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Articolo Pubblicato il 2 Agosto, 2021

Erogazione di contributi per investimenti privati (recupero chiesa parrocchiale)

Erogazione di contributi per investimenti privati (recupero chiesa parrocchiale)
  1. La fonte

L’art. 12 della legge n. 241/1990 prevede che «la concessione di sovvenzioni, contributi, sussidi ed ausili finanziari e l’attribuzione di vantaggi economici di qualunque genere a persone ed enti pubblici e privati sono subordinate alla predeterminazione da parte delle amministrazioni procedenti, nelle forme previste dai rispettivi ordinamenti, dei criteri e delle modalità cui le amministrazioni stesse devono attenersi», segnando in modo inequivoco che all’erogazione deve precedere una fase di pubblicità al fine di garantire la trasparenza sull’utilizzo delle risorse pubbliche.

Lo scopo della norma è quello di assicurare che le erogazioni di contributi o sovvenzioni a soggetti privati sia preceduta dalla predeterminazione e dalla pubblicazione da parte delle Amministrazioni procedenti dei criteri cui la stessa Autorità si dovrà attenere nell’“an” e nel “quantum” da concedere[1], dovendo mettere in chiaro il processo di individuazione dei beneficiari, senza possibilità di interferenze e/o condotte arbitrarie, con l’esercizio di una discrezionalità tecnica fondata su regole certe e predefinite[2], a garanzia dell’imparzialità dell’azione amministrativa e dei principi di eguaglianza sostanziale di tutti i cittadini e le forme sociali di fronte alla legge (ex art. 97 e 3 Cost.).

La violazione delle regole procedimentali, l’assenza di pubblicità di sorta dell’iniziativa, il difetto di previa attività istruttoria di verifica della legittimazione del singolo richiedente, l’omessa valutazione della rilevanza sociale dell’intervento (il c.d. fine pubblico)[3], la mancata disamina di altre analoghe richieste di compartecipazione pervenute all’Amministrazione, costituiscono profili di violazione delle regole di condotta, potenzialmente idonee ad arrecare danno all’Amministrazione[4].

Il contributo, nella sua locuzione di “vantaggio economico”, deve intendersi riferito a qualunque attribuzione che migliora la situazione economica di cui il destinatario dispone senza che vi sia una controprestazione verso la concedente P.A., non caratterizzandosi dalla compresenza sia pur mediata di una controprestazione: in presenza di un rapporto di reciprocità (sinallagmatico) si esula, pertanto, dalla previsione normativa dell’art. 12 che invece si caratterizza per l’assenza di obblighi di restituzione o obbligo di pagamento.

Secondo le recenti indicazioni della Corte dei conti[5], le sovvenzioni, i contributi, i sussidi, gli ausili finanziari, le attribuzioni di vantaggi economici consistenti in erogazione di denaro o conferimento di beni, senza obblighi di restituzione o obbligo di pagamento nei confronti della P.A., rientrano pertanto nel genus dei provvedimenti accrescitivi della sfera giuridica dei destinatari, che, sulla base della normativa vigente (ex art. 12 della legge n. 241/1990 e art. 26 del d.lgs. n. 33/2013), sono volti a sostenere un soggetto sia pubblico che privato, accordandogli un vantaggio economico diretto o indiretto mediante l’erogazione di incentivi o agevolazioni.

Di converso, un fuoco comunicativo rileverebbe che la destinazione dei contributi può anche essere collegata ad uno stato di necessità (ad una contingenza), dove si profilerebbe un interesse da parte del concedente: «in ogni operazione di finanziamento non è intellegibile solo un interesse del beneficiario ma anche quello dell’organismo che lo elargisce il quale, a sua volta, altro non è se non il portatore degli interessi, dei fini e degli obbiettivi del superiore livello politico istituzionale; logico corollario è che le disposizioni attributive di finanziamento devono essere interpretate in modo rigoroso e quanto più conformemente con gli obiettivi avuti di mira dal normator[6].

Si ricava da queste premesse che le erogazioni di contributi perseguono un fine meritevole di tutela, designato – caso per caso – dall’Amministrazione nella ricerca del “buon andamento” dell’azione amministrativa per la cura dell’interesse pubblico ad essa attribuito (ex art. 3, comma 2 del d.lgs. n. 267/2000) nel rispetto dei canoni di legalità delineati dall’art. 12 della legge n. 241/1990.

  1. Le indicazioni ANAC

La delibera ANAC n. 468 del 16 giugno 2021, Obblighi di pubblicazione degli atti di concessione di sovvenzioni, contributi, sussidi e attribuzione di vantaggi economici a persone fisiche ed enti pubblici e privati (artt. 26 e 27 d.lgs. n. 33/2013): superamento della delibera numero 59 del 15 luglio 2013 recante “Pubblicazione degli atti di concessione di sovvenzioni, contributi, sussidi e attribuzione di vantaggi economici a persone fisiche ed enti pubblici e privati (artt. 26 e 27, d.lgs. n. 33/2013), ha chiarito che la locuzione “vantaggio economico”, contenuta all’art. 12 della legge 241/1990 (che riveste il carattere di principi generale dell’ordinamento giuridico), deve intendersi come «di una attribuzione che migliora la situazione economica del destinatario senza che vi sia una controprestazione verso il concedente».

