«Libero Pensatore» (è tempo di agire)
Articolo Pubblicato il 23 Ottobre, 2020

Erogazioni contributi COVID-19 alle imprese sono (non sono) aiuti di Stato?

Erogazioni contributi COVID-19 alle imprese sono (non sono) aiuti di Stato?

L’Agenzia delle Entrate, con risposta n. 494 del 21 ottobre 2020, definisce il trattamento fiscale dei contributi economici erogati una tantum dal Comune in favore di talune attività di impresa del proprio territorio soggette a chiusura durante l’emergenza sanitaria determinata da COVID-19 (fase 1).

La questione veniva affrontata in relazione al quantum erogato sulla base del danno economico subito dalle imprese nel lockdown, misura simmetrica a quella disposta dal Governo nazionale relativamente al contributo a “fondo perduto” previsto dall’articolo 25 «Contributo a fondo perduto» del decreto legge 19 maggio 2020, n. 34 (c.d. decreto Rilancio) recante «Misure urgenti in materia di salute, sostegno al lavoro e all’economia, nonché di politiche sociali connesse all’emergenza epidemiologica da COVID-19», convertito con modificazioni dalla legge 17 luglio 2020, n. 77.

L’Amministrazione evidenziava (chiedendone conferma all’Agenzia) che il contributo doveva essere inquadrato, «quale intervento di carattere straordinario e sociale, secondo i fini istituzionali e umanitari cui è preposto, in sede di erogazione è stato assoggettato a ritenuta d’acconto del 4 per cento, ai sensi dell’articolo 28 del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 600».

L’Agenzia in primis analizza la norma di riferimento, in particolare il comma 7, dell’art. 25 che testualmente dispone, che «il contributo di cui al presente articolo non concorre alla formazione della base imponibile delle imposte sui redditi, non rileva altresì ai fini del rapporto di cui agli articoli 61 e 109, comma 5, del testo unico delle imposte sui redditi, e non concorre alla formazione del valore della produzione netta, di cui al decreto legislativo 15 dicembre 1997, n. 446 … non concorre alla formazione della base imponibile, ai fini Ires ed Irap e, pertanto, non è soggetto alla ritenuta prevista dall’articolo 28 del d.P.R. n. 600 del 1973».

Fatte queste premesse annota che il trattamento non può essere applicato ad altre fattispecie in ragione della circostanza che le norme di esenzione in materia tributaria, per effetto della loro natura derogatoria di carattere speciale, sono di stretta interpretazione, ai sensi dell’articolo 12 delle preleggi, dovendo, in assenza di una espressa previsione di legge, che escluda la rilevanza ai fini delle imposte sui redditi dei contributi pubblici, far riferimento alle ordinarie regole che ne disciplinano la tassazione diretta (il criterio della finalizzazione/scopo):

  • i contributi in «conto esercizio» sono destinati a fronteggiare esigenze di gestione;
  • i contributi in «conto capitale» sono finalizzati ad incrementare i mezzi patrimoniali dell’impresa, senza che la loro erogazione sia collegata all’onere di effettuare uno specifico investimento;
  • i contributi in «conto impianti» sono erogati con il vincolo di acquisire o realizzare beni strumentali ammortizzabili, ai quali vengono parametrati.

Ciò posto, il secondo comma dell’articolo 28 del d.P.R. n. 600 del 1973 prevede che «Le regioni, le provincie, i comuni, gli altri enti pubblici e privati devono operare una ritenuta del quattro per cento a titolo di acconto delle imposte indicate nel comma precedente e con obbligo di rivalsa sull’ammontare dei contributi corrisposti ad imprese, esclusi quelli per l’acquisto di beni strumentali».

L’Amministrazione, si legge nella risposta, provvederà ad operare la ritenuta alle seguenti condizioni:

  • il destinatario del contributo sia un’impresa;
  • i contributi non siano destinati all’acquisto di beni strumentali[1].

Da questo perimetro di riferimento normativo, l’Agenzia osserva che la norma non individua esattamente i contributi assoggettati a ritenuta, ma si limita ad indicare quelli esclusi, dettando sostanzialmente un principio di carattere generale in forza del quale tutti i contributi corrisposti alle imprese dalle regioni, province e comuni, dagli enti pubblici e privati subiscono la ritenuta alla fonte a titolo di acconto, con la sola esclusione dei contributi per l’acquisto dei beni strumentali.

Donde, si conclude che l’erogazione di contributo (deliberato dal Comune a favore delle imprese in difficoltà economica a seguito della pandemia causata dal COVID-19) è soggetto a tassazione secondo le regole sopra indicate, giacché non è rinvenibile nell’ordinamento una norma che ne escluda l’applicazione: al momento dell’erogazione va soggetto alla ritenuta a titolo d’acconto nella misura del 4 per cento prevista dal secondo comma dell’articolo 28 del d.P.R. n. 600 del 1973.

