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Articolo Pubblicato il 29 Luglio, 2023

La dilazione e la rinuncia al credito tributario non rientrano nella disponibilità dell’Ente locale

La dilazione e la rinuncia al credito tributario non rientrano nella disponibilità dell’Ente locale

La sez. controllo Campania, della Corte dei conti, con la delibera n. 230 del 19 luglio 2023, interviene per riaffermare l’impossibilità della rinuncia (dilazione) da parte dell’Ente locale alle sanzioni e agli interessi sui tributi locali, anche in presenza di forza maggiore.

La richiesta di parere, verteva sulla possibilità di transare o dilazionare la pretesa dei tributi locali (accertamenti esecutivi IMU e TARI, anni dal 2018 al 2021) in presenza da una parte, della crisi pandemica da Covid – 19 (formalmente riconosciuta quale evento eccezionale e di grave turbamento dell’economia, ex art. 56 del DL n. 18/2020), dall’altra parte, dell’aumento generale dei prezzi delle materie prime e dei prodotti agroalimentari, causato dal conflitto in Ucraina.

Preliminare

La Corte premette che il quesito non regge sulla lettura di una norma di contabilità pubblica, quanto di una condotta che l’ente intenderebbe assumere – in via temporanea – per venire incontro ai cittadini, a fronte di eventi del tutto eccezionali, quali la crisi pandemica e quella energetica, collegata all’irreperibilità delle materie prime e della questione “Ucraina”: una dilazione e rinuncia alla riscossione del credito tributario con effetti (non incerti) che si potrebbero riverberare negli equilibri di bilancio.

Le norme emergenziali e gli orientamenti giurisprudenziali

La Corte richiama le fonti normative derogatorie e la giurisprudenza sul quesito:

  • il comma 1, dell’art. 52 e 59 del d.lgs. n. 446/1997, sulla possibilità dei Comuni di disciplinare con regolamento le proprie entrate, anche tributarie, con l’individuazione e definizione delle fattispecie imponibili, dei soggetti passivi e della aliquota massima dei singoli tributi, nonché la potestà di rateizzazione in materia di imposta comunale sugli immobili (possibilità riaffermata nella successiva disciplina, di riforma dei tributi, IMU);
  • la disciplina per far fronte alle difficoltà economiche in cui può trovarsi il contribuente (ex19 del DPR n. 602/1973, Disposizioni sulla riscossione delle imposte sul reddito; la rottamazione delle cartelle esattoriali, ai sensi della legge n. 197/2022; il ravvedimento operoso);
  • gli atti normativi adottati nel periodo della pandemia (l’art. 67 del D.L. n. 18/2020, Misure di potenziamento del Servizio sanitario nazionale e di sostegno economico per famiglie, lavoratori e imprese connesse all’emergenza epidemiologica da COVID – 19, sulla sospensione dei termini relativi alle attività di liquidazione, di controllo, di accertamento, di riscossione e di contenzioso, da parte degli uffici degli enti impositori, ivi compresi quelli degli enti locali, compreso il successivo art. 68 sulla sospensione dei termini dei versamenti derivanti dalle cartelle di pagamento emesse dagli agenti della riscossione, nonché dagli avvisi, ed il successivo c.d. decreto sostegni – bis che ha differito i termini di sospensione);
  • la Risoluzione MEF n. 5/DF, prot. n. 14159 dell’8 giugno 2020, Differimento dei termini di versamento dei tributi locali – Emergenza epidemiologica Covid-19 – Quesiti, ove è stato chiarito che «la riscossione non rientra fra le materie sottratte all’autonomia dei comuni dal citato art. 52 del D.Lgs. n. 446 del 1997, è l’ente locale stesso che, nel proprio regolamento, può disciplinare le modalità di riscossione, ivi comprese quelle relative al differimento dei termini di versamento», con la sottolineatura che «limitatamente alla quota Comune, nonché alla quota Stato in sede di accertamento, non sembra prospettabile la possibilità da parte del Comune di rinunciare integralmente alle sanzioni, poiché sono coperte dalla riserva di legge»;
  • l’ordinanza del Consiglio di Stato n. 4989 del 28 agosto 2001 (citata nella risoluzione del MEF n. 8/DPF del 30 luglio 2002), ove si statuisce espressamente che «il principio della potestà regolamentare dei comuni e delle province è di ordine generale. In materia di accertamento e riscossione dei tributi, (art. 52 del D.lgs. n. 446/1997), trova un limite solo nelle materie costituzionalmente coperte da riserva di legge (sanzioni, procedure contenziose, casi di prelievo obbligatorio non attribuito alla fiscalità locale)»;
  • la Relazione tematica n. 56 del luglio 2020, pubblicata dall’Ufficio del Massimario e del Ruolo della Corte Suprema di Cassazione, Novità normative sostanziali del diritto “emergenziale” anti-Covid 19 in ambito contrattuale e concorsuale, dove al paragrafo 4, Inadempimento della prestazione e impotenza finanziaria, si annota che «Pur nel quadro costituzionale del principio solidaristico, il concetto di impossibilità della prestazione non ricomprende, infatti, la c.d. impotenza finanziaria, per quanto determinata dalla causa di forza maggiore in cui si compendia l’attuale emergenza sanitaria. Il principio non scalfito rimane quello che nega all’impotenza in questione, sebbene incolpevole, una vis liberatoria del debitore dall’obbligazione pecuniaria»;
  • gli orientamenti della sez. VI, della Cass., nell’affermare che «costituisce oramai ius receptum, nella giurisprudenza di legittimità, il principio per cui “In materia tributaria e fiscale, la nozione di forza maggiore richiede la sussistenza di un elemento oggettivo, relativo alle circostanze anormali ed estranee all’operatore, e di un elemento soggettivo, costituito dall’obbligo dell’interessato di premunirsi contro le conseguenze dell’evento anormale, adottando misure appropriate senza incorrere in sacrifici eccessivi, dovendo la sussistenza di tali elementi essere oggetto di idonea indagine da parte del giudice, sicché non ricorre in via automatica l’esimente in esame nel caso di mancato pagamento dovuto alla temporanea mancanza di liquidità»[1];
  • da cui discende che «Le difficoltà finanziarie del contribuente non rientrano nella nozione di “forza maggiore”, quale forza esterna che determina la persona, in modo inevitabile, a compiere un atto non voluto ai fini della non applicabilità delle sanzioni»[2].