Il contributo non assume la forma di un corrispettivo di una (contro)prestazione esigibile dal destinatario ma costituisce una forma di “liberalità” che persegue un fine istituzionale, ritenuto meritevole di tutela, avendo cura di predeterminare i criteri per l’erogazione dovendo l’Amministrazione opera nel rispetto del principio di legalità, dove non vige una «assoluta libertà» di individuazione del beneficiario ma, viceversa, «è tenuta a rispettare il fondamentale canone di uguaglianza tra cittadini/aspiranti beneficiari evitando ingiustificate discriminazioni, secondo criteri stabiliti nella normativa e negli atti dell’amministrazione».

L’art. 26 del d.lgs. n. 33/2013 (il c.d. modello FOIA) esprime questo principio di uguaglianza nell’esigenza indifferibile di «dare trasparenza ai criteri che guidano la discrezionalità dell’amministrazione nella scelta dei beneficiari, dell’imparzialità delle scelte, del buon andamento dell’azione amministrativa e del buon uso delle risorse pubbliche».

In questo senso, l’Autorità Anticorruzione, rammenta che le concessioni ed erogazioni di sovvenzioni di qualunque genere è stata individuata dal legislatore come un’area a rischio corruttivo, ex art. 1, co. 16, lett. c), della legge n. 190/2012, rientrando tra le quattro aree espressamente individuate dalla legge, oltre a quella delle autorizzazioni e concessioni, procedure di scelta del contraente per l’affidamento di lavori, forniture e servizi procedure di selezione del personale: le Amministrazioni, ordunque, «sono tenute a presidiare tale area introducendo nei propri PTPCT misure volte a mitigare il rischio di fenomeni corruttivi».

  1. I contributi al Terzo Settore

Il capo IV del Codice del Terzo Settore (ex artt. 72 ss. del d.lgs. 3 luglio 2017, n. 117) si occupa di definire le modalità di erogazione di fondi, disponendo che gli stessi siano destinati mediante procedure poste in essere nel rispetto dei principi della legge 7 agosto 1990, n. 241.

Nello specifico:

  • l’a 74, Sostegno alle attività delle organizzazioni di volontariato, si dispone che le risorse «sono finalizzate alla concessione di contributi per la realizzazione di progetti sperimentali elaborati anche in partenariato tra loro e in collaborazione con gli enti locali, dalle organizzazioni di volontariato per far fronte ad emergenze sociali e per favorire l’applicazione di metodologie di intervento particolarmente avanzate»;
  • il successivo art. 75, Sostegno alle attività delle associazioni di promozione sociale, in modo similare, prevede che le risorse «sono finalizzate alla concessione di contributi per la realizzazione di progetti elaborati dalle associazioni di promozione sociale, anche in partenariato tra loro e in collaborazione con gli enti locali, volti alla formazione degli associati, al miglioramento organizzativo e gestionale, all’incremento della trasparenza e della rendicontazione al pubblico delle attività svolte o a far fronte a particolari emergenze sociali, in particolare attraverso l’applicazione di metodologie avanzate o a carattere sperimentale»;
  • l’art. 76,Contributo per l’acquisto di autoambulanze, autoveicoli per attività sanitarie e beni strumentali, destina contributi per sostenere l’attività di interesse generale delle organizzazioni di volontariato «per l’acquisto, da parte delle medesime, di autoambulanze, autoveicoli per attività sanitarie e di beni strumentali, utilizzati direttamente ed esclusivamente per attività di interesse generale, che per le loro caratteristiche non sono suscettibili di diverse utilizzazioni senza radicali trasformazioni, nonché per la donazione dei beni ivi indicati nei confronti delle strutture sanitarie pubbliche da parte delle organizzazioni di volontariato e delle fondazioni».

In questa visione di collaborazione attiva, l’art. 55, Coinvolgimento degli enti del Terzo settore, in «attuazione dei principi di sussidiarietà, cooperazione, efficacia, efficienza ed economicità, omogeneità, copertura finanziaria e patrimoniale, responsabilità ed unicità dell’amministrazione, autonomia organizzativa e regolamentare, le amministrazioni pubbliche… nell’esercizio delle proprie funzioni di programmazione e organizzazione a livello territoriale degli interventi e dei servizi nei settori di attività di cui all’articolo 5, assicurano il coinvolgimento attivo degli enti del Terzo settore, attraverso forme di co-programmazione e co-progettazione e accreditamento, poste in essere» sempre citando «nel rispetto dei principi della legge 7 agosto 1990, n. 241».

La co-progettazione finalizzata alla definizione ed eventualmente alla realizzazione di specifici progetti di servizio o di intervento finalizzati a soddisfare bisogni deve avvenire con l’individuazione degli enti del Terzo settore «nel rispetto dei principi di trasparenza, imparzialità, partecipazione e parità di trattamento, previa definizione, da parte della pubblica amministrazione procedente, degli obiettivi generali e specifici dell’intervento, della durata e delle caratteristiche essenziali dello stesso nonché dei criteri e delle modalità per l’individuazione degli enti partner».

