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Articolo Pubblicato il 21 Ottobre, 2018

Il vincolo cimiteriale e la sanatoria degli abusi edilizi

Il vincolo cimiteriale e la sanatoria degli abusi edilizi

Il vincolo cimiteriale, previsto dall’art. 338 del Regio decreto 27 luglio 1934, n. 1265, limita in via assoluta la capacità edificatoria e legale del bene privato e non trova eccezioni di sorta, indipendentemente dal suo recepimento in strumenti urbanistici.

È noto che il vincolo cimiteriale, previsto dall’art. 338 del R.d. n. 1265/1934 (come modificato dapprima dall’art. 4 della Legge 30 marzo 2001, n. 130 e quindi dall’art. 28, comma 1, lettera a), della Legge 1° agosto 2002, n. 166), ha natura assoluta e si impone – in quanto limite legale – anche alle eventuali diverse e contrastanti previsioni degli strumenti urbanistici (Cons. Stato, sez. IV, 12 maggio 2014, n. 2405).

Elementari ragioni di coerenza sistematica impongono che la riduzione della fascia di rispetto cimiteriale è possibile solo a beneficio di ampliamenti del cimitero, e non per incrementare l’area di edificabilità privata poiché il vincolo comporta l’inedificabilità assoluta nella fascia dei 200 metri e trova applicazione diretta, come osservato, indipendentemente dalle previsioni dello strumento urbanistico: il vincolo di inedificabilità ex lege, si presenta in via diretta senza necessità di intermediazione da parte degli strumenti urbanistici locali, e anzi, anche in contrasto con essi, rilevando per la sua immediata applicazione che non richiede valutazioni in ordine alla concreta compatibilità dell’uso con i valori tutelati dal vincolo (Cons. Stato, sez. IV, 27 ottobre 2009, n. 6547 e 8 ottobre 2007, n. 5210).

Si evince, dal dettato normativo, che non può considerarsi edificabile un suolo rientrante nella zona di rispetto cimiteriale, ed assoggettato al relativo vincolo, trattandosi di limitazione legale della proprietà a carattere assoluto, direttamente incidente sul valore del bene e non suscettibile di deroghe di fatto, siccome riconducibile a previsione generale, concernente tutti i cittadini, in quanto proprietari di beni che si trovino in una determinata situazione, e perciò individuabili “a priori” (Cons. Stato, sez. IV, 22 novembre 2013, n. 5571).

Il vincolo preclude, altresì, il rilascio di titoli abilitativi, anche in sanatoria, senza necessità di compiere valutazioni in ordine alla concreta compatibilità dell’opera con i valori tutelati dal vincolo e sul carattere assoluto del vincolo di inedificabilità nascente dalla fascia di rispetto cimiteriale non incide neppure la circostanza della preesistenza o meno del vincolo all’esecuzione delle opere (T.A.R. Campania Napoli, sez. III, 4 aprile 2012, n. 1621)

Ciò posto, la sesta sezione del Consiglio di Stato, con la sentenza n. 5911 del 15 ottobre 2018, interviene per riaffermare che la potestà edilizia trova un limite nel vincolo cimiteriale che riduce l’edificazione all’interno di tale spazio territoriale.

Il fatto:

  • un privato acquista un bene immobile in area a vincolo di inedificabilità, in quanto ubicata nella fascia di rispetto cimiteriale, già oggetto di istanza di condono con riguardo ai locali abitabili realizzati nel volume al di sotto del terrazzo e manufatti accessori;
  • le opere abusive consistevano nella trasformazione della preesistente tettoia-pergolato in veranda, nell’installazione di tenda da sole su struttura fissa e di un manufatto in legno appoggiato al suolo, quale accessorio dell’unità principale (il tutto superiore al 10 % del volume esistente della singola unità abitativa);
  • il Comune respingeva la richiesta di condono, sia del precedente che del riesame del nuovo proprietario (con atto di conferma dell’originario diniego) con obbligo di demolizione;
  • il Tribunale Amministrativo Regionale per la Liguria, con sentenza n. 1938 del 2011, confermava la correttezza dell’operato dell’Amministrazione resistente.

Il Collegio di secondo grado, confermando il giudicato di prime cure, evidenzia che l’ordine demolitorio trova autonomo fondamento giuridico nella norma speciale che prescrive il vincolo c.d. “cimiteriale” definito nell’art. 338 del Regio decreto 27 luglio 1934, n. 1265 («Approvazione del testo unico delle leggi sanitarie»), ove trovano spazio sia i limiti assoluti («È vietato costruire intorno ai cimiteri nuovi edifici…») che quelli relativi:

  1. per interesse pubblico, «Il consiglio comunale può approvare, previo parere favorevole della competente azienda sanitaria locale, la costruzione di nuovi cimiteri o l’ampliamento di quelli già esistenti… Per dare esecuzione ad un’opera pubblica o all’attuazione di un intervento urbanistico…»;
  2. per interesse privato, «All’interno della zona di rispetto per gli edifici esistenti sono consentiti interventi di recupero ovvero interventi funzionali all’utilizzo dell’edificio stesso…» (comma quest’ultimo così sostituito dall’articolo 28, comma 1, lettera b), della Legge 1 agosto 2002, n. 166).

