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Articolo Pubblicato il 17 Agosto, 2020

Impianti di illuminazione pubblica, affidamento diretto e violazione della concorrenza

Impianti di illuminazione pubblica, affidamento diretto e violazione della concorrenza

La sez. VI del Consiglio di Stato, con la sentenza 23 luglio 2020 n. 4715 (est. Cons. Maggio), si sofferma sugli affidamenti mediante procedura negoziata senza pubblicazione del bando, e sulla pretesa aspettativa di acquisire i lavori senza gara in ragione di un diritto di esclusiva tecnica inesistente, a fronte della realizzazione di “efficientemente energetico” dell’illuminazione pubblica (in parte di proprietà privata dell’operatore esecutore dei lavori).

La questione nello sfondo si presenta, a volte, come una proposta di finanza di progetto, dove in funzione dei risparmi energetici (basati su discutibili e oscure formule matematiche) si realizza il rinnovo delle linee di illuminazione pubblica, pagando esclusivamente un canone di ammortamento (o concessorio), con affidamenti senza gara sulla base di un know how non reperibile sul mercato (sic!), riversando – al termine del periodo di concessione – con un patrimonio (riscattato) da riammodernare (a nuovo) e con una lievitazione dei costi di esercizio e dei consumi (delineando nel concreto alcuna convenienza, se non nell’immediato: nessun investimento e una spesa fluttuante).

La sentenza fa chiarezza della procedura con la quale si pretenderebbe di ammodernare risparmiando gli impianti di illuminazione, di fatto eludendo le procedure di scelta del contraente, senza un reale confronto e senza una effettiva convenienza economica.

La vicenda parte da un ricorso dell’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato contro un’Amministrazione locale e nei confronti di un operatore economico di settore «concernente la mancata conformazione al parere dell’Autorità in ordine all’acquisizione di impianti di illuminazione e alla procedura negoziata per loro riqualificazione».

In punto di fatto, l’Amministrazione con deliberazione consiliare disponeva l’acquisizione al proprio patrimonio degli impianti di illuminazione pubblica di proprietà dell’operatore economico esistenti nel territorio comunale e al contempo affidava allo stesso, mediante procedura negoziata senza previa pubblicazione del bando, i lavori di riqualificazione e di c.d. spromiscuamento di parte degli impianti acquisiti, in violazione con le indicazioni dell’AGCM sull’esigenza di garantire la concorrenza.

L’Amministrazione, invero, confermava «mediante procedura negoziata senza previa pubblicazione del bando, stabilendo, però, il differimento dell’acquisizione degli impianti oggetto dei lavori a un momento successivo al completamento degli stessi, nonché l’acquisizione, per accordo bonario, degli impianti esclusi dal perimetro dell’intervento».

La questione, al di là degli aspetti procedurali e del potere d’intervento dell’Autorità di vigilanza in relazione e la mancata conformazione dell’Amministrazione al parere espresso, ex art. 21 bis, comma 2, della legge n. 287 del 1990, è di interesse in quanto pone in chiaro una condotta anticoncorrenziale e i suoi limiti, dovendo privilegiare la consultazione del mercato, che oltre ad assicurare la par condicio garantisce l’individuazione del migliore offerente.

Correlato a tale obbligo di scelta tra più soggetti, rientra anche la facoltà della P.A. di non aggiudicare la gara qualora ritenga che le offerte non siano idonee o economicamente convenienti, rilevando che la mancata aggiudicazione della gara non deriva da vizi inficianti gli atti predisposti, nè da una rivalutazione dell’interesse pubblico, ma da una negativa valutazione delle offerte che, pur formalmente rispondenti ai requisiti della lex specialis di gara, non appaiono idonei a soddisfare gli obiettivi perseguiti con quella determinata procedura, con l’ulteriore osservazione, sempre in relazione al miglior offerente, che il RUP può decidere, a seguito dell’esclusione dalla gara dell’aggiudicatario e di altro partecipante, di non assegnare l’appalto all’unico operatore economico rimasto in gara proprio perché ha giudicato non conveniente l’offerta dallo stesso presentata in termini di convenienza, ex art. 81, comma 3, del d.lgs. 12 aprile 2006, n. 163 (abrogato), ora art. 95, comma 12 del d.lgs. n. 50/2016[1].