L’obbligazione tributaria

La peculiarità della obbligazione tributaria si manifesta come un vincolo giuridico di diritto pubblico tra il contribuente (titolare di una situazione giuridica soggettiva passiva) e l’ente impositore (titolare di una situazione giuridica soggettiva attiva) che sorge al verificarsi del presupposto previsto dalla legge che istituisce il tributo, laddove le sanzioni tributarie costituiscono la reazione dell’ordinamento in caso di mancato rispetto dell’obbligo imposto.

Ne deriva nella sua essenzialità che:

  • la potestà tributaria è una potestà vincolata, e non discrezionale, quindi, sottratta alla disponibilità dell’Ente locale, il quale non può disporre la rinuncia con una propria norma regolamentare, neppure prevedendo agevolazioni o esenzioni a categorie di soggetti, escludendo – in ogni caso – provvedimenti di ravvedimento transattivo per ridurre l’ammontare del dovuto[3];
  • il rispetto del principio di legalità, esige la presenza di una fonte primaria relativamente alla prestazione tributaria, in adesione al canone costituzionale dell’art. 23, secondo il quale nessuna prestazione personale o patrimoniale può essere imposta se non in base alla legge.

In questo senso, si ritiene che operi la c.d. “indisponibilità del credito tributario” poiché la mancata riscossione del gettito:

  • comporterebbe un pregiudizio per gli interessi dell’ente impositore, nel senso di impedire la capacità di consentire il perseguimento delle finalità istituzionali, assicurare i servizi alla comunità, garantire l’attività amministrativa e raggiungere l’equilibrio economico-finanziario dell’Ente [4];
  • si porrebbe in contrasto con l’esigenza di assicurare il giusto e congruo riparto dei carichi pubblici da parte della generalità dei contribuenti, sia pure in ragione della capacità contributiva, ex 53 Cost.[5].

Osservazioni extra parere

Invero, l’art. 119 Cost. impedisce che lo Stato si appropri di risorse, costringendo gli enti (regioni o enti locali) a rinvenire i fondi necessari nell’ambito del proprio bilancio, per assolvere le funzioni affidate: l’omissione del legislatore statale del trasferimento di risorse, rectius di negoziare la prestazione tributaria, lede l’autonomia di spesa degli enti (ex art. 119, primo comma, Cost.), perché la necessità di trovare risorse per eventuali nuove funzioni comprime inevitabilmente le scelte di spesa relative alle funzioni preesistenti, e si pone, altresì, in contrasto con il principio di corrispondenza tra funzioni e risorse, ricavabile dall’art. 119, quarto comma, Cost.[6].

