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Articolo Pubblicato il 18 Gennaio, 2023

Richieste dolosamente improprie e danno erariale

Richieste dolosamente improprie e danno erariale

La condotta abusiva

La sez. giur. Toscana, della Corte dei conti, con la sentenza n. 11 del 11 gennaio 2023, interviene condannare un impiegato al risarcimento del danno in favore della propria Amministrazione per la condotta assunta nell’effettuare le visite per verificare la sussistenza dei presupposti per la concessione di pensioni e assegni di invalidità e per gli accertamenti ex lege n. 104/92, avendo preteso, da diverse pazienti sottoposte a visita o dalle donne che accompagnavano gli esaminandi, una serie di prestazioni sessuali in cambio del rilascio di certificazioni mediche favorevoli: un clamoroso abuso doloso delle funzioni.

Dagli esiti delle sentenze penali emergevano i delitti di violenza sessuale aggravata e concussione (con condanna alla pena di anni 9 di reclusione) e il risarcimento dei danni in favore delle parti civili costituite in solido con l’Amministrazione di appartenenza (già versato da quest’ultima)[1].

Il danno erariale

Il danno erariale richiesto dalla procura ammonterebbe al versamento delle somme sostenute dall’Amministrazione a titolo:

  • di provvisionale sul maggior danno da liquidare in sede civile;
  • di spese legali.

La difesa

La parte, costituendosi in giudizio, eccepiva:

  • il difetto di giurisdizione della Corte dei conti, deducendo che, trattandosi di un semplice recupero del credito, da effettuarsi nell’ambito del rapporto privatistico con il proprio datore di lavoro;
  • avrebbe già provveduto al versamento delle somme, con un residuo, difettando la certezza, dell’attualità e della concretezza del danno;
  • i fatti non sarebbero stati accertati in sede penale in maniera definitiva (la sentenza di condanna di primo grado risulterebbe al momento gravata da appello) sussistendo un evidente rapporto di pregiudizialità con il procedimento penale, il cui esito sarebbe determinante ai fini dell’accertamento della responsabilità erariale (con richiesta di sospensione del giudizio, ex 106 c.g.c.).

Autonomia del giudizio erariale

In via pregiudiziale la Corte respinge il difetto di giurisdizione, rilevando che la natura risarcitoria dell’azione della Procura erariale risulta una questione ben diversa da quella restitutoria e/o recuperatoria intestata alla PA, quale soggetto danneggiato ed azionabile innanzi al giudice ordinario.

Infatti, la richiesta del PM erariale, pur traendo origine dai medesimi fatti lesivi, non vi è alcuna identificazione né sovrapposizione con l’ordinario diritto di credito (di natura civilistica) che la singola Amministrazione potrebbe direttamente far valere (con gli strumenti di autotutela di cui eventualmente disponga) nei confronti del responsabile dell’evento dannoso, bensì al di là del ripristino patrimoniale vi è l’esigenza di censurare l’esistenza di comportamenti illeciti, connotati da dolo o colpa grave, imputabili ad un determinato soggetto nell’ambito di un rapporto di servizio intercorso con l’Amministrazione pubblica[2].

Per la richiesta di sospensione, la Corte si limita ad osservare che non è sufficiente la sussistenza di una mera pregiudizialità logica che coinvolga due controversie, risultando essenziale, ai fini della sospensione, la ricorrenza di una pregiudizialità giuridica (ovvero, una situazione sostanziale che rappresenti il fatto costitutivo o comunque un elemento della fattispecie di un’altra situazione sostanziale)[3] che è ravvisabile esclusivamente quando la definizione di una controversia costituisca l’indispensabile antecedente logico-giuridico dell’altra, il cui accertamento deve avvenire con efficacia di giudicato[4].

Vi è la piena indipendenza, in assenza di una pregiudizialità giuridica (non potendo essere considerata tale la pendenza del giudizio penale)[5], del processo contabile rispetto agli altri giudizi, in quanto l’accertamento della responsabilità erariale può essere compiuto in maniera del tutto autonoma e sulla base di criteri differenti, anche se occasionalmente sovrapponibili (diversa è la causa petendi, basata sui fatti costitutivi e lesivi della responsabilità erariale, e diverso è anche il petitum, consistente nel risarcimento del danno cagionato all’Amministrazione dall’esborso in favore delle parti civili costituite)[6].

In caso di caducazione del titolo esecutivo (ergo, di riforma della sentenza penale di primo grado in senso favorevole al convenuto), il responsabile può sempre esercitare l’azione di arricchimento senza causa, fermo restando l’accertamento dell’illecito, nelle sue componenti oggettive (condotta) e soggettive (dolo e colpa grave), nei termini stabiliti dalla pronuncia contabile[7].