L’art. 56, Convenzioni, canonizza lo strumento “negoziale” per la disciplina del rapporto tra P.A. e soggetti del Terzo settore per le attività o servizi sociali di interesse generale, se più favorevoli rispetto al ricorso al mercato, disponendo che le “controprestazioni” a loro beneficio siano limitate «esclusivamente» al «rimborso… delle spese effettivamente sostenute e documentate», con l’imperativo di individuare le organizzazioni di volontariato e delle associazioni di promozione sociale «nel rispetto dei principi di imparzialità, pubblicità, trasparenza, partecipazione e parità di trattamento, mediante procedure comparative», con un onere di pubblicità sui propri siti informatici degli atti di indizione dei procedimenti e i relativi provvedimenti finali: gli atti «devono altresì formare oggetto di pubblicazione da parte delle amministrazioni procedenti nella sezione “Amministrazione trasparente”, con l’applicazione delle disposizioni di cui al decreto legislativo 14 marzo 2013, n. 33».

Il DM n. 72 del 31 marzo 2021 del Ministero del Lavoro e delle Politiche sociali, Linee guida sul rapporto tra pubbliche amministrazioni ed enti del terzo settore negli artt. 55-57 del d.lgs. n.117/2017 (Codice del Terzo settore), dopo aver stabilito la non automatica applicazione del Codice dei contratti pubblici, si sofferma sul procedimento di co-programmazione/co-progettazione e l’attività istruttoria (di cui alla legge n. 241/1990), fa presente che «le risorse economiche, in ragione della natura giuridica della co-progettazione e del rapporto di collaborazione, che si attiva…, sono da ricondurre ai contributi, disciplinati dall’art. 12 della legge n. 241/1990».

In questo caso, qualora un ente procedente «conferisca l’utilizzo, anche parziale, di un proprio bene immobile, si ritiene che – oltre a non essere utilizzato al momento di pubblicazione dell’avviso per fini istituzionali e non rientrare fra i beni oggetto di alienazione o valorizzazione, ai sensi della relativa disciplina – il predetto bene dovrebbe essere oggetto di apposita relazione amministrativa ed estimativa» (il c.d. valore d’uso).

Il “valore d’uso” (ossia, il comodato) serve allo scopo di individuare l’utilità economica che beneficiano i destinatari degli interventi, i quali vengono sollevati «da un esborso, laddove questi ultimi avessero dovuto reperire sul mercato un immobile analogo per tipologia e ubicazione», significando che l’utilizzo dei beni concessi a titolo gratuito sono da far rientrare nella tipologia dei contributi di cui all’art. 12 della legge n. 241/1990[7].

  1. Le erogazioni di contributi

L’Amministrazione in questo quadro normativo, nel rispetto delle regole definite dai propri regolamenti interni sull’erogazione dei contributi, può disporre in piena discrezionalità e responsabilità[8] le erogazioni purché sia motivata la finalità e il correlato perseguimento dell’interesse pubblico, in attuazione dei canoni di trasparenza ed imparzialità che devono sempre caratterizzare l’agere pubblico[9], coordinata con l’articolo 26 del decreto legislativo 14 marzo 2013, n. 33 (il cit. Decreto Trasparenza): l’atto di erogazione dovrà riportare in concreto il percorso motivazionale codificato dall’articolo 12 della legge 7 agosto 1990, n. 241, parametro indiviso della legittimità dell’esercizio del potere attribuito alla P.A. (c.d. principio di legalità).

L’interesse pubblico e la sua individuazione spettano all’Autorità amministrativa in relazione alle risorse disponibili: «in ogni operazione di finanziamento a carico della mano pubblica, il beneficio economico è riferibile ad un obiettivo essenziale perseguito dalla relativa disciplina di settore (sia normativa che amministrativa). Il finanziamento è preordinato al soddisfacimento di un interesse istituzionale che trascende, cioè, pur implicandolo, l’interesse dei destinatari; vale a dire che in ogni operazione di finanziamento non è intellegibile solo un interesse del beneficiario ma anche quello dell’organismo che l’elargisce, il quale a sua volta, altro non è se non il portatore degli interessi, dei fini e degli obiettivi del superiore livello politico istituzionale. Logico corollario è che le disposizioni attributive di finanziamenti devono essere interpretate in modo rigoroso e quanto più conformemente con gli obiettivi avuti di mira dal normatore»[10]: la scelta del fine impinge il merito amministrativo.

Si deve affermare che ogni esborso di denaro pubblico debba essere sostenuto da una solida giustificazione e da un’adeguata rendicontazione della/e iniziativa/e svolta/e – relativamente alle spese sostenute e agli obiettivi posti alla base della/e iniziativa/e – che devono essere riconducibili ai fini che l’ente intende perseguire, escludendo sovvenzioni maggiori rispetto a quelle documentate: «ogni elargizione di denaro pubblico deve essere ricondotta a rigore e trasparenza procedurale e l’amministrazione agente non può considerarsi operante in piena e assoluta libertà, valutando come necessario che, a fronte di un contributo pubblico, sia presente un piano finanziario, in cui siano indicate analiticamente le spese dell’evento, nonché un rendiconto finale dei costi sostenuti in concreto, e che, anche nelle ipotesi di un contributo di natura forfettaria, deve essere agevole e possibile l’accertamento dei presupposti per determinarlo»[11].

