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Articolo Pubblicato il 28 Dicembre, 2020

Proibizione della coltivazione di OGM: un divieto della P.A. a tutela dell’ambiente e della salute

Proibizione della coltivazione di OGM: un divieto della P.A. a tutela dell’ambiente e della salute

La sez. III del Consiglio di Stato, con la sentenza 17 dicembre 2020, n. 8089 (estensore Tulumello), rigetta un ricorso contro un’ordinanza ministeriale di distruzione di mais OGM (organismi geneticamente modificati) illecitamente coltivato, in violazione alla disciplina nazionale e comunitaria: prevale la tutela ambientale sulla libera concorrenza e l’iniziativa economica (ex art. 41, comma 1 Cost.), con un obbligo giuridico di prevenire ogni rischio alla salute e all’ambiente, anche in assenza di certezze scientifiche consolidate o anche nei casi in cui i danni siano poco conosciuti o solo potenziali: una tutela anticipata rispetto alla fase dell’applicazione delle migliori tecniche proprie del principio di precauzione[1].

Il fatto nella sua essenzialità prende impulso da un accertamento del Dipartimento dell’Ispettorato centrale della tutela della Qualità e Repressione Frodi dei prodotti agroalimentari, unitamente a funzionari del Corpo Regionale Forestale della Direzione centrale risorse agricole forestali ed ittiche di coltivazione di mais OGM presso i terreni coltivati a mais da un’azienda agricola, a cui seguiva l’adozione di un provvedimento del Direttore generale della Direzione generale per il riconoscimento degli organismi di controllo e certificazione e tutela del consumatore – Dipartimento dell’Ispettorato centrale della tutela della qualità repressioni frodi dei prodotti agroalimentari – Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali, recante l’ordine «di procedere, mediante trinciatura ed interramento, alla distruzione delle coltivazioni di OGM illecitamente impiantate sui terreni siti… nonché al ripristino dello stato dei luoghi a proprie spese», ai sensi dell’35 bis del d.lgs. n. 224/2003, come modificato dal d.lgs. n. 227/2016, recante «Attuazione della direttiva (UE) 2015/412, che modifica la direttiva 2001/18/CE per quanto concerne la possibilità per gli Stati membri di limitare o vietare la coltivazione di organismi geneticamente modificati (OGM) sul loro territorio».

In primo grado, si acclara che la libertà di impresa e funzionamento del mercato interno all’Unione si configurano come cedevoli, non solo al principio di sussidiarietà (ex art. 118 Cost.), ma anche a quello di precauzione in materia di ambiente (ex art. 191 TFUE).

Volendo richiamare una breve analisi giuridica, ed è proprio sul principio di precauzione, di derivazione comunitaria, che interagisce tutta la politica di tutela della salute e dell’ambiente, legittimando – quando sussistono incertezze riguardo all’esistenza o alla portata di rischi per la salute delle persone – l’adozione di misure di protezione senza dover attendere che siano pienamente dimostrate l’effettiva esistenza e la gravità dei rischi (presupposti)[2].

In ossequio a quanto previsto dall’art. 191 del trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea, l’obbligo giuridico di assicurare un «elevato livello di tutela ambientale», con l’adozione delle migliori tecnologie disponibili, è finalizzato ad anticipare la tutela, poi da apprestarsi in sede legislativa, a decorrere dal momento in cui si profili il rischio di un danno poi da riparare: tale principio generale assume quindi rilevanza –e, come tale, è direttamente cogente per tutte le Pubbliche Amministrazioni- soprattutto nel settore della salute, con una valenza non solo programmatica, ma direttamente imperativa nel quadro degli ordinamenti nazionali, vincolati ad applicarlo qualora sussistano incertezze riguardo all’esistenza o alla portata di rischi per la salute delle persone[3].

La protezione della salute umana è, dunque, uno degli obiettivi della politica comunitaria in materia ambientale: protezione fondata sui principi della precauzione e dell’azione preventiva, sul principio della correzione, in via prioritaria alla fonte, dei danni causati all’ambiente, nonché sul principio “chi inquina paga”, dovendo intervenire ex ante qualora sussistano incertezze riguardo all’esistenza o alla portata di rischi per la salute delle persone, ben potendo adottare misure di tutela senza dover attendere che siano approfonditamente dimostrate la realtà e la gravità di tali rischi[4].