La condanna e il danno

Appurati i fatti addebitati al convenuto per tabulas, acquisita la certezza dell’attività illecita, anche dalla conferma testimoniale e dalle prove delle video riprese, nonché dall’assenza di controdeduzione sul merito dei fatti in sede penale, la Corte lo condanna nei termini richiesti dalla Procura (dedotti gli esborsi anticipati).

La responsabilità erariale, nell’ambito del rapporto di servizio con l’Amministrazione, è imputabile a titolo di dolo, avendo il dipendente consapevolmente abusato delle proprie funzioni[8], violando i doveri d’ufficio per acquisire prestazioni non dovute, cagionato l’esborso di somme a titolo risarcitorio in favore delle parti civili, in violazione degli obblighi di servizio e in spregio della stessa legge penale.

La sentenza non merita commenti: una simile condotta non trova giustificazioni, specie se assunta da tutti coloro che sono chiamati a garantire il regolare e corretto servizio pubblico e l’adeguata tutela di tutte quelle situazioni deboli; situazioni e contesti che esigono sicurezza e tutela sociale dallo Stato Persona, senza alcuna abdicazione dai basilari canoni di “onore e disciplina” nel servire la PA (ex art. 54, comma 2, Cost.), mettendo in essere dei gravissimi pregiudizi all’integrità fisica di persone bisognose di sostegno e cura.

La crudezza dei fatti segna (ferisce nel profondo) inesorabilmente l’immagine (la credibilità, l’autorevolezza, il prestigio e l’affidabilità interna ed esterna, minato dalla condotta delittuosa del dipendente infedele) delle Istituzioni Pubbliche (un danno pubblico), che non può essere limitato (il danno d’immagine) alle sole ipotesi di condotte da reato contro la PA, ma deve ricomprendere ogni lesione alla sua integrità[9], essendo sufficiente la sussistenza di un fatto intrinsecamente dannoso, in quanto contrastante con interessi primari protetti in via diretta ed immediata dall’Ordinamento giuridico[10].

(pubblicato, dirittodeiservizipubblici.it, 16 gennaio 2023)

[1] Con l’emissione del titolo di pagamento al terzo danneggiato, non si richiede di dover attendere il futuro passaggio in giudicato della sentenza di condanna (civile, penale o amministrativa), essendo il danno concreto e attuale già con l’esborso consequenziale alla soccombenza in giudizio dell’Amministrazione, in quanto è già in quel momento che si verifica la diminuzione del patrimonio dell’ente danneggiato, che integra l’evento dannoso, Corte conti, sez. II Centr., sentenza n. 30/2022.

[2] Corte conti, sez. App. Sicilia, sentenza n. 242/2018.

[3] Cass. civ., sez. VI, ordinanza 20 gennaio 2015, n. 798.

[4] Corte conti, sez. II Centr. App., sentenza n. 41/2019.

[5] Corte conti, sez. II Centr. App., sentenza. n. 56/2022.

[6] Corte conti, sez. II Centr. App. sentenza n. 450/2016.

[7] Corte conti, sez. II Centr., sentenza n. 30/2022.

[8] Sotto il profilo soggettivo o psicologico, una condotta intenzionale e consapevole teleologicamente rivolta alla sciente violazione di esse e, contemporaneamente, degli obblighi discendenti dal rapporto di servizio intercorrente con la Pubblica Amministrazione va considerata dolosa, quale comportamento realizzato con coscienza e volontà di trasgredire gli obblighi di servizio nell’espletamento delle funzioni esercitate, Corte conti, sez. giur. Veneto, 10 gennaio 2023, n. 1.

[9] Corte conti, sez. giur. Toscana, 20 luglio 2022, n. 193. Vedi, Corte conti, sez. giur. Lombardia, 1° febbraio 2022, n. 21.

[10] La risarcibilità del danno all’immagine, tradizionalmente inquadrato in termini di danno evento da ascrivere alla categoria del c.d. danno esistenziale, rileva ex se nell’ambito della clausola generale contenuta nell’art. 2043 c.c.: il pregiudizio, anche se non comporta una diminuzione patrimoniale diretta, è comunque suscettibile di valutazione economica sotto il profilo delle spese necessarie per il ripristino del bene giuridico leso, onde la qualificazione di “danno patrimoniale indiretto” o “in senso lato”, Corte conti, sez. giur. Lombardia, 29 settembre 2020, n. 140.