  1. Nozione di contributo e fiscalità

In linea generale, un contributo assume rilevanza agli effetti dell’IVA se erogato a fronte di un’obbligazione di dare, fare, non fare e permettere, ossia quando si è in presenza di un rapporto obbligatorio a prestazioni corrispettive (c.d. rapporto giuridico sinallagmatico dove il contributo ricevuto dal beneficiario rappresenta il compenso per il servizio effettuato)[12]; viceversa, l’esclusione dal campo di applicazione dell’IVA è stata ravvisata ogni qual volta il soggetto che riceve il contributo (beneficiario) non risulta obbligato a dare, fare, non fare o permettere qualcosa come controprestazione[13].

Si deve dedurre che al fine di accertare se i contributi costituiscano nella sostanza corrispettivi per prestazioni di servizi, ovvero si configurino come mere elargizioni di denaro per il perseguimento degli obiettivi di carattere generale, occorre fare riferimento al concreto assetto degli interessi delle parti, la corretta qualificazione di una somma come corrispettivo o contributo richiede, altresì, un’attenta analisi dell’accordo/provvedimento che ne prevede l’erogazione al fine di accertare se il soggetto beneficiario del denaro sia tenuto all’esecuzione dell’attività finanziata o sia un mero tramite per il trasferimento delle medesime somme a terzi attuatori.

Sotto il profilo fiscale, si deve concludere che «quando un’amministrazione pubblica agisce ai sensi dell’articolo 12 della legge n. 241/1990 si faccia riferimento a contributi non aventi la natura di corrispettivi, a differenza, invece, di quando agisce in base al codice dei contratti pubblici, di cui al d.lgs. n. 50/2016»[14].

Dunque, tra le funzioni amministrative rientrano anche quelle relative all’attribuzione di vantaggi economici, che secondo l’art. 12 della legge n. 241/1990 tale funzione deve essere esercitata nella forma del procedimento amministrativo, come tale, sottoposta a regole di trasparenza e di imparzialità: la natura di contributo della somma erogata è insita nella modalità con la quale si esplica l’azione amministrativa.

La richiamata disposizione trova applicazione, di regola, allorché la Pubblica Amministrazione concedente si trovi ad espletare la funzione di promuovere attività e realizzare opere e servizi in settori di rilevante interesse generale, seguendo una procedura di affidamento si svolge attraverso l’adozione di un avviso pubblico per la presentazione, da parte degli enti privati che operano nel settore di progetti o attività di interesse per gli scopi statutari del privato.

In tal caso, ammette l’Agenzia delle entrate[15], l’erogazione è diretta «a fornire la provvista economica per servizi da elargire nei confronti di beneficiari meritevoli di attenzione sociale» e l’erogazione di vantaggi economici si inserisce nella funzione amministrativa ed esula dallo schema dei contratti a prestazioni corrispettive: la situazione economica di cui il destinatario dispone è priva di controprestazione verso il concedente[16].

Diversamente, «qualora sia rinvenibile un rapporto di scambio per cui alla pubblica amministrazione deriva un vantaggio diretto ed esclusivo dal comportamento richiesto al privato, ci si trova innanzi a una prestazione e controprestazione che non può che essere inquadrata nello schema contrattuale. In particolare, si ritiene che ricorra tale presupposto nelle ipotesi in cui l’amministrazione acquisisca la proprietà del bene o comunque si avvalga dei risultati derivanti dalla attività per la quale sono erogate le somme, ritraendone dunque un vantaggio diretto».

In sostanza, finanziare lo svolgimento di un’attività di interesse generale, a beneficio di soggetti meritevoli di attenzione sociale e non a vantaggio diretto ed esclusivo della P.A. (quali, ad es., un intervento di co-progettazione/cooperazione) siamo in presenza di un contributo: «devono ritenersi come mere movimentazioni di denaro e, come tali, escluse dall’ambito applicativo dell’IVA», ai sensi dell’articolo 2, terzo comma, lettera a), del Decreto IVA.

  1. Sponsorizzazioni e contribuzioni

La sponsorizzazione (che è un contratto a prestazioni sinallagmatiche per la promozione dell’immagine associata e non una erogazione di contributo fine a se stessa) presuppone la semplice finalità di segnalare ai cittadini la presenza del Comune, così da promuoverne l’immagine, mentre non si configura quando il sostegno di iniziative di un soggetto terzo, rientranti nei compiti del Comune, nell’interesse della collettività anche sulla scorta dei principi di sussidiarietà orizzontale, ex articolo 118 Costituzione[17].

Si afferma da parte della Corte dei conti[18] che «se, difatti, il contributo è erogato dal comune unicamente per promuovere l’immagine dell’ente locale, lo stesso rientra fra le spese di sponsorizzazione, vietate a partire dal 1° gennaio 2011, ai sensi dell’art. 6, comma 9, del decreto-legge n. 78/2010», ribadendo il concetto madre che «le attività di soggetti terzi possono essere sostenute da parte del Comune, laddove le stesse rappresentino una modalità alternativa e mediata di erogazione del servizio pubblico, siano svolte nell’interesse della comunità e ritenute utili per la stessa – in attuazione, quindi, dell’articolo 118 Costituzione – fermo restando lo scrupoloso rispetto delle forme di trasparenza e di imparzialità, queste ultime presidiate dalla disciplina di cui all’articolo 12 della legge n. 241/1990 e all’articolo 26 del d.lgs. n. 33/2013. La concessione di contributi, sovvenzioni o altri vantaggi economici, pertanto, nei limiti funzionali predetti, dovrà essere sempre preceduta da idonee forme di pubblicità e avvenire a valle di procedure competitive, non potendosi mai tradurre in un soccorso finanziario tout court ad un ente terzo».