Dunque i profili di rilievo sono riassumibili:

  • l’affidamento senza gara non potrebbe trovare giustificazione nel fatto che l’operatore economico si avvalga di tecnologie su cui vanta un diritto di privativa industriale, atteso che ciò potrebbe legittimare una limitazione della concorrenza solo laddove si fosse in presenza di un prodotto con caratteristiche tecniche infungibili, non surrogabili da tecnologie alternative in grado di assicurare le medesime funzionalità, in base al principio di equivalenza, ex 68, del d.lgs. n. 163/2006 e art. 68 del d.lgs. n. 50/2016;
  • nemmeno si potrebbe vantare un affidamento diretto la circostanza che l’operatore economico sia titolare di un contratto per la gestione e la manutenzione degli impianti di illuminazione su tutto il territorio comunale, attesa l’anomalia derivante dal fatto che quest’ultimo, pur essendo gestore e manutentore da tempo non abbia mai proceduto all’adeguamento degli impianti di che trattasi;
  • l’utilizzo della procedura negoziata senza previa pubblicazione del bando (ex 57, comma 2, lettera b) del d.lgs. n. 163 del 2006, applicabile alla fattispecie ratione temporis) sarebbe consentito solo qualora la sussistenza dei presupposti per farvi ricorso siano chiari a priori, non invece laddove sia occorsa una profonda e complessa indagine comparativa di mercato per giungere a una siffatta scelta[2];
  • la valutazione della convenienza, dal punto di vista tecnologico ed economico, rispetto a quello di altri operatori del mercato, deve avvenire nella sede naturale per compiere tali valutazioni comparative, ovvero quella della gara pubblica;
  • non è giustificato il ricorso ad una procedura senza gara in relazione ad un presunto “diritto esclusivo” dell’operatore economico derivante dal fatto di essere proprietario degli impianti da ammodernare;
  • la previsione di acquistare la proprietà degli impianti da ammodernare solo a conclusione di tali lavori e non più in via preventiva, costituirebbe un mezzo per eludere la corretta applicazione delle regole in materia di contratti pubblici e di affidamento dei servizi pubblici locali («costituisce un chiaro escamotage per eludere l’applicazione delle regole sulla gara pubblica»), visto che, in base a tali regole, l’Amministrazione avrebbe dovuto, anzitutto, procedere all’acquisto (bonario o tramite la procedura di riscatto) di tutti gli impianti di illuminazione pubblica per poi procedere, alla scadenza della convenzione con l’operatore economico per la gestione degli impianti, all’affidamento del servizio in conformità al dettato legislativo che prevedrebbe, in caso di ricorso al mercato, o l’obbligatorio utilizzo di una delle forme di aggregazione imposte agli Enti locali non capoluogo di provincia (all’epoca dei fatti) l’adesione alla relativa convenzione CONSIP;
  • laddove gli impianti di illuminazione fossero in parte di proprietà privata e in parte di proprietà pubblica occorrerebbe sempre la gara.

In definitiva, il quadro emerso porta a ritenere che l’intento dell’Amministrazione, applicando in via analogica i criteri interpretativi di cui agli artt. 1362 – 1365 cod. civ.[3], sia stato quello di aggirare le norme sulla concorrenza (senza affrontare un ulteriore aspetto di responsabilità inerente il c.d. danno alla concorrenza, oppure quello della c.d. perdita di chance)[4] atteso che:

  • in un primo momento la P.A. aveva stabilito di acquisire gli impianti dall’operatore economico e di affidare a questi in via diretta i lavori di riqualificazione;
  • in un secondo momento, solo a seguito dei rilievi mossi dall’Autorità in ordine alla violazione delle norme sulla concorrenza che da tale modus agendi sarebbe derivata, ha stabilito di modificare l’ordine delle operazioni prevedendo prima lo svolgimento dei lavori e successivamente l’acquisizione degli impianti (diversamente opinando, diverrebbe difficilmente, annota il giudice di seconde cure, giustificare l’ingente esborso di risorse pubbliche per lavori che riguardano beni di proprietà privata).

