L’art. 12 della Legge n. 241/1990 stabilisce che «la concessione di sovvenzioni, contributi, sussidi ed ausili finanziari e l’attribuzione di vantaggi economici di qualunque genere a persone ed enti pubblici e privati» esige una misura preventiva di “trasparenza” con la determinazione ex ante dei criteri e delle modalità a cui attenersi per l’erogazione, indicando nel provvedimento il rispetto della citata misura e le norme regolamentari di riferimento, comunque sempre proiettate al perseguimento (mediato) dell’interesse pubblico, secondo i principi di sussidiarietà orizzontale (ex art. 118, ultimo comma, Cost.).
Nella sua essenzialità, la norma intende rendere in chiaro il processo di individuazione dei beneficiari, senza possibilità di interferenze e/o condotte arbitrarie, con l’esercizio di una discrezionalità tecnica fondata su regole certe e predefinite, a garanzia dell’imparzialità dell’azione amministrativa e dei principi di eguaglianza sostanziale di tutti i cittadini e le forme sociali di fronte alla legge (ex art. 97 e 3 Cost.).
La violazione delle regole procedimentali, l’assenza di pubblicità di sorta dell’iniziativa, il difetto di previa attività istruttoria di verifica della legittimazione del singolo richiedente, l’omessa valutazione della rilevanza sociale dell’intervento (il c.d. fine pubblico)[1], la mancata disamina di altre analoghe richieste di compartecipazione pervenute all’Amministrazione, costituiscono profili di violazione delle regole di condotta, potenzialmente idonee ad arrecare danno all’Amministrazione[2].
Le regole procedimentali predeterminate rientrano comunemente nella disciplina regolamentare attinente all’erogazione dei contributi (o di altre utilità, ad. utilizzo gratuito di spazi o comodati di beni pubblici), disposta dall’art. 12 della legge sul procedimento amministrativo, nel rispetto delle regole di contabilità e disponibilità delle risorse[3].
La violazione delle condotte elencate concretizzano l’elemento soggettivo del reato di abuso d’ufficio, per la violazione delle disposizioni legislative che disciplinano l’operato e i doveri del responsabile del procedimento nell’erogazione di contributi, rilevando che l’assenza di una valutazione comparativa e di pubblicità del bando (o avviso) di assegnazione concretizza una prassi contra legem, con conseguente abdicazione al dovere (rafforzato) di diligenza insito nella dovuta attività istruttoria[4].
La cangiante condotta e le circostanze fattuali che evidenziano una mancata pur minima valutazione dei potenziali beneficiari (elementi non riproducibili nell’onere motivazionale di un erogazione senza l’indicazione dei criteri di concessione dei benefici), appalesano – per tali ragioni –la sussistenza del requisito della doppia ingiustizia, significando come il beneficio patrimoniale accordato sia non iure, ossia non spettante secondo il diritto positivo, oltre ad essere scaturito da una violazione di legge[5].
Significativamente dei “rischi” di erogazioni, al di fuori dei parametri di legalità, l’art. 95 del D.P.R. n. 361, «Approvazione del testo unico delle leggi recanti norme per la elezione della Camera dei deputati», sanziona gli Enti pubblici, eccettuate le ordinarie erogazioni di istituto, che «nella settimana che precede la elezione e nella giornata della elezione effettua elargizioni di denaro, generi commestibili, oggetti di vestiario o altri donativi, a qualsiasi titolo», presupponendo ex lege che tali erogazioni (anche se riferite ad eventi calamitosi o sismici) perseguono scopi diversi da quelli istituzionali (rectius possibile voto di scambio).
A ben vedere, anche la Legge n. 3/2019 (c.d. Spazza – corrotti) dedica ampio spazio alla tracciabilità dei contributi ai partiti, movimenti e liste comunali (sopra i 15.000 abitanti), estendendo i limiti del finanziamento pubblico, impedendo di ricevere (art. 1, comma 12) contributi, prestazioni o altre forme di sostegno provenienti da governi o enti pubblici di Stati esteri e da persone giuridiche aventi sede in uno Stato estero non assoggettate a obblighi fiscali in Italia, nella consapevolezza che le erogazioni di contributi (e delle forme connesse) esigono una trasparenza rafforzata e stringenti limiti di legge.
Volendo non tanto decifrare la ratio normativa, si deve subito evidenziare che le erogazioni di contributi esigono regole predeterminate a garanzia sia di una loro proiezione verso un’utilità pubblica, sia di uno scopo utile alla Comunità e non ad un interesse del singolo privato (anche organizzato), privo (invero) di un aggancio generale, visto che il perseguimento del bene comune non può essere la sommatoria degli interessi privati: le regole svolgono un ruolo determinante nel processo decisionale in mancanza delle quali può insinuarsi l’arbitrio, venendo meno la funzionalità del fine pubblico.
La predeterminazione dei criteri di valutazione delle domande con cui si chiedono benefici pubblici costituisce una regola generale, valevole proprio per i procedimenti amministrativi concessivi di finanziamenti, posta:
- non soltanto a garanzia della par condicio tra i possibili destinatari delle sovvenzioni;
- ma anche a tutela dell’affidamento dei richiedenti i benefici.
Ed invero, sia la predeterminazione dei criteri, quanto la dimostrazione del loro rispetto da parte delle singole Amministrazioni in sede di concessione dei relativi benefici, sono rivolte ad assicurare la trasparenza dell’azione amministrativa e si atteggiano a principio generale, in forza del quale l’attività di erogazione della P.A. deve in ogni caso rispondere a referenti oggettivi, e, quindi, definiti prima della adozione di ogni singolo provvedimento[6].