In ogni caso, quando l’Amministrazione ricorra a soggetti privati per raggiungere i propri fini e, conseguentemente, riconosca loro benefici di natura patrimoniale (come nella forma della contribuzione) ovviamente le cautele debbono essere maggiori – rispetto ai casi in cui vengano in rilievo enti pubblici – anche al fine di garantire l’applicazione dei principi di parità di trattamento e di non discriminazione che debbono caratterizzare l’attività amministrativa[19].

Il necessario profilo teleologico, idoneo ad escludere la concessione di contributi dal divieto di spese per sponsorizzazioni (interdetto alle Amministrazioni Pubbliche, ex art. 6, comma 9, del decreto legge 31 maggio 2010, n. 78, e art. 4, comma 6, del decreto legge 6 luglio 2012, n. 95, convertito dalla legge 7 agosto 2012, n. 135), deve essere palesato dall’Ente locale in modo inequivoco nella motivazione del provvedimento, avendo cura di evidenziare i presupposti di fatto e l’iter logico alla base dell’erogazione a sostegno dell’attività svolta dal destinatario del contributo, nonché il rispetto dei criteri di efficacia, efficienza ed economicità delle modalità prescelte di resa del servizio (ex art. 1 della legge n. 241/1990)[20].

  1. Il caso

Fatte queste premesse, la questione – in via astratta – risiede nella possibilità o meno di finanziare la ristrutturazione di una chiesa parrocchiale con un finanziamento pubblico, attraverso lo strumento del comodato nel quale il comodante (Ente locale) si obbliga al recupero del bene (quindi, a seguito di un appalto e l’eventuale inserimento dell’intervento nei propri strumenti di programmazione, ex art. 21 del d.lgs. n. 50/2016), mantenendo la destinazione di culto e riconsegnando il bene stesso recuperato a scadenza di un termine prestabilito.

Le stesse considerazioni si possono parametrare, ed il caso non è raro, al recupero di un piazzale antistante ad una chiesa (a spese del Comune) in cambio di un uso temporaneo a parcheggio pubblico (mediante una convenzione).

Comodato o convenzione: forme negoziali attraverso le quali l’Amministrazione interviene su beni privati, erogando risorse pubbliche quali forme di contribuzione al loro mantenimento funzionale, ovvero come “controprestazione” al loro uso, perdendo il carattere neutro del vantaggio economico (senza contropartita).

  1. Il principio di sussidiarietà e i principi costituzionali

Si potrebbe, in una prima posizione, giustificare l’intervento richiamandosi all’art. 118 Cost. (ultimo comma), il quale riconosce un ruolo primario ai cittadini, alle formazioni sociali e in generale la società civile (c.d. Terzo Settore), da ricomprendere le Parrocchie, per il perseguimento di finalità di interesse generale in un percorso di sussidiarietà orizzontale (ex art. 13 del d.lgs. n. 267/2000)[21].

Il riferimento potrebbe anche ancorarsi al contributo che può essere richiesto per le opere di urbanizzazione destinate a edifici di culto o per edifici adibiti allo svolgimento di attività senza scopo di lucro, funzionalmente connessi alla pratica di culto delle confessioni religiose (artt. 7 e 8 della Cost.).

Tale genere di contributi (i contributi erogati dai comuni agli edifici di culto a valere degli oneri di urbanizzazione riscossi) sono allocati nelle poste dei contributi agli investimenti e non tra gli altri trasferimenti in conto capitale (tra questi ultimi sono da includere i rimborsi per le restituzioni degli oneri di urbanizzazione), valorizzando la loro funzione di «erogazioni effettuate da un soggetto a favore di terzi, destinate al finanziamento di spese di investimento, in assenza di controprestazione, cioè in assenza di un corrispettivo reso dal beneficiario, a favore di chi ha erogato il contributo. L’assenza del corrispettivo comporta che, a seguito dell’erogazione del contributo, il patrimonio del soggetto erogante si riduce mentre il patrimonio del beneficiario, o degli ulteriori successivi beneficiari, si incrementa. Il rispetto del vincolo di destinazione del contributo (o del trasferimento) non costituisce “controprestazione”»[22].

Le norme di principio (quelle citate nelle premesse) vanno lette non con riferimento all’orizzonte ristretto delle funzioni svolte direttamente dall’Ente locale (ex art. 3 del d.lgs. n. 267/2000, «Il comune è l’ente locale che rappresenta la propria comunità, ne cura gli interessi e ne promuove lo sviluppo») ma in modo ampio, così da assicurare (come è compito della Repubblica alla luce dell’art. 3 e dell’intera Parte Prima della Costituzione) a tutti i cittadini l’esercizio effettivo dei diritti costituzionali e le condizioni per «il pieno sviluppo della persona umana» (ex art. 4, comma 2, Cost.), per cui «ogni cittadino ha il dovere di svolgere, secondo le proprie possibilità e la propria scelta, un’attività o una funzione che concorra al progresso materiale e spirituale della società».