A ben vedere, detto principio generale integra, quindi, un criterio orientativo generale e di larga massima che deve caratterizzare non soltanto le attività normative, ma prima ancora quelle amministrative, come prevede espressamente l’art. 1 della legge n. 241/1990, ove si stabilisce che «l’attività amministrativa persegue i fini determinati dalla legge ed è retta … dai principi dell’ordinamento comunitario».

Il precipitato di questo quadro interpretativo conduce inevitabilmente:

  • a riconoscere alla P.A. il potere di adottare ogni provvedimento ritenuto idoneo a prevenire rischi anche solo potenziali alla salute[5];
  • ad autorizzare l’imposizione di limiti all’esercizio della libertà di iniziativa economica, sulla base dei principi di prevenzione e precauzione nell’interesse dell’ambiente e della salute umana[6];
  • quando l’intervento umano su un determinato sito, sulla base di elementi obiettivi, non possa escludersi che pregiudichi il sito interessato in modo significativo dal rischio di contaminazione è lecito adottare misure anticipatorie e precauzionali;
  • sul piano procedurale, l’adozione di misure fondate sul principio di precauzione è condizionata al preventivo svolgimento di una valutazione quanto più possibile completa dei rischi calata nella concretezza del contesto spazio temporale di riferimento, valutazione che deve concludersi con un giudizio di stretta necessità della misura, anche in assenza di una consolidata esperienza scientifica, se la situazione di pericolo si presenta potenziale o latente ma non meramente ipotizzata e deve incidere significativamente sull’ambiente e la salute dell’uomo[7].

Il tribunale di prime cure, nel rigettare il ricorso, declara:

  • l’esistenza di un rischio potenziale, non richiede l’esistenza di evidenze scientifiche consolidate sulla correlazione tra la causa, oggetto di divieto o limitazione, e gli effetti negativi che ci si prefigge di eliminare o ridurre ma comporta che l’azione dei pubblici poteri debba tradursi in una prevenzione anticipata[8];
  • l’ambito della valutazione degli OGM destinati alla coltivazione non è in grado di escludere a priori, allo stato attuale delle conoscenze scientifiche, rischi ambientali e ricadute sulla sicurezza alimentare;
  • nell’ambito della valutazione e delle evenienze istruttorie rientra, ad esempio, l’invasività o la persistenza di un OGM, essendo prevedibile la possibilità di incrocio con piante domestiche coltivate o selvatiche (c.d. contaminazione), minacciando la conservazione della biodiversità (il rischio non è solo teorico ma pratico, il supporto probatorio richiederebbe una dilatazione dei tempi che avrebbe comunque cagionato un pregiudizio irreparabile all’indicato interesse antagonista, in questo senso, l’atto impugnato riportava “il carattere dell’urgenza della rimozione”).

L’appello viene respinto e tutte le censure ritenute infondate, condividendo nella sostanza il primo giudizio immune dai vizi denunciati (avendo l’ordinanza il carattere di proporzionalità nel bilanciamento tra tutela della salute/ambiente e dell’iniziativa economica).

I rilievi:

  • la supposta coltivazioni OGM destinate a scopi di studio e di ricerca difetta del presupposto legittimante, mancando la notifica al Ministero nelle forme di legge e la prescritta documentazione (ex 8, d.lgs. n. 224/2003, Attuazione della direttiva 2001/18/CE concernente l’emissione deliberata nell’ambiente di organismi geneticamente modificati);
  • il divieto di coltivazione promana direttamente della Commissione europea, in sede di rinnovo dell’autorizzazione alla coltivazione di granturco “Mon 810”, ai sensi degli articoli 7 e 19 del regolamento (CE) n. 1829/2003, con la decisione di esecuzione n. 2016/321 del 3 marzo 2016, e non da misure prese dal Ministero, ai sensi dell’art. 26 quater del d.lgs. n. 224/2003[9];
  • l’applicazione del principio di precauzione postula l’esistenza di un rischio potenziale per la salute e per l’ambiente, ma non richiede l’esistenza di evidenze scientifiche consolidate sulla correlazione tra la causa, oggetto di divieto o limitazione, e gli effetti negativi che ci si prefigge di eliminare o ridurre[10];
  • quando non sono conosciuti con certezza i rischi connessi ad un’attività potenzialmente pericolosa, l’azione dei pubblici poteri debba tradursi in una prevenzione anticipata rispetto al consolidamento delle conoscenze scientifiche, anche nei casi in cui i danni siano poco conosciuti o solo potenziali[11].