Quando l’erogazione venga posta in funzione di un’attività suscettibile di produrre corrispettivi aventi “natura commerciale”, per tali attività il soggetto beneficiario assume la qualifica d’impresa, con la conseguente ritenuta[2].

Il contributo COVID-19 alle – imprese – per la mancata attività e economica a seguito della pandemia non è diretto all’acquisto di beni strumentali, bensì si sostanzia in un sostegno economico straordinario alle imprese con lo scopo di rispondere alle esigenze di natura solidaristica/sociale e non di sostegno all’impresa, rectiusaiuti di Stato” (c.d. regime de minimis, come stabiliscono gli articoli 92 e 93 del Trattato istitutivo dell’Unione Europea).

Tale orientamento, vista l’autorevolezza della fonte, riveste una rilevanza nel quadro interpretativo, confermando – con l’applicazione della ritenuta – la legittimità di tale genere di “aiuti alle imprese” che non rivestono una funzione di assistenza nel mercato concorrenziale (alias indebito vantaggio nei confronti dei concorrenti di altri paesi dell’UE), quanto semmai «assumono una funzione e una dimensione diversa, in quanto contributi economici privi di controprestazione, essendo forme di assistenza verso i bisogni dei soggetti presenti nel territorio, secondo i principi primari del Dlgs 267/2000 (ossia, la cura degli interessi della comunità locale) che trovano fonte generale di riferimento nell’’articolo12 della legge 241/1990 oltre che nell’articolo 97 della Costituzione (il cosiddetto buon andamento)»[3].

In definitiva. i contributi COVID-19 assolvono una funzione che è strumentale al perseguimento non tanto dell’interesse della beneficiaria impresa, quanto il primario interesse del soggetto erogante (il Comune) affinché sia raggiunto un bilanciamento imposto ex lege alla chiusura delle attività e servizi, determinando una situazione di bisogno che diversamente non si sarebbe presentata, ovvero intangibile.

La destinazione dei contributi è una risposta al contesto emergenziale, dove ogni risorsa esprime un valore solidaristico prima di costituire un intervento conseguente alla crisi, rilevando che se la competenza per gli aiuti alle imprese – in via generale – è affidata allo Stato, lo shock dovuto agli effetti negativi delle chiusure, dell’incertezza, della mancanza di liquidità, non può costituire un limite giuridico agli aiuti economici erogabili dalle Amministrazioni diverse dallo Stato Persona.

In effetti, tra le misure adottate – in sede europea – a sostegno dell’economia dell’UE e dei diversi Stati membri viene fatta rientrare l’adozione di norme maggiormente flessibili in materia di aiuti di Stato: la Comunicazione della Commissione «Temporary framework for State aid measures to supportthe economy in the current COVID-19 outbreak – COM 2020/C 91 I/01», è volta proprio a consentire agli Stati membri di adottare misure di sostegno al tessuto economico «in deroga alla disciplina ordinaria sugli aiuti di Stato»: a fronte di un’epidemia di COVID-19 che comporta il rischio di una grave recessione dell’intera economia dell’UE, colpendo imprese, posti di lavoro e famiglie: «un sostegno pubblico adeguatamente mirato è necessario per garantire la disponibilità di liquidità sufficiente sui mercati, per contrastare i danni arrecati alle imprese sane e per preservare la continuità dell’attività economica durante e dopo l’epidemia di COVID-19… Le norme dell’UE in materia di aiuti di Stato consentono agli Stati membri di agire in modo rapido ed efficace per sostenere i cittadini e le imprese, in particolare le PMI, che incontrano difficoltà economiche a causa dell’epidemia di COVID-19».

Sostenere che i contributi COVID-19, erogati dalle Amministrazioni diverse dalla Stato, costituiscono “aiuti di Stato” sottratti alle loro competenze e funzioni fondamentali costituisce un’interpretazione che intende non vedere la loro funzione tipica di assistenza sociale, a fronte di una situazione emergenziale di portata planetaria, non rivestendo i contributi quel carattere di vantaggio economico selettivo, capace di alterare la concorrenza e le condizioni di parità delle imprese nel mercato comune, con il correlato obbligo di pronunciamento della Commissione Ue: la “Risposta n. 494” dell’Agenzie delle Entrate sul «trattamento fiscale dei contributi economici erogati una tantum dal Comune in favore di talune attività di impresa del proprio territorio, soggette a chiusura durante l’emergenza sanitaria determinata da COVID-19» dimostra una rappresentazione diversa, ovvero la piena legittimità dell’intervento.

[1] Cfr. Risoluzioni 17 giugno 2002, n. 193/E, e 4 agosto 2004, n. 108/E.

[2] LUCCA, Volontariato, erogazioni contributi e rimborsi spesa, trattamento fiscale, mauriziolucca.com, febbraio 2020.

[3] LUCCA – VENTURATO, Dl Anticrisi/5 – I contributi degli enti locali alle imprese non sono aiuti di Stato, quotidianoentilocali.ilsole24ore.com, 25 maggio 2020.