  1. Il ruolo dei soggetti sociali

Ne segue che, il valore primigenio della società civile, delle sue manifestazioni aggregative, dei portatori di interessi generali, costituisce il criterio distintivo per l’individuazione di tali funzioni ed è rappresentato non già dalla pertinenza di queste al Comune, ma dal riconoscimento che questi fa – all’interno dei propri atti normativi statutari e regolamentari – dell’esistenza della peculiarità e potenzialità delle autonomie sociali – anche rispetto alle stesse Autonomie locali – quanto all’incidenza nella rete quotidiana, vitale e significativa delle relazioni che si instaurano fra le persone, le famiglie e le sue aggregazioni: «lo Stato e ogni altra autorità pubblica proteggono e realizzano lo sviluppo della società civile partendo dal basso, dal rispetto e dalla valorizzazione delle energie individuali, dal modo in cui coloro che ne fanno parte liberamente interpretano i bisogni collettivi emergenti dal sociale»[23], in modo da valorizzare adeguatamente il ruolo insostituibile, per quanto “vicine ai cittadini interessati” (cfr. Trattato di Maastricht) delle realtà espressive della sussidiarietà orizzontale.

In questo specifico ambito, si potrebbe collocare il sostegno anche di contribuzione del Comune all’attività di queste entità aggregative, espressione di originarie manifestazioni di autonomia privata e “soggetti dell’organizzazione delle libertà sociali”, senza che queste forme di sostegno economico siano in alcun modo collegate all’utilizzo dell’immagine dell’Ente o che a questo siano pienamente sovrapponibili come attività[24].

Il contributo per il recupero del bene rappresenterebbe un’erogazione che persegue delle finalità di interesse generale:

  • in via diretta del beneficiario che recupera risorse da destinare alla manutenzione del bene;
  • in via indiretta, assolvendo ad una funzione sociale di interesse per la propria comunità e il territorio.
  1. Le erogazioni per la tutela del patrimonio privato di valenza storica, architettonica, culturale

Secondo un orientamento consolidato della Corte dei conti[25], in base alle norme ed ai principi della contabilità pubblica, non è rinvenibile alcuna disposizione che impedisca all’Ente locale di effettuare attribuzioni patrimoniali a terzi, ove queste siano necessarie per conseguire i propri fini istituzionali atteso che se, infatti, «l’azione è intrapresa al fine di soddisfare esigenze della collettività rientranti nelle finalità perseguite dal Comune (nel caso di specie, l’interesse alla conservazione del patrimonio storico e artistico) il finanziamento, “anche se apparentemente a fondo perso, non può equivalere ad un depauperamento del patrimonio comunale, in considerazione dell’utilità che l’ente o la collettività ricevono dallo svolgimento del servizio pubblico o di interesse pubblico effettuato dal soggetto che riceve il contributo (cfr. deliberazione n. 262/2012/PAR). Riconosciuto l’interesse generale dell’attività, la natura pubblica o privata del soggetto che percepisce il contributo risulta indifferente, posto che la stessa amministrazione opera utilizzando, per molteplici finalità (gestione di servizi pubblici, esternalizzazione di funzioni strumentali, etc.), soggetti aventi natura privata» (caso riferito alla concessione di un contributo in conto capitale al fine di preservare l’integrità della chiesa parrocchiale).

L’intervento del Comune di restauro di un bene privato può costituire un fine pubblico coincidente con quello del Comune per le sue implicazioni dirette sulla comunità locale (ad es. per le tradizioni, le radici religiose, il patrimonio artistico, culturale, architettonico, storico), proiettato a valorizzare sia gli enti esponenziali di interessi generali che lo sviluppo dei centri aggregativi, migliorando la qualità dei servizi da erogare alla cittadinanza e le forme di partecipazione collettiva, oltre che di preminente sviluppo sociale/culturale, trattandosi di una forma di “collaborazione istituzionale” attuativa dei principi di sussidiarietà orizzontale, senza scopo di lucro (sempre nel rispetto dei principi stabiliti dall’art. 12 della legge n. 241/1990, secondo i canoni interpretativi giuscontabili).

  1. Interesse pubblico e onere motivazionale

Si dovrà dimostrare (un onere motivazionale rafforzato) che il recupero della chiesa realizza la conservazione del patrimonio storico/architettonico e culturale del Comune e del suo territorio (in conformità con l’art. 9 Cost. e del d.lgs. 22 gennaio 2004, n. 42, Codice dei beni culturali e del paesaggio): questo determinato interesse pubblico dovrebbe presentare un importante e preminente valore sociale oltre che di promozione del territorio, dovendo dimostrare che tra i propri obiettivi statutari sia presente tale finalità (c.d. finalizzazione dell’interesse, ex art. 97 Cost.).

Nella rendicontazione dell’intervento, ma anche a monte, dovrebbe emergere questo interesse di tutela storico/architettonica/culturale del bene, anche se non di proprietà dell’Ente (ossia, un requisito per il finanziamento): l’Amministrazione pubblica può farsi carico di erogare contributi per il recupero e la conservazione dei beni storici a fronte della motivata cura di un interesse pubblico prevalente che dovrà essere dimostrato nel concreto (vedi, la disciplina sopra richiamata sulla quota parte degli oneri di urbanizzazione e/o la norma principio sui contributi, di cui all’art. 12 della legge n. 241/1990).