L’autonomia finanziaria costituzionalmente garantita agli Enti territoriali non comporta una rigida garanzia quantitativa e che le risorse disponibili possono subire modifiche, anche in diminuzione; tuttavia, le riduzioni non devono comunque rendere difficile, o addirittura impossibile, lo svolgimento delle funzioni attribuite, specie ove si ammettesse, senza copertura legislativa, la disponibilità della potestà tributaria[7].

L’esigenza di fornire un’adeguata provvista finanziaria risulta, inoltre, particolarmente significativa avuto riguardo alla posizione dei Comuni di piccole dimensioni, che, a seguito dell’assegnazione di nuove funzioni in mancanza dell’attribuzione di risorse adeguate, rischiano di subire l’attivazione delle procedure di dissesto[8], confermando a contrario l’inevitabile indisponibilità della rinuncia alla riscossione dei tributi e la connessa natura vincolata dell’azione amministrativa in materia tributaria (alias riscossione)[9].

L’approdo è coerente con gli orientamenti della Corte[10] quando afferma che la materia tributaria, come sancito dall’art. 23 della Costituzione, è coperta da riserva di legge, da intendersi come riserva “relativa”, nel senso che opera per le norme impositive in senso stretto (quelle che regolano l’an e il quantum della prestazione), potendo la legge ordinaria assegnare a fonti di rango inferiore l’integrazione di aspetti secondari della disciplina.

Al pari delle norme impositive, anche le norme di agevolazione tributaria, sono sottoposte alla riserva relativa di legge di cui all’art. 23 Cost., in quanto realizzano un’integrazione degli elementi essenziali del tributo[11].

Il principio di legalità

Fatte queste premesse della tela normativa, si deve affermare che non sia possibile negoziare, da parte dello Stato e degli altri Enti pubblici che operano quali enti impositori, la rinuncia a tributi o di accordare ai singoli esenzioni o agevolazioni non previste dalla legge, anche dopo la riforma del Titolo V Cost., per i tributi ed entrate propri di Regioni e Autonomie: il principio dell’indisponibilità dell’obbligazione tributaria risulta derogabile, nel nostro ordinamento, soltanto in forza di disposizioni di legge eccezionali (come tali da interpretarsi restrittivamente) che, nel rispetto del principio di legalità e operando un bilanciamento fra esigenze contrastanti, sacrificano gli interessi tutelati dagli articoli 53 e 97 della Costituzione, in favore di altri interessi, costituzionalmente garantiti, di rango pari o superiore[12].

Le sanzioni tributarie devono sottostare al principio di legalità (riserva di legge), che prevede la tassatività dei fatti illeciti, il divieto di analogia, la irretroattività e favor rei[13].

L’insieme della esegesi porta a confermare l’indisponibilità della prestazione (obbligazione) tributaria, anche sotto l’aspetto sanzionatorio, derogabile solo in forza di disposizioni di legge eccezionali, ossia in presenza di una fonte primaria, rendendo del tutto estranei (privi di potestà) gli enti impositori dalla facoltà di rinunciare a tributi o di accordare ai singoli esenzioni o agevolazioni non previste dalla legge[14].

L’impossibilità di ricorrere ad una transazione

Da ultimo, si evidenzia che un’eventuale dilazione di pagamento, con rinuncia alle sanzioni, si configurerebbe come una transazione, i cui parametri valutativi nel caso di un soggetto pubblico sono decisamente più ristretti e maggiormente, se non quasi esclusivamente, ancorati a risparmi di spesa (sia gestionali che per contenziosi), a tutela delle casse pubbliche e della collettività che vi contribuisce finanziariamente, rendendo del tutto evanescente la strada della transazione per rinunciare ad un credito a fronte di alcuna controprestazione (salvo alcune recenti aperture a fronte di un accordo con aziende in crisi)[15].

La transazione nella sua natura consiste in reciproche concessioni funzionali alla possibilità di creare, modificare o estinguere anche rapporti diversi da quello che ha formato oggetto della pretesa e della contestazione delle parti: il credito tributario che non può formare oggetto di un accordo, anche a fronte di una lite sull’an e il quantum: un evidente limite alla stipulazione, mancando la legittimazione soggettiva e la disponibilità dell’oggetto.

