«Libero Pensatore» (è tempo di agire)

La prima sez. del T.A.R. Umbria, con la sentenza 20 febbraio 2019 n. 79, interviene indicando la forma corretta per esprimere il dissenso, da parte di una Amministrazione, in sede di conferenza di servizi, ex art. 14 quater della Legge n. 241/1990, al fine di non lasciare spazio alla mera opposizione non significativa.

La questione verteva sul rilascio dell’autorizzazione integrata ambientale (AIA) sull’ampliamento di un impianto di incenerimento, dove la Regione non avrebbe tenuto conto del “dissenso qualificato” di un’Amministrazione locale (espresso dal Sindaco), emesso ai sensi del comma 3 dell’art. 14 quater della legge 241/1990 («In caso di approvazione unanime, la determinazione di cui al comma 1 è immediatamente efficace. In caso di approvazione sulla base delle posizioni prevalenti, l’efficacia della determinazione è sospesa ove siano stati espressi dissensi qualificati ai sensi dell’articolo 14 quinquies e per il periodo utile all’esperimento dei rimedi ivi previsti»)[1], e suffragato da evidenze scientifiche, dovendosi eventualmente rimettere il procedimento al Consiglio dei Ministri[2].

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Dissenso in sede di conferenza di servizi per il rilascio dell’AIA

Dissenso in sede di conferenza di servizi per il rilascio dell’AIA

La prima sez. del T.A.R. Umbria, con la sentenza 20 febbraio 2019 n. 79, interviene indicando la forma corretta per esprimere il dissenso, da parte di una Amministrazione, in sede di conferenza di servizi, ex art. 14 quater della Legge n. 241/1990, al fine di non lasciare spazio alla mera opposizione non significativa.

La questione verteva sul rilascio dell’autorizzazione integrata ambientale (AIA) sull’ampliamento di un impianto di incenerimento, dove la Regione non avrebbe tenuto conto del “dissenso qualificato” di un’Amministrazione locale (espresso dal Sindaco), emesso ai sensi del comma 3 dell’art. 14 quater della legge 241/1990 («In caso di approvazione unanime, la determinazione di cui al comma 1 è immediatamente efficace. In caso di approvazione sulla base delle posizioni prevalenti, l’efficacia della determinazione è sospesa ove siano stati espressi dissensi qualificati ai sensi dell’articolo 14 quinquies e per il periodo utile all’esperimento dei rimedi ivi previsti»)[1], e suffragato da evidenze scientifiche, dovendosi eventualmente rimettere il procedimento al Consiglio dei Ministri[2].

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Tutte le popolazioni interessate devono partecipare al referendum e il quesito referendario deve essere comprensibile.

Il referendum generalmente viene considerato una delle principali espressioni di democrazia diretta o partecipata, distinguendosi dal meccanismo della democrazia rappresentativa indiretta: un esercizio di sovranità popolare di una potestà normativa senza intermediazione dei rappresentanti politici e del tradizionale monopolio parlamentare della legge, integrando le fonti del diritto (Corte Cost., 22 ottobre 1990, n. 468).

In una società pluralista, costituisce un correttivo ai processi legislativi e uno strumento di partecipazione popolare rispetto alla mediazione delle assemblee rappresentative (e degli eletti): una sorta di soccorso al completamento della volontà elettiva.

In questo caso, il Comune di Venezia e la Città Metropolitana di Venezia ricorrono contro la Regione Veneto per l’annullamento di una serie di atti, del Consiglio Regionale del Veneto, riferiti alla “meritevolezza” della consultazione popolare sulla «suddivisione del Comune di Venezia nei due Comuni autonomi di Venezia e Mestre».

L’indizione del referendum, essendo atto politico, sarebbe sottratto al sindacato giurisdizionale sia del G.A. che del G.O. e, comunque, trattandosi di referendum consultivo e non vincolante per la Regione, la sua celebrazione non lederebbe alcun interesse giuridicamente rilevante.

La prima sezione del T.A.R. Veneto, con la sentenza n. 864 del 14 agosto 2018, interviene sull’argomento chiarendo da principio che la deliberazione di indizione di un referendum è sindacabile, in quanto tale, dal G.A. sino a quando non sia ancora in vigore la legge di “variazione territoriale” (ex art. 133, secondo comma Cost.), effetto utile dell’intero procedimento referendario, e allo stesso tempo non può considerarsi atto di natura politica, dunque non impugnabile, ex art. 7 c.p.a. (Corte Cost., sentenza n. 2/2018).

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Consultazione popolare e rappresentanza elettorale: il referendum sulla divisione di Venezia

Consultazione popolare e rappresentanza elettorale: il referendum sulla divisione di Venezia

Tutte le popolazioni interessate devono partecipare al referendum e il quesito referendario deve essere comprensibile.

Il referendum generalmente viene considerato una delle principali espressioni di democrazia diretta o partecipata, distinguendosi dal meccanismo della democrazia rappresentativa indiretta: un esercizio di sovranità popolare di una potestà normativa senza intermediazione dei rappresentanti politici e del tradizionale monopolio parlamentare della legge, integrando le fonti del diritto (Corte Cost., 22 ottobre 1990, n. 468).

In una società pluralista, costituisce un correttivo ai processi legislativi e uno strumento di partecipazione popolare rispetto alla mediazione delle assemblee rappresentative (e degli eletti): una sorta di soccorso al completamento della volontà elettiva.

In questo caso, il Comune di Venezia e la Città Metropolitana di Venezia ricorrono contro la Regione Veneto per l’annullamento di una serie di atti, del Consiglio Regionale del Veneto, riferiti alla “meritevolezza” della consultazione popolare sulla «suddivisione del Comune di Venezia nei due Comuni autonomi di Venezia e Mestre».

L’indizione del referendum, essendo atto politico, sarebbe sottratto al sindacato giurisdizionale sia del G.A. che del G.O. e, comunque, trattandosi di referendum consultivo e non vincolante per la Regione, la sua celebrazione non lederebbe alcun interesse giuridicamente rilevante.

La prima sezione del T.A.R. Veneto, con la sentenza n. 864 del 14 agosto 2018, interviene sull’argomento chiarendo da principio che la deliberazione di indizione di un referendum è sindacabile, in quanto tale, dal G.A. sino a quando non sia ancora in vigore la legge di “variazione territoriale” (ex art. 133, secondo comma Cost.), effetto utile dell’intero procedimento referendario, e allo stesso tempo non può considerarsi atto di natura politica, dunque non impugnabile, ex art. 7 c.p.a. (Corte Cost., sentenza n. 2/2018).

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