La valorizzazione dell’utilità pubblica è un elemento dirimente della motivazione (ex art. 3 della legge n. 241/1990) che dovrebbe essere presente nell’atto di comodato per l’utilizzo del bene, dimostrando che tale negozio presenta una qualche utilità a giustificazione dell’intervento di recupero, quale ad es. la messa a disposizione della cittadinanza del bene per scopi di natura collettiva (ad es. concerti, seminari, convegni funzionali con la destinazione del bene).

In termini più espliciti, se l’Amministrazione invece di erogare un contributo per il recupero del bene intendesse sottoscrivere un contratto di comodato dovrebbe giustificare da una parte, l’esigenza di acquisire la disponibilità del bene per scopi pubblici, dall’altra, dimostrare l’utilità per il Comune dall’acquisizione in uso di un bene che per l’utilizzo concreto (ossia, lo scopo negoziale) esigerebbe un intervento di recupero per la sua agibilità (pari ai costi necessari per la messa in sicurezza o disponibilità all’uso), oltre a motivarne la scelta rispetto a possibili altri luoghi privati idonei (ad es. con un’indagine di mercato).

Nel caso del recupero del piazzale antistante ad una chiesa e il convenzionamento per suo utilizzo a condizioni prestabilite si potrebbe validamente giustificare l’onere manutentivo dello stesso, essendo funzionale al suo corretto utilizzo e destinazione ed essendo preminente un interesse generale e particolare dell’Amministrazione ad utilizzare uno spazio (ulteriore) che diventa pubblico, secondo le regole definite in sede di convenzionamento: un onere a carico dell’Amministrazione per assicurare l’uso del parcheggio, non limitato alle sole funzioni religiose (non dunque un contributo).

  1. Tipicità degli atti

In definitiva, l’erogazione di un contributo per il recupero dei beni privati deve rispettare le regole di trasparenza per l’individuazione del beneficiario e rendere conto dell’interesse generale che impinge il merito amministrativo, mentre l’utilizzo del modello negoziale (il comodato) esige la presenza di un bisogno predeterminato di spazi allocativi per assolvere la funzione pubblica e, al contempo, dimostrare l’assenza di strutture idonee per tali finalità, specie quando l’Amministrazione deve investire risorse pubbliche per il suo utilizzo.

La realizzazione dell’intervento di recupero del bene privato, seppure sia dimostrato l’interesse storico, architettonico, culturale in assenza di clausole (presenti nel comodato) che non consenta al Comune un utilizzo per i propri fini istituzionali è indice della mancanza di un’utilità pubblica, riversandosi di fatto nell’erogazione di un contributo a fondo perduto su beni privati (che in astratto, per quanto riferito, non è escluso), dovendo giustificare l’interesse pubblico, specie quando l’intervento comporta non l’erogazione di una risorsa economica ma il recupero del bene con l’individuazione di un operatore economico secondo le regole del Codice dei contratti pubblici (una sorta di “sponsorizzazione” mascherata vietata dall’ordinamento).

Diversamente, attraverso il comodato, ovvero il semplice uso del bene (fine a sé stesso), privo di una qualche utilità pubblica o di una destinazione ad uso collettivo, nel senso di giustificare la “causa”, quale funzione economico-sociale del contratto, costituirebbe il solo mezzo per recuperare il bene privato, senza alcun corrispettivo/controprestazione (non necessariamente quantificabile sotto il profilo economico) sull’uso del bene stesso per la collettività (specie ove la durata coincida con la realizzazione dell’intervento), senza una puntuale descrizione dell’interesse pubblico diverso da quello specifico di destinazione al culto, confermerebbe l’interesse estraneo (alieno) alla P.A., e si configurerebbe alla stregua di un contributo.

In dipendenza di ciò:

  • il contributo erogato dal Comune per il recupero di un bene privato deve rispettare i requisiti di cui all’art. 12 della legge n. 241/1990, ovvero le condizioni previste nel Codice del Terzo Settore (ad es. un partenariato per assolvere una funzione sociale);
  • mentre l’utilizzo di un bene privato ricevuto in comodato, e la correlata ristrutturazione a spese della P.A., dovrà essere correlata ad un’esigenza allocativa di spazi, ovvero sarà necessario dare una motivazione rafforzata sull’assenza di condizione di utilità pubblica (uso per fini istituzionali/generali) tali da giustificarne il recupero e la spesa, evitando l’alterazione dei principi di legalità e degli strumenti apprestati dall’ordinamento per soccorrere l’interesse pubblico.

[1] Cons. Stato, sez. III, 15 giugno 2020, n. 3769.

[2] La discrezionalità tecnica è sindacabile solo per illogicità, abnormità e manifesta irragionevolezza, Cons. Stato, sez. III, 14 gennaio 2020, n. 330.

[3] La determinazione del “fine pubblico” rientra nel merito amministrativo nel valutare, con criteri di ragionevolezza, se le attribuzioni patrimoniali a terzi perseguano o meno i fini istituzionali, in considerazione dell’utilità che l’ente o la collettività ricevono dallo svolgimento dell’attività posta in essere dai soggetti che beneficiano dei contributi, Corte conti, sez. contr. Lombardia, delibere nn. 218, 248 e 262 del 2014, 79 e 121 del 2015.