La vicenda affronta una tematica inerente la violazione delle regole dell’evidenza pubblica, in altri termini, si può dire che la garanzia della legalità, trasparenza, efficacia ed efficienza dell’azione dei pubblici poteri è connessa e funzionale alla tutela della concorrenza in tutti quei mercati contraddistinti dalla presenza di operatori pubblici, in quanto la legalità del loro agere adiuva la formazione, il consolidamento ed il miglioramento di un mercato concorrenziale: ciò che si richiede è che l’azione amministrativa sia improntata al rispetto dei principi di trasparenza ed imparzialità e, quindi, conformata ai canoni della concorsualità, che a livello comunitario equivale a concorrenza[5].

Ne discente che la disciplina del procedimento di scelta del contraente, finalizzata alla stipulazione dei contratti della Pubblica Amministrazione, attiene, principalmente, alla materia della tutela della concorrenza di competenza legislativa esclusiva dello Stato[6], la cui violazione non solo è lesiva della concorrenza tra gli operatori economici che instaurano rapporti contrattuali con la Pubblica Amministrazione ma nel contempo anche dei principi di legalità, imparzialità e buon andamento recati dall’art. 97 Cost., che devono informare l’azione amministrativa nel settore delle opere e dei lavori pubblici[7].

[1] T.A.R. Lazio, Roma, sez. III stralcio, 3 luglio 2020, n. 7653. Il giudizio di non idoneità e/o non convenienza dell’offerta in relazione all’oggetto del contratto concerne necessariamente la valutazione complessiva dell’offerta (nella sua interezza) come non rispondente alle esigenze della stazione appaltante, mentre non può giammai avere ad oggetto il (ri)apprezzamento di profili dell’offerta che siano già stati oggetto di valutazione da parte dello specifico organo a ciò deputato, T.A.R. Piemonte, sez. I, 7 febbraio 2019, n. 152, idem, T.A.R. Veneto, sez. I, 7 gennaio 2019, n. 20.

[2] I presupposti fissati dalla legge ai fini dell’ammissibilità della procedura negoziata senza pubblicazione di un bando di gara per la stipula di un contratto relativo a lavori, forniture e servizi pubblici, prevista dall’art. 57 del d.lgs. n. 163/2006 (ora art. 63 del d.lgs. n. 50/2016), devono essere accertati con il massimo rigore e non sono suscettibili di interpretazione estensiva atteso che tale procedura rappresenta un’eccezione al principio generale della pubblicità e della massima concorsualità tipica della procedura aperta, Cons. Stato, sez. III, 30 aprile 2019, n. 2787; 18 gennaio 2018, n. 310; sez. V, 13 giugno 2016, n. 2529 e 7 giugno 2016, n. 2425.

[3] Cons. Stato, sez. VI, 24 settembre 2019, n. 6378.

[4] Si tratta di una lesione degli interessi dei partecipanti alla gara dovuta all’acquisizione di quote di mercato, quanto alla perdita della possibilità, per la P.A. di scegliere tra le migliori offerte, con conseguente depauperamento di risorse pubbliche, Corte Conti, sez. I giurisdizionale centrale appello, 21 agosto 2019, n. 175.

[5] Corte Conti, sez. giurisdizionale Campania, sentenza n. 141/2013.

[6] Corte Cost., sentenza n. 401/2007.

[7] Corte Conti, sez. II giurisdizionale centrale appello, sentenza n. 130/2013.