Si rimarca, sotto quest’ultimo profilo, nell’esercizio dei propri poteri pubblicistici, l’attività degli Enti territoriali è finalizzata alla cura concreta di interessi pubblici e, quindi, alla migliore cura dell’interesse intestato all’Ente che consiste nella riscossione dei tributi e delle relative sanzioni, non potendo i negozi giuridici conclusi con i privati condizionare l’esercizio del potere dell’Amministrazione pubblica sia rispetto alla miglior cura dell’interesse concreto della comunità amministrata, sia rispetto alla tutela delle posizioni soggettive di terzi, secondo il principio di imparzialità dell’azione amministrativa e dell’indisponibilità del potere di rinuncia.

Un ente pubblico non gode di un arbitrio transattivo, riconoscibile ad un privato[16], ma deve pur sempre avere come parametro l’equilibrio di bilancio che impone una attenta e oculata valutazione delle poste in transazione, questo soprattutto a fronte dell’obbligazione tributaria, che postula il necessario e doveroso rispetto di regole che si pongono a presidio di garanzie costituzionali di buon andamento e di integrità delle finanze pubbliche che esprimono tutela finale dei diritti dei contribuenti e dei cittadini tutti[17]: l’indisponibilità del credito tributario, la cui mancata riscossione è fonte di responsabilità erariale[18].

(pubblicato, lentepubblica.it, 25 luglio 2023)

[1] Cass., n. 39548/2021; Ord. n. 36532/2022; Cass., n. 27416/2020.

[2]  Cass., sez. VI, 1° dicembre 2022, n. 35360.

[3] Cass., 27 febbraio 1979, n. 1276.

[4] Cfr. Corte cost., sentenza n. 71/2023, ove si chiarisce che con il federalismo fiscale, ai sensi della legge n. 42/2009, si raggiunge il finanziamento delle spese relative alle funzioni fondamentali dei Comuni, e dei livelli essenziali delle prestazioni eventualmente da esse implicate, assicurato dai tributi propri, da compartecipazioni al gettito di tributi erariali e regionali, da addizionali a tali tributi, la cui manovrabilità è stabilita tenendo conto della dimensione demografica dei Comuni per fasce, e dal fondo perequativo, consentendo di finanziare interamente le funzioni pubbliche attribuite, Corte cost., sentenza n. 71/2023. In effetti risulta incostituzionale il trasferimento di funzioni ai Comuni senza previsione delle necessarie risorse, Corte cost., 17 aprile 2023, n. 73.

[5] Cfr. Corte cost., sentenza n. 90 del 2018, ove si afferma che i crediti tributari hanno una marcata connotazione di specialità in ragione dello stretto rapporto di derivazione dal precetto dell’art. 53, primo comma, Cost., i quali vanno ad alimentare la finanza pubblica perché sia assicurato il prescritto equilibrio di bilancio tra entrate e spese, elevato a vincolo costituzionale dalla legge costituzionale 20 aprile 2012, n. 1, Introduzione del principio del pareggio di bilancio nella Carta costituzionale.

[6] Corte cost, sentenza n. 137 del 2018.

[7] Corte cost., sentenza n. 155 del 2020.

[8] Corte cost., sentenza n. 135 del 2020.

[9] Corte conti, sez. contr. Lombardia, deliberazione n. 140 del 9 maggio 2018, dove si ammette che l’ICI/IMU è, un’entrata di natura tributaria, un’obbligazione avente ad oggetto le somme dovute in ragione del detto tributo, nonché all’obbligazione relativa agli interessi maturati sulle medesime somme, attesa la natura accessoria di detta obbligazione rispetto a quella principale (Cass. civ., SS.UU., 22 ottobre 2003, n. 15808), dovendo ritenere che la previsione dell’obbligazione tributaria si concretizzi in disposizioni imperative, vincolanti sia per i soggetti passivi del tributo che per l’Ente impositore, senza margini di discrezionalità nel necessario esercizio della loro riscossione: nessuna facoltà di rinuncia a tributi o di accordo ai singoli di esenzioni o di agevolazioni non previste dalla legge.

[10] Corte conti, sez. Autonomie, deliberazione n. 2/2020/QMI.

[11] Corte cost., sentenza n. 123 del 2010.

[12] Corte conti, sez. contr. Piemonte, parere n. 7/2007.