Il Consiglio di Stato, sez. III, con la sentenza 17 dicembre 2020, n. 8089, conferma la piena legittimità della distruzione delle coltivazioni di mais OGM in adesione al principio di precauzione che prevale su ogni diverso interesse di natura economica ove il rischio possa ricadere sulla salute o sull’ambiente.

L’ordinamento comunitario, annota il Collegio, pur storicamente caratterizzato da una iniziale impostazione mercantilista, si è successivamente affrancato da tale connotato, individuando quali valori fondanti l’azione della Comunità e poi dell’Unione anche interessi metaeconomici e solidaristici prevalenti rispetto alla libertà di iniziativa economica (come già evidenziato nell’art. 41, comma 2 Cost., con una riserva di legge implicita)[12]: una gerarchia di valori rispetto a beni primari quali la salute e la tutela dell’ambiente, e al principio di precauzione, che ne regola il concorso[13].

Si ricava l’ulteriore principio cogente per cui la tutela della concorrenza risulta recessiva rispetto alle politiche pubbliche orientate alla salubrità ambientale, nel senso che la stessa libertà imprenditoriale deve orientarsi ed estrinsecarsi in forme compatibili con tali obiettivi[14]: nel relativismo dei valori, proprio dell’impronta pluralista, che è attualmente alla base dell’ordinamento europeo (si legge nella sentenza), in una fase ormai evoluta della sua dinamica, il rapporto autorità-libertà si declina in funzione di regole di compatibilità che prevedono la preminente collocazione gerarchica dell’interesse ambientale e di quello alla tutela della salute.

Si potrebbe affermare una dimensione etica dell’agire privato dove i valori della vita, da ricomprendere il diritto di vivere in un ambiente sano e pulito, dovrebbero prevalere sull’interesse egoistico di natura patrimoniale dell’utile d’impresa a favore di un’umanità condivisa, specie in epoca Covid-19, dove non mancano le testimonianze della ricerca al guadagno sull’esigenza di contrastare la pandemia, senza considerare la graduazione dell’età da salvare rispetto alla disponibilità di terapie (intensive), in una perdita malcelata di talenti, di solidarietà sociale, di monetizzazione della sanità pubblica/privata (ex art. 32 Cost.)[15].

[1] Cons. Stato, sez. V, 18 maggio 2015, n. 2495.

[2] Corte giustizia UE, sez. I, 9 giugno 2016, n. 78.

[3] Cons. Stato, sez. IV, 27 marzo 2017, n. 1392.

[4] Tribunale I grado CE, sez. II, 19 novembre 2009, n. 334; Corte giustizia CE, sez. III, 12 gennaio 2006, n. 504.

[5] Corte Giustizia CE, sentenza 26 novembre 2002, n. T-132; Cons. Stato, sez. VI, 5 dicembre 2002, n. 6657.

[6] Cfr. Corte cost., 26 giugno 2002, n. 282 e 17 marzo 2006, n. 116.

[7] Cons. Stato, sez. V, 27 dicembre 2013, n. 6250.

[8] In effetti, il principio di precauzione «può essere invocato quando un fenomeno, un prodotto o un processo può avere effetti potenzialmente pericolosi, individuati tramite una valutazione scientifica e obiettiva, se questa valutazione non consente di determinare il rischio con sufficiente certezza», AMENDOLA, Il principio di precauzione nell’attività della pa per la gestione dei rischi, diritto.it, 25 agosto 2020.