Il Collegio d’appello richiama, inoltre, la consolidata giurisprudenza riferita al vincolo cimiteriale:

1. il vincolo ha carattere assoluto e non consente in alcun modo l’allocazione sia di edifici, sia di opere incompatibili con il vincolo medesimo, in considerazione dei molteplici interessi pubblici che la fascia di rispetto intende tutelare quali:

  • le esigenze di natura igienico sanitaria;
  • la salvaguardia della peculiare sacralità che connota i luoghi destinati alla inumazione e alla sepoltura;
  • il mantenimento di un’area di possibile espansione della cinta cimiteriale (Cons. Stato, sez. VI, 9 marzo 2016, n. 949; sez. IV, 22 novembre 2013, n. 5571, 20 luglio 2011, n. 4403, 16 marzo 2011, n. 1645, 27 ottobre 2009, n. 6547, 8 ottobre 2007, n. 5210; sez. V, 14 settembre 2010, n. 6671);

2. il vincolo, d’indole conformativa, è sganciato dalle esigenze immediate della pianificazione urbanistica, nel senso che esso si impone ex se, con efficacia diretta, indipendentemente da qualsiasi recepimento in strumenti urbanistici, i quali non sono idonei, proprio per la loro natura, ad incidere sulla sua esistenza o sui suoi limiti (Cons. Stato, sez. IV, 22 novembre 2013, n. 5544);

3. la situazione di inedificabilità prodotta dal vincolo è suscettibile di venire rimossa solo in ipotesi eccezionali e comunque solo per considerazioni di interesse pubblico, in presenza delle condizioni specificate nell’art. 338, quinto comma;

4. l’art. 338, quinto comma, non presidia interessi privati e non può legittimare interventi edilizi futuri su un’area indisponibile per ragioni di ordine igienico-sanitario, nonché per la sacralità dei luoghi di sepoltura, rilevando che i singoli proprietari possono effettuare solo gli interventi di cui al settimo comma (Cons. Stato, sez. VI, 27 luglio 2015, n. 3667);

5. solo il Consiglio comunale – non su istanza di singoli cittadini, ma per ragioni di interesse pubblico – può intervenire per ridurre l’ampiezza della fascia di rispetto cimiteriale;

6. per le decisioni da assumere su eventuali istanze di autorizzazione edilizia, anche in sanatoria, vale il riparto generale di (riserva di) “competenza”, che assegna ai dirigenti gli ordinari atti di gestione, ex art. 107 del D.Lgs. n. 267/2000, come peraltro ribadito, in materia di sanatoria, dal terzo comma dell’art. 36 d.P.R. n. 380/2001 (Cons. Stato, sez. VI, 4 luglio 2014, n. 3410).

Ne consegue che, all’interno della zona a vicolo cimiteriale, il privato può effettuare per gli edifici esistenti (settimo e ultimo comma dell’art. 338):

  1. solo interventi di recupero;
  2. interventi funzionali all’utilizzo dell’edificio stesso;
  3. l’ampliamento nella percentuale massima del 10 per cento;
  4. i cambi di destinazione d’uso, oltre a quelli previsti dalle lettere a), b), c) e d) del primo comma dell’articolo 31 della Legge 5 agosto 1978, n. 457, «Norme per l’edilizia residenziale» (a) interventi di manutenzione ordinaria; b) interventi di manutenzione straordinaria; c) interventi di restauro e di risanamento conservativo; d) interventi di ristrutturazione edilizia).

Alla luce delle proiezioni normative, il limite della percentuale di ampliamento va riferito non all’intero edificio ma alla singola unità abitativa, per evitare da una parte, a ciascun proprietario di realizzare sulla singola unità abitativa l’incremento percentuale assoluto eccedente rispetto alla potenzialità dell’intero edificio, dall’altra, il risultato di privare gli altri proprietari, che non hanno usufruito prima della quota percentuale, di analoga facoltà di richiedere l’ampliamento volumetrico.

In termini diversi, per evitare facili elusioni della suddetta prescrizione, in caso di proprietà divisa, ove fosse consentito a ciascun proprietario di realizzare sulla singola unità abitativa l’incremento percentuale assoluto, si otterrebbe il risultato alternativo e non coincidente:

  1. di ammettere, in relazione all’edificio, complessivamente considerato, un ampliamento eccedente la percentuale ammessa;
  2. di privare gli altri proprietari di analoga facoltà.

Il risultato finale detrae il principio secondo il quale il singolo condomino sia legittimato a chiedere l’ampliamento volumetrico nei soli limiti percentuali calcolati in relazione alle dimensioni della propria unità immobiliare.

Le ipotesi possibili, nel concreto, appaiono così formulate:

  1. istanza proposta congiuntamente da tutti i proprietari, con progetto relativo all’intero immobile;
  2. istanza del singolo condomino corredata con un atto d’obbligo (tradizionalmente qualificato in termini di servitù obbligatoria, prevista dall’art. 2643, n. 2 bis, c.c., di contratto che trasferisce o modifica i «diritti edificatori comunque denominati, previsti da normative statali o regionali, ovvero da strumenti di pianificazione territoriale») degli altri comproprietari.

La sentenza termina soffermandosi sui poteri istruttori del giudice amministrativo che non potrebbero essere esercitati:

  1. non soltanto sulla base del sapere privato del giudice;
  2. ma anche con riferimento a fatti non allegati dalle parti, non acquisiti al processo in modo rituale, nonché contro la volontà delle parti di non servirsi di detta prova;
  3. mentre, in presenza di una prova piena già acquisita, non potrebbe il Giudice d’ufficio ammettere una prova diretta a sminuirne la pregnanza.

Se, quindi, è dimostrato in giudizio (caso di specie) che l’ampliamento supera il limite percentuale indicato dall’art. 338, ultimo comma, del T.U.L.S., e il privato non ha allegato alcuna prova a supporto delle proprie contrarie affermazioni, l’abuso non può essere sanato in area sottoposta a vincolo cimiteriale.