[13] Cfr. l’art. 3, Principio di legalità, del d.lgs. n. 472/1997, Disposizioni generali in materia di sanzioni amministrative per le violazioni di norme tributarie, a norma dell’articolo 3, comma 133, della legge 23 dicembre 1996, n. 662, dove al comma 1 si dispone che «Nessuno può essere assoggettato a sanzioni se non in forza di una legge entrata in vigore prima della commissione della violazione», a conferma del principio che sorregge l’intera materia.

[14] Cfr. LUCCA, L’indisponibilità (alla transazione) dell’obbligazione tributaria salvo il ricorso agli strumenti deflattivi previsti dalla legge, lentepubblica.it, 3 giugno 2021, nell’analisi dell’ordinamento positivo viene postulato l’indefettibile principio generale della indisponibilità dell’obbligazione tributaria, che viene ricondotta ai principi di capacità contributiva (ex art. 53, comma 1, Cost.) ed imparzialità nell’azione della PA (ex art. 97 Cost.), espressione entrambi del più generale principio di “eguaglianza” nell’ambito dei rapporti tributari – e dalla constatazione che riconducibilità della potestà non appare negoziabile, giungendo alla considerazione che la riscossione dei tributi diviene necessaria ed indispensabile per garantire risorse all’ente, e dunque la stabilità e l’integrità dei conti.

[15] Vedi, Corte conti, sez. contr. Umbria, 13 luglio 2022, n. 64, ove si affronta la possibilità da parte di un Comune di porre legittimamente i propri crediti tributari ad oggetto di un accordo con un imprenditore in stato di crisi, ai sensi degli articoli 182 bis e 182 ter del RD 16 marzo 1942, n. 267. Il parere, con particolare riguardo ai debiti tributari, fa espressa menzione “dei tributi e dei relativi accessori amministrati dalle agenzie fiscali”, mentre non contiene alcun riferimento ai crediti tributari gestiti direttamente dagli Enti Locali. Tali crediti risultano, pertanto, esclusi dall’applicazione dell’istituto in parola e assoggettabili esclusivamente alla disciplina generale del concordato preventivo ex artt. 160 e seguenti del citato RD n. 267/1942 o, in alternativa, agli accordi di ristrutturazione del debito ai sensi del richiamato art. 182 bis del medesimo testo normativo. È stato precisato che risulta applicabile la disciplina della transazione fiscale, in quanto derogatoria rispetto al principio dell’indisponibilità dell’obbligazione tributaria, per le sole fattispecie tassativamente previste dall’art. 182 ter del RD n. 267/1942, ossia per i soli tributi amministrati dalle Agenzie fiscali. Per i tributi locali non amministrati dalle Agenzie fiscali, ma gestiti in proprio dall’Ente locale, la ratio dell’articolo 182 bis è quella di consentire all’imprenditore in crisi di evitare il dissesto irreversibile dell’impresa. Se non si ammettesse la riduzione percentuale dei crediti fiscali, diversi da quelli oggetto di transazione ex art. 182 ter, l’obiettivo sarebbe facilmente disatteso perché il carico tributario da pagare integralmente potrebbe comunque risultare, in molti casi, non sostenibile. Inoltre, la tesi secondo cui i tributi locali non ammessi alla transazione fiscale sarebbero da pagare per intero, potrebbe escludere anche la possibilità di pagamento in percentuale dei tributi erariali, essendo questi crediti garantiti da un grado di privilegio superiore rispetto a quello riconosciuto ai tributi locali.

[16] L’Amministrazione, nell’usare il diritto civile nel concludere transazioni, non si trova nella stessa posizione del privato che può disporre liberamente del suo patrimonio ma deve rispettare le regole del diritto pubblico, Cons. Stato, sez. VI, 2 agosto 2004, n. 5365, occorrendo sempre e comunque la massima prudenza, Corte conti, sez. contr. Emilia – Romagna, delibera n. 75 del 26 aprile 2017.

[17] Cfr. Corte Conti, sez. contr. Campania, delibera n. 31 del 25 maggio 2022.

[18] Cfr. Corte conti, sez. giur. Umbria, 9 settembre 2022, n. 62, dove si è stabilità la responsabilità erariale addebitabile da colpa grave a carico degli organi politici che hanno introdotto un quadro regolamentare caotico e incerto, mentre i funzionari amministrativi, dal canto loro, non si sono attivati per sollecitare i chiarimenti necessari, né hanno agito per la riscossione delle somme dovute a titolo di tributi.