[4] Corte conti, sez. giur. Lombardia, 15 marzo 2011, n. 145.

[5] Corte conti, sez. contr. Emilia – Romagna, 21 luglio 2021, n. 130.

[6] Cons. Stato, sez. IV, sentenza n. 50/2017.

[7] Cfr. ANAC, delibera n. 32 del 20 gennaio 2016, Determinazione Linee guida per l’affidamento di servizi a enti del terzo settore e alle cooperative sociali, ove si evidenzia che «le amministrazioni possono concedere ai soggetti del terzo settore sovvenzioni o contributi per lo svolgimento di attività di interesse sociale ritenute utili per la collettività. In tali ipotesi le amministrazioni devono procedere in osservanza delle indicazioni fornite dall’art. 12 della l. 7 agosto 1990 n. 241… Inoltre, l’attribuzione di vantaggi economici, sebbene non regolata dal Codice dei Contratti, è sottoposta comunque a regole di trasparenza e imparzialità; pertanto deve essere preceduta da adeguate forme di pubblicità e avvenire in esito a procedure competitive».

[8] Corte conti, sez. contr. Lombardia, pareri nn. 108/2018/PAR; 309/2018/PAR; 12/2017/PAR.

[9] TAR Milano, Lombardia, sez. I, 29 gennaio 2014, n. 330; Corte conti, sez. contr. Lombardia, 10 maggio 1993, n. 76.

[10] Cons. Stato, sez. V, 27 giugno 2012, n. 3778.

[11] Corte conti, sez. giur. Appello per la Regione Siciliana, sentenza n. 54/A/2016.

[12] Cfr. Agenzia delle entrate, risoluzioni: n. 72/E del 3 maggio 1999; n. 54/E del 24 aprile 2001; n. 90/E del 19 marzo 2002; n. 183/E dell’11 giugno 2002; n. 135/E del 23 giugno 2003; n. 100/E del 25 luglio 2005; n. 473/E del 3 dicembre 2008.

[13] Agenzia delle entrate, risposta n. 402/2021, IVA – Trattamento applicabile al contributo erogato a sostegno di una riduzione tariffaria per il servizio di gestione dei rifiuti.

[14] Il rinvio alla lettura della circolare 34/E del 21 novembre 2013 dell’Agenzia delle entrate, «Trattamento agli effetti dell’IVA dei contributi erogati da amministrazioni pubbliche – Criteri generali per la definizione giuridica e tributaria delle erogazioni, da parte delle pubbliche amministrazioni, come contributi o corrispettivi», in cui si evidenzia che, nelle ipotesi di cui all’art. 12 della legge n. 241/1990, l’Amministrazione pubblica più che prevedere il rispetto di accordi contrattuali sinallagmatici di natura corrispettiva – che non è possibile perché tali somme non sono così qualificabili – prevede meccanismi di controllo, ad esempio semplificativo, sulla corretta rendicontazione. Vedi, Volontariato, erogazione contributi e rimborsi spesa, trattamento fiscale, mauriziolucca.com, 12 febbraio 2020.

[15] Agenzia delle entrate, risposta n. 375/2021, IVA – Contributi pubblici erogati in forza di avviso pubblico ai sensi dell’art. 12 della legge n. 241 del 1990.

[16] Corte conti, sez. contr. Veneto, delibera 20 aprile 2016, n. 260.

[17] TAR Puglia, Bari, sez. I, 4 aprile 2019, n. 334.

[18] Corte conti, sez. contr. Lombardia, parere 17 aprile 2019, n. 146.

[19] Corte conti, sez. contr. Lombardia, delibera 11 settembre 2015, n. 279.

[20] Corte conti, sez. contr. Piemonte, delibera 6 febbraio 2019, n. 7.

[21] Gli Enti locali, in via generale, rivolgono la propria attività nei confronti della propria popolazione e del proprio territorio, ma non può ritenersi preclusa un’azione comunale tesa ad estendere i servizi a favore di soggetti non residenti nel territorio comunale, all’esito di una valutazione discrezionale dell’Ente, con relativo accollo dei corrispondenti oneri contributivi. L’azione deve risultare corroborata da un superiore interesse pubblico e, quindi, da un’utilità effettiva che, anche se in via indiretta, produca un concreto vantaggio nei confronti della stessa collettività territoriale, Corte conti, sez. contr. Piemonte, deliberazione 23 marzo 2018, n. 30.

[22] Corte conti, sez. contr. Veneto, delibera 19 aprile 2021, n. 107.

[23] Cons. Stato, parere della Sezione consultiva per gli atti normativi n. 1354/2002.

[24] Cfr. Corte conti, sez. contr. Veneto, delibera n. 336/2011.

[25] Cfr. Corte conti, sez. contr. Lombardia, parere n. 248 e 218 del 2014 che richiamano, sul punto, le deliberazioni n. 9/2006, n. 10/2006, n. 18/2006, n. 26/2007, n. 35/2007, n. 59/2007, n. 39/2008, n. 75/2008, n. 1138/2009, n. 1/2010, n. 981/2010, n. 530/2011, n. 4 262/2012.