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Articolo Pubblicato il 27 Ottobre, 2022

Mancato ritiro del CDU: nessuna inerzia della PA

Mancato ritiro del CDU: nessuna inerzia della PA

La sez. I Catania del TAR Sicilia, con la sentenza 24 ottobre 2022 n. 2822, spicca per una situazione alquanto singolare dove da una parte, un soggetto cita in giudizio una PA per l’asserito silenzio serbato nell’obbligo di stendere e rilasciare un certificato di destinazione urbanistica (CDU), dall’altro, si perviene alla costatazione che alcuna inerzia si è resa responsabile l’Amministrazione locale, quanto semmai dell’indolenza (sinonimo di inerzia) dell’interessato nel ritirare l’atto.

Fatti essenziali

La parte ricorrente, in previsione di una vendita immobiliare, presentava al Comune una richiesta del CDU per l’area oggetto di stipula (rogito), e nel rilascio il Responsabile avrebbe omesso alcune particelle del foglio catastale; seguiva richiesta di un ulteriore certificato di destinazione urbanistica per le parti residue.

Decorsi trenta giorni dalla presentazione della richiesta, avendo trasmesso una diffida a ottemperare, si rivolge al GA lamentando:

  • il perfezionatosi illegittimo silenzio dell’Amministrazione rimasta inerte (inadempimento alla conclusione del procedimento);
  • ritenendo violata la normativa di cui al D.P.R. 380/2001 e agli artt. 2 e 3 della legge n. 241/1990, con conseguente danno sulla mancata alienazione (il comma 2 dell’art. 30, Lottizzazione abusiva, del cit. 380, prevede, infatti, che negli «atti tra vivi, sia in forma pubblica sia in forma privata, aventi ad oggetto trasferimento o costituzione o scioglimento della comunione di diritti reali relativi a terreni sono nulli e non possono essere stipulati né trascritti nei pubblici registri immobiliari ove agli atti stessi non sia allegato il certificato di destinazione urbanistica contenente le prescrizioni urbanistiche riguardanti l’area interessata»)[1];
  • dall’accertamento della regolarità e della completezza del CDU «avrebbe dovuto seguire un’attività vincolata quasi istantanea», con conseguente condotta inerte contraria ai principi di imparzialità, trasparenza e di buon andamento.

Il Comune resistente (costituitosi) eccepisce l’inammissibilità del ricorso, «poiché la chiesta certificazione è stata formata contestualmente alla richiesta …, ma non è stata ritirata dall’interessato», anzi veniva provato che il Responsabile, appurato il mancato ritiro, avrebbe inviato «copia del certificato di destinazione urbanistico richiesto, rimanendo in attesa del ritiro dell’originale in bollo c/o l’Ufficio Tecnico».

I fatti non richiedono ulteriore esitazione.

A margine si rammenta che il mancato rilascio del CDU nei termini di legge può comportare una responsabilità risarcitoria in caso di condanna dell’Amministrazione[2].

Merito

Il Tribunale procede con decisione in forma semplificata, dichiarando il ricorso inammissibile per le motivazioni che seguono.

La prima precisazione viene sulla natura del CDU:

  • rientra nella categoria degli atti di certificazione redatti da pubblico ufficiale, priva di natura provvedimentale ma dichiarativa di situazioni giuridiche già esistenti[3];
  • costituisce atto amministrativo di manifestazione del potere certificativo della pubblica autorità, cui sono ricollegabili posizioni di interesse legittimo in capo ai privati richiedenti la certificazione e correlativi obblighi di “provvedere” in capo all’Amministrazione, da intendere, questi ultimi, evidentemente in senso lato come obblighi di pronunciamento espresso[4], visto anche il tenore della norma del cit. comma 2, dell’art. 30 del dpr n. 380/2001, che pur ammettendo al comma 4 la sua costituzione con una dichiarazione sostitutiva, questo non esclude l’interesse a pretendere il suo rilascio (dunque, l’obbligo di adempiere).

La seconda precisazione, si sofferma sul dato fattuale: diversamente da quanto sostenuto in ricorso il termine non è spirato e l’atto è stato prodotto, ovvero il Responsabile ha materialmente redatto (formato) il CDU.

Aspetto dirimente

La sentenza ha il pregio di aver chiarito un aspetto che trova un riscontro nell’ultimo comma dell’art. 1, Principi generali dell’attività amministrativa, della legge 241, seppure non citato: «I rapporti tra il cittadino e la pubblica amministrazione sono improntati ai princìpi della collaborazione e della buona fede».

Un principio che esige di consumare le relazioni tra Istituzione e cittadino con regole che vigono già all’interno dei rapporti negoziali (quelle del codice civile), ovvero in una dimensione di correttezza e lealtà reciproca, altri potrebbero richiamare una regola non scritta: quella del “buonsenso” (o senso della misura)[5].

Conclude il GA, postulando un principio di diritto: se normativamente sussiste un obbligo giuridico dell’Amministrazione comunale di provvedere al rilascio del certificato di destinazione urbanistica, concludendo il relativo procedimento mediante un atto espresso e motivato, in applicazione degli artt. 2 e 3 della legge n. 241/1990[6], risulta «altrettanto vero che non sussiste un obbligo di invio dello stesso alla parte istante, che, ed è questo dirimente, nella sua istanza non ha affatto indicato un recapito presso cui indirizzarlo».

Ne consegue per esigenze incomprimibili e di liquida consistenza che «rettamente, il Comune assume che era onere della parte istante, odierna ricorrente, recarsi presso gli Uffici per ritirare la certificazione» già predisposta per tempo (anteriore alla data del ricorso).

[1] L’interesse protetto dall’ordinamento giuridico mediante l’art. 30 del dpr n. 380/2001 è quello di consentire un ordinato sviluppo urbanistico del tessuto urbano, in coerenza con le scelte pianificatorie della Pubblica Amministrazione, Cons. Stato, sez. VI, 19 agosto 2021, n. 5951.

[2] Cfr. Corte di Conti, sez. giur. Puglia, 6 aprile 2021, n. 252, ove si annota che se il certificato di destinazione urbanistica fosse stato rilasciato dopo la richiesta dell’interessato, ovvero anche dopo la diffida, non vi sarebbe stato motivo di adire il giudice amministrativo per far valere l’inerzia del Comune e né sarebbe conseguita la condanna dell’ente al pagamento delle spese di lite, affermando, quindi, la responsabilità erariale in capo al titolare dell’Ufficio.

[3] TAR Lombardia, Brescia, sez. I, 24 aprile 2012, n. 687; Cons. Stato, sez. IV, 4 febbraio 2014, n. 505; TAR Puglia, Bari, sez. III, 3 gennaio 2018, n. 5.

[4] TAR Veneto, sez. III, 25 marzo 2013, n. 450.

[5] COLETTI, Che cosa significa e da dove nasce il buon senso?, accademiadellacrusca.it, 3 aprile 2022, nell’analizzare il lessico osserva che «perché il buonsenso inteso come uso moderato, equilibrato della ragione non coincide, purtroppo, col senso comune, come ci ricorda il Manzoni del XXXII dei Promessi sposi: “il buon senso c’era; ma se ne stava nascosto, per paura del senso comune”».

[6] TAR Campania, Napoli, sez. II, 12 febbraio 2019, n. 766.