzato (anche in ipotesi valorizzando l’iscrizione della vie nell’apposito elenco) a giudicare della legittimità o meno di un atto amministrativo che con tale servitù potrebbe in tesi interferire: ad esempio, all’ordine di rimuovere ostacoli apposti su un passaggio gravato di passaggio pubblico[19], o, più in generale, alla contestazione di interventi edilizi in contrasto con l’esistenza di una prerogativa di passaggio pubblico[20].

Il pronunciamento

Alla luce delle coordinate esegetiche e del contenuto del provvedimento amministrativo, di riconoscimento della servitù con l’iscrizione nell’elenco delle vie gravate dall’uso pubblico (in termini più puntuali, di inesistenza del potere amministrativo di costituire servitù per dicatio ad patriam), il ricorso viene accolto con l’annullamento dell’atto e del suo presunto effetto unilaterale di tipo costitutivo (con condanna alle spese).

A margine, viene chiarito che il passaggio decennale (temporaneo) è frutto di un accordo; accordo che non può tramutarsi nella volontà non espressa da parte del privato di proseguire in perpetuo, abdicando il proprio diritto di proprietà: l’uso pubblico del passaggio costituisce un adempimento dell’accordo e trova, quindi, fondamento (e limite) nel presupposto titolo contrattuale, con l’effetto che il passaggio esercitato in forza di siffatto titolo è l’esatto opposto di una mera tolleranza di fatto e sine die di un uso pubblico.

Osservazioni minime

Appare evidente che qualora l’Amministrazione non sia titolare del bene, nei termini sopra descritti, non possa realizzare nelle proprietà private interventi (lavori pubblici, negli esempi già citati) senza autorizzazione (consenso) dell’interessato proprietario, viceversa potrà dichiarare la pubblica utilità dell’intervento che comporta l’esproprio del bene o, in via alternativa, l’accordo bonario (la c.d. cessione) o l’acquisto.

Allo stesso tempo, una volta accertata la servitù pubblica, l’Amministrazione può intervenire ed inibire il privato che ostacoli l’uso pubblico, nel senso che è legittimata ad agire mediante ordinanza di rimozione: potere comunale in materia di tutela del regolare funzionamento della viabilità quando una proprietà privata è gravata da una servitù ad uso pubblico, ai sensi della legge 20 marzo 1865, n. 2248, all. F), formalmente in vigore, in quanto inclusa nell’allegato 1 al d.lgs. 1 dicembre 2009, n. 179[21].

Si rammenta, per quanto interessa, che sono soggetti al regime del demanio pubblico i beni indicati dagli artt. 823 e 824 c.c., tra cui, dunque, anche le strade appartenenti ai Comuni e, in tale materia, non è possibile ipotizzare la modifica della titolarità del bene per effetto di comportamenti occupativi o di impossessamento da parte dei privati, stante il divieto di usucapione del demanio, di cui all’art. 823 c.c.[22].

Si vede, allora, che una strada pubblica non può essere usucapibile, e neppure il privato può impossessarsi, anche attraverso l’apposizione di cancelli che ne impediscono l’utilizzo collettivo, risultando legittimo (anzi doveroso) l’esercizio del potere della PA ad agire per la tutela del bene pubblico, anche mediante autotutela esecutiva ex art. 823 c.c.: strumento che l’ordinamento appresta a garanzia di un’immediata esecuzione pubblica.

Il potere di autotutela demaniale, ai sensi dell’art. 378 della legge 20 marzo 1865, n. 2248, allegato F), che permanente e, dunque, legittimamente viene esercitato in presenza dell’apposizione di limiti o ostacoli da parte del privato: il potere esercitato attraverso l’ordinanza di messa in ripristino non è riducibile all’azione possessoria privatistica (ex artt. 1168 e ss. cod. civ.) ma è correlato alla finalità di ripristinare la disponibilità del bene pubblico in favore della collettività, a prescindere dalle modalità concrete nelle quali si è giunti all’occupazione abusiva in via di fatto e quali ne siano le cause[23].

Si può concludere, rilevando che se il privato non è titolare manu militari di limitare la proprietà demaniale pubblica o ipotizzare un’usucapione, pensando che l’oblio ne legittimi il titolo di provenienza, neppure l’Autorità pubblica ha il potere di dichiarare con un atto amministrativo la servitù pubblica su un bene privato, al di fuori del chiaro quadro normativo, come sopra esposto, e al di fuori di ogni fase partecipativa e del dovuto contraddittorio che inizia con la comunicazione di avvio del procedimento.

A ulteriore chiarimento, quando la strada, anche se di proprietà privata (c.d. vicinale), è gravata di uso pubblico legittimamente imposto o acquisito, la PA può intervenire senza il consenso del privato per assicurarne l’uso, anche mediante opere di messa in sicurezza, avendo il privato perso la disponibilità completa (in modo similare ma non uguale al “nudo proprietario”): le servitù di uso pubblico consistono, per l’appunto, in un peso imposto su un bene privato non per l’utilità, e, quindi, a favore, di un determinato bene, ma nel pubblico interesse, ossia a favore della collettività[24].