A tale riguardo non deve ignorarsi, quindi, che la predeterminazione e pubblicazione dei criteri e modalità cui le Amministrazioni devono attenersi soddisfa l’esigenza di imparzialità dell’azione amministrativa[7], ed è, pertanto, illegittima la delibera giuntale di assegnazione di contributi e sovvenzioni[8]:
- in assenza di formulazione di alcun criterio che possa incidere sulla discrezionalità dell’Amministrazione, guidandola nell’individuazione dei soggetti destinatari delle sovvenzioni;
- in assenza di qualsiasi indicazione di come i criteri, desunti da indicazioni generiche, siano stati in concreto applicati, in aperta violazione dell’art. 12 della Legge 7 agosto 1990 n. 241, articolo che va inserito nel più generale processo di partecipazione amministrativa retta da criteri di economicità, di efficacia, di pubblicità e trasparenza (ex 1 della cit. legge)[9].
A rigore, la concessione di un contributo, come tutti i provvedimenti ampliativi in genere, specialmente trovanti copertura finanziaria in un assegnazione di somme nel piano esecutivo di gestione, ma anche solo previsti in bilancio negli appositi capitoli destinati alla contribuzione, sono provvedimenti amministrativi a tutti gli effetti, rientranti come tali nella competenza esclusiva del dirigente, devono essere preceduti da idonea pubblicizzazione (alias evidenza pubblica), dalla indicazione dei criteri di concessione che devono essere esaustivi e completi, devono essere sorretti da idonea motivazione (ex art. 3 della Legge n. 241/1990) che dia conto esaustivamente del perché e per come della specifica somma assegnata[10], oltre alla copertura della spesa.
Si può codificare la regola che è illegittima, per violazione dell’art. 12 della Legge n. 241 del 1990 e dell’obbligo sussistente in generale in capo a tutte le PP.AA., di non ricorrere a procedure competitive ogni qualvolta si tratti di assegnare beni pubblici suscettibili di sfruttamento economico e/o di produrre utilità economiche, nonché dei principi di trasparenza e di parità di trattamento, una deliberazione con la quale si è stabilito di assegnare in concessione – in via diretta, gratuitamente e senza il preventivo esperimento di una procedura di evidenza pubblica – in favore di una associazione alcuni beni, senza una predeterminazione dei criteri di assegnazione[11].
Giova, inoltre, osservare che tutte le erogazioni, al di là dei criteri predeterminati, devono perseguire un interesse pubblico prevalente e irritraibile, dovendo qualunque genere di intervento di natura economica da parte della P.A. (specie, se Amministrazione comunale), per poter essere eventualmente qualificato in termini di legittimità, necessariamente sottendere alla realizzazione di un significativo interesse pubblico di un determinato profilo o territorio, in relazioni alle attribuzioni istituzionali assolte o attribuite al soggetto erogante l’utilità (le c.d. finalità pubbliche)[12].
(Estratto, Trasparenza nell’erogazione di contributi pubblici, di contributi pubblici, ildirittoamminiatrativo.it, 15 maggio 2019, n. 5)
[1] La determinazione del “fine pubblico” rientra nel merito amministrativo nel valutare, con criteri di ragionevolezza, se le attribuzioni patrimoniali a terzi perseguano o meno i fini istituzionali, in considerazione dell’utilità che l’ente o la collettività ricevono dallo svolgimento dell’attività posta in essere dai soggetti che beneficiano dei contributi, Corte Conti, sez. controllo Lombardia, Delibere nn. 218, 248 e 262 del 2014, 79 e 121 del 2015.
[2] Corte Conti, sez. giurisdizionale Lombardia, 15 marzo 2011, n. 145.
[3] L’attribuzione di benefici pubblici, oltre alla valutazione del fine generale, deve rispondere al principio di congruità della spesa, Corte Conti, sez. contr. Lombardia, Delibere nn. 248/2014 e 121/2015.
[4] Cass. Pen., 21 maggio 2018, n. 22523.
[5] Cass. Pen., sez. VI, 17 febbraio 2015, n. 10133.
[6] T.A.R. Lazio, Roma, sez. III ter, 18 giugno 2012, n. 5575.
[7] Corte Conti, sez. controllo Veneto, delibera n. 336/2011.
[8] La violazione della procedura rende l’illegittimità non meramente formale ma discende dalla violazione di un principio fondamentale dell’attività amministrativa, Cons. Stato, sez. VI, 10 settembre 2009, n. 5440.
[9] T.A.R. Puglia, Lecce, sez. II, 2 febbraio 2002, n.572.
[10] T.A.R. Sicilia, Catania, sez. I, 17 giugno 2005, n. 1032.
[11] Cons. Stato, sez. V, 14 giugno 2017, n. 2914.
[12] Corte Conti, sez. controllo Piemonte, Deliberazione n. 7/2019/SRCPIE/PAR del 6 febbraio 2019, idem Deliberazione n. 30/2018, nel parere si precisa che il necessario profilo teleologico è, pertanto, anche idoneo ad escludere la concessione di contributi dal divieto di spese per sponsorizzazioni, interdetto alle Amministrazioni pubbliche, ex art. 6, comma 9, del Decreto Legge 31 maggio 2010, n. 78, e art. 4, comma 6, del Decreto Legge 6 luglio 2012, n. 95, convertito dalla Legge 7 agosto 2012, n. 135), che deve essere palesato in modo inequivoco nella motivazione del provvedimento.