[9] La Decisione della Commissione del 3 marzo 2016 ha disposto il divieto di coltivazione del mais OGM MON 810 in tutto il territorio italiano, come si ricava dall’art. 1: «la coltivazione del granturco geneticamente modificato (Zea mays L.) MON 810 è vietata nei territori elencati nell’allegato della presente decisione». Cfr. Cons. Stato, sez. III, 6 febbraio 2015, n. 605, dove è stato ritenuto legittimo il d.m. adottato dal Ministero della salute, di concerto con quelli delle politiche agricole e dell’ambiente, con il quale si vietava la coltivazione una varietà di mais transgenico (nella specie si trattava del mais OGM MON 810, prodotto dalla Monsanto) fino all’adozione di misure comunitarie d’urgenza, di cui all’art. 54, comma 3, del regolamento (CE) n. 178/2002. Cfr. Corte Giustizia UE, sez. III, 13 settembre 2017, causa C-111/16, dove la Corte ha dichiarato che le espressioni «[in modo] manifesto» e «grave rischio», ai sensi dell’articolo 34 del regolamento n. 1829/2003, devono essere intese come riferite a un serio rischio che ponga a repentaglio in modo manifesto la salute umana, la salute degli animali o l’ambiente. A commento della cit. sentenza, vedi PALMISANO, Ogm, principio di precauzione e zone «franche», Il Sole 24 ore, Sanità24, 13 novembre 2017, dove si rileva che «quando la questione riguardi gli ogm e i loro potenziali rischi le norme e le procedure cui attingere sono esclusivamente quelle previste dal Regolamento 1829\2003, che costituisce una sorta di normativa speciale, e quindi prevalente, rispetto a quella generale alimentare sopra rammentata».

[10] Cons. Stato, sez. V, 10 settembre 2014, n. 4588 e 11 luglio 2014, n. 3573.

[11] Cons. Stato, sez. IV, 11 novembre 2014, n. 5525.

[12] L’eventuale esigenza di contemperare la liberalizzazione delle attività economiche, ergo l’iniziativa economica, deve coniugarsi con quelle di una maggiore tutela della salute, del lavoro, dell’ambiente e dei beni culturali deve essere intesa sempre in senso sistemico, complessivo e non frazionato, Corte Cost., n. 85 del 2013 e n. 264 del 2012, all’esito di un bilanciamento che deve compiere il soggetto competente. La salvaguardia di valori quali la tutela dell’ambiente, della salute, dei lavoratori e dei consumatori, è effettivamente considerata dal legislatore statale quale valida ragione di deroga al principio generale della liberalizzazione delle attività commerciali, Corte Cost., sentenza n. 165 del 2014.

[13] Cfr. Corte di Giustizia, sez. V, 7 gennaio 2004, C-201/02, Wells, sul rapporto fra regime autorizzatorio e principio di precauzione.

[14] Corte di Giustizia, 17 settembre 2002, in causa C-513/99, ove si consolida il principio per cui la tutela della concorrenza nel settore dei contratti pubblici implica anche la capacità dell’impresa di stare sul mercato offrendo prodotti competitivi per soddisfare una domanda pubblica qualificata, in relazione ai sottostanti interessi della collettività. Ne consegue direttamente la rilevanza della tutela della salute, sottesa alla previsione di livelli di competenza tecnica e standard qualitativi che l’operatore economico deve possedere in relazione all’affidamento di contratti pubblici, finalizzato al perseguimento dell’interesse pubblico ad essa sotteso, Con. Stato, sez. III, 12 febbraio 2020, n. 1076.

[15] Vedi, LUCCA, Dalle Idi di marzo (fase zero punto zero) al contagio dei DPCM (fase quattro punto zero), comedonchisciotte.org, 14 novembre 2020, dove si analizza la produzione normativa dei DPCM pandemici, «in un terreno di congetture da verificare e da condividere in un processo di negoziazione a senso unico e di partecipazione mancata, con un senso di profonda opacità o incapacità intenzionale, mentre alcuni si aumentano gli stipendi e dormono sonni tranquilli nonostante i DPCM: indifferenti al tempo».