[1] Vedi, LUCCA, La disciplina delle strade ad uso pubblico, L’Ufficio Tecnico, 2018, n. 1 – 2, nel quale si esordisce scrivendo che una strada per essere classificata come pubblica non è sufficiente l’uso pubblico (il c.d. transito) ma deve sussistere una manifestazione espressa, da parte della PA, che quel determinato bene assolva una destinazione pubblica accompagnato da un valido titolo di proprietà del suolo o di un diritto di servitù pubblica, in base ad un atto idoneo a trasferire il dominio o a costituire la servitù: appartenenza all’Ente pubblico (quoad proprietatem) e destinazione all’uso pubblico (quoad usum).

[2] Una strada privata rientra nella categoria delle vie “vicinali” pubbliche se sussistono i requisiti del passaggio esercitato jure servitutis publicae da una collettività di persone qualificate dall’appartenenza ad una comunità territoriale, della concreta idoneità della strada a soddisfare esigenze di generale interesse, anche per il collegamento con la pubblica via, e dell’esistenza di un titolo valido a sorreggere l’affermazione del diritto di uso pubblico, Cass. civ., 5 luglio 2013, n. 16864.

[3] L’insistenza di segnaletica stradale, la percorrenza di linee pubbliche urbane, l’illuminazione, la funzione di raccordo con altre strade ed a sbocco su piazza e su pubbliche vie sono tutti elementi univoci per il riconoscimento della qualità di strada comunale all’interno degli abitati, TAR, Lazio, sez. II, 19 marzo 1990, n. 729.

[4] Cass. civ., sez. un., 23 dicembre 2016, n. 26897; Cons. Stato sez. IV, 19 marzo 2015, n. 1515 e sez. VI, 8 ottobre 2013, n. 4952.

[5] Cons. Stato, sez. IV, 21 ottobre 2013, n. 5116.

[6] Cons. Stato, sez. V, 14 febbraio 2012, n. 728.

[7] Cass. civ., sez. II, 13 febbraio 2006, n. 3075.

[8] TAR Veneto, sez. II, 12 marzo 2015, n. 305.

[9] TAR Puglia, Bari, sez. III, 17 aprile 2023, n. 641.

[10] Va aggiunto, altresì, che i dati catastali hanno, in generale, un valore meramente indiziario, cfr. Cass., 28 agosto 1993, n. 9138; idem 21 dicembre 1999, n. 14379.

[11] TAR Trento, sez. I, 21 novembre 2012, n. 341.

[12] Cons. Stato, sez. IV, 19 ottobre 2018, n. 5820.

[13] Cfr. Cons. Stato, sez. V, 12 maggio 2020, n. 2992.

[14] TAR Sicilia, Catania, sez. II, 7 aprile 2023, n. 1162.

[15] Cons. Stato, sez. VI, 27 novembre 2002, n. 6597; TAR Abruzzo, Pescara, 17 ottobre 2005, n. 580.

[16] L’accertamento di costituzione di servitù di passaggio pubblico per dicatio ad patriam viene assimilata all’usucapione, Cass., sentenza n. 20873/2004.

[17] Cass. civ., sez. II, Ordinanza 12 gennaio 2022, n. 788, ove si postula che il passaggio di fili, cavi e impianti telefonici, posto a servizio di più utenti, ma con appoggio alla proprietà di uno solo di essi, necessita della costituzione di un diritto reale di uso, rientrante tra i pesi di diritto pubblico, che avviene tramite il consenso dell’utente che subisce il peso o, in mancanza, tramite l’attivazione della procedura ablatoria, di cui agli artt. 90 e ss. del d.lgs. n. 259 del 2003.

[18] Cons. Stato, sez. II, 21 gennaio 2020, n. 471; sez. V, 16 marzo 2020, n. 1870 e 29 maggio 2017, n. 2531; Cass. civ., sez. VI, ord. 12 marzo 2021, n. 7091; sez. II, 14 giugno 2018, n. 15618 e 12 novembre 2019, n. 29228.

[19] Cons. Stato, sez. II, sentenza n. 5126/2022.

[20] Cons. Stato, sez. IV, sentenza n. 5820/2018.

[21] TAR Lombardia, Milano, sez. IV, 3 dicembre 2018, n. 2725. L’art. 378 della legge n. 2248/1865, stabilisce che «Per le contravvenzioni alla presente legge, che alterano lo stato delle cose… l’ordinare la riduzione al primitivo stato», risulta di competenza dei sindaci «quando trattasi di contravvenzioni relative ad opere pubbliche dei comuni», con l’art. 107, del d.lgs. 18 agosto 2000, n. 267 (TUEL), questo potere viene ora affidato, in generale, ai dirigenti, tra cui specificatamente include (ex comma terzo, sub g), la competenza ad emettere «tutti i provvedimenti di … riduzione in pristino di competenza comunale».

[22] TAR Lazio, Roma, sez. I, 4 febbraio 2016, n.1680.

[23] Cons. Stato, sez. V, 30 aprile 2015, n. 2196; sez. VI, 26 aprile 2018, nn. 2519 e 2520.

[24] Invero, non sussistono obblighi esclusivi in capo al Comune quale unico soggetto attuatore di ogni intervento sulla strada, in questo senso gli oneri manutentivi sono posti a carico del privato (consorzio) in concorso con l’Ente locale, Cons. Stato, sez. IV, 10 ottobre 2018, n. 5820.