«Libero Pensatore» (sempre)

La sez. II ter Roma, del TAR lazio, con la sentenza del 19 luglio 2024, n. 14749, interviene per illustrare la funzione (ratio) della pubblicazione delle deliberazioni (consigliari) del Comune, dove all’art. 124 del d.lgs. n. 267/2000, al comma 1, si dispone che «Tutte le deliberazioni del comune e della provincia sono pubblicate mediante pubblicazione all’albo pretorio, nella sede dell’ente, per quindici giorni consecutivi, salvo specifiche disposizioni di legge»[1].

Di converso, i commi 3 e 4 dell’art. 134, Esecutività delle deliberazioni, del TUEL stabiliscono che «Le deliberazioni non soggette a controllo necessario o non sottoposte a controllo eventuale diventano esecutive dopo il decimo giorno dalla loro pubblicazione. Nel caso di urgenza le deliberazioni del consiglio o della giunta possono essere dichiarate immediatamente eseguibili con il voto espresso dalla maggioranza dei componenti»[2].

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Chiarimenti sulla pubblicazione degli atti regolamentari comunali

Chiarimenti sulla pubblicazione degli atti regolamentari comunali

La sez. II ter Roma, del TAR lazio, con la sentenza del 19 luglio 2024, n. 14749, interviene per illustrare la funzione (ratio) della pubblicazione delle deliberazioni (consigliari) del Comune, dove all’art. 124 del d.lgs. n. 267/2000, al comma 1, si dispone che «Tutte le deliberazioni del comune e della provincia sono pubblicate mediante pubblicazione all’albo pretorio, nella sede dell’ente, per quindici giorni consecutivi, salvo specifiche disposizioni di legge»[1].

Di converso, i commi 3 e 4 dell’art. 134, Esecutività delle deliberazioni, del TUEL stabiliscono che «Le deliberazioni non soggette a controllo necessario o non sottoposte a controllo eventuale diventano esecutive dopo il decimo giorno dalla loro pubblicazione. Nel caso di urgenza le deliberazioni del consiglio o della giunta possono essere dichiarate immediatamente eseguibili con il voto espresso dalla maggioranza dei componenti»[2].

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SOMMARIO (1. Una prima lettura esplicativa. 2. Una seconda lettura normativa. 3. Una terza lettura informativa. 4. L’analisi giuridica del pronunciamento in fatto. 5. L’analisi giuridica in diritto. 6. La fine della narrazione.)

  1. Una prima lettura esplicativa

La pronuncia della Corte Costituzionale n. 23 del 22 febbraio 2019 si limita nella sua essenzialità a dichiarare inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell’art. 99, comma 1, del Decreto Legislativo 18 agosto 2000, n. 267 (c.d. TUEL), sollevata, in riferimento all’art. 97 della Costituzione, dal Tribunale ordinario di Brescia, con l’ordinanza dell’11 settembre 2017, iscritta al n. 39 del registro ordinanze 2018, e dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 99, commi 2 e 3, del cit. TUEL sollevata, in riferimento all’art. 97 Cost., sempre dal cit. Tribunale di Brescia[1].

Leggendo e rileggendo la sentenza, al di là della sua condivisione o meno, del fatto che il Segretario comunale possa essere nominato e cessare senza motivazione, che si configuri un rapporto o meno di natura fiduciaria con il Sindaco, assimilabili a quelli squisitamente a chiamata[2], pur non essendo un politico (e/o pur non condividendo l’orientamento politico), quasi ad affermare un’uguaglianza nella diversità del credo politico.

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La leggerezza dello spoils system del Segretario comunale

La leggerezza dello spoils system del Segretario comunale

SOMMARIO (1. Una prima lettura esplicativa. 2. Una seconda lettura normativa. 3. Una terza lettura informativa. 4. L’analisi giuridica del pronunciamento in fatto. 5. L’analisi giuridica in diritto. 6. La fine della narrazione.)

  1. Una prima lettura esplicativa

La pronuncia della Corte Costituzionale n. 23 del 22 febbraio 2019 si limita nella sua essenzialità a dichiarare inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell’art. 99, comma 1, del Decreto Legislativo 18 agosto 2000, n. 267 (c.d. TUEL), sollevata, in riferimento all’art. 97 della Costituzione, dal Tribunale ordinario di Brescia, con l’ordinanza dell’11 settembre 2017, iscritta al n. 39 del registro ordinanze 2018, e dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 99, commi 2 e 3, del cit. TUEL sollevata, in riferimento all’art. 97 Cost., sempre dal cit. Tribunale di Brescia[1].

Leggendo e rileggendo la sentenza, al di là della sua condivisione o meno, del fatto che il Segretario comunale possa essere nominato e cessare senza motivazione, che si configuri un rapporto o meno di natura fiduciaria con il Sindaco, assimilabili a quelli squisitamente a chiamata[2], pur non essendo un politico (e/o pur non condividendo l’orientamento politico), quasi ad affermare un’uguaglianza nella diversità del credo politico.

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La prima sez. del T.A.R. Campania, Napoli, con l’ordinanza pubblicata il 25 ottobre 2018, n. 1541 censura la condotta di un’Amministrazione locale che pretenderebbe di ricevere una prestazione legale a titolo gratuito.

Il ricorso, previa sospensione dell’efficacia, è teso all’annullamento dell’Avviso di costituzione di un elenco di Professionisti per il conferimento di incarichi di difesa legale del Comune dove la determinazione del compenso non allineava «le tariffe professionali e comunque in contrasto con il principio di equo compenso, applicabile anche alla amministrazioni pubbliche, in particolar modo per il contenzioso di valore fino ad € 500,00, per cui l’onorario è pari a zero».

Giova osservare che le Linee guida n. 12 «Affidamento dei servizi legali», approvate dal Consiglio dell’ANAC con delibera n. 907 del 24 ottobre 2018, nell’indicare le procedure da seguire per l’affidamento dei servizi legali precisa che, con riferimento al criterio di «Economicità» (già presente nell’art. 1 della legge n. 241/1990, e che governa l’azione amministrativa), si impone che «prima dell’affidamento dell’incarico» le PA «sono tenute ad accertare la congruità e l’equità del compenso, nel rispetto dei parametri stabiliti da ultimo con decreto ministeriale 8 marzo 2018, n.37».

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Gli avvocati (non) possono lavorare gratis nella P.A.: equo compenso inderogabile

Gli avvocati (non) possono lavorare gratis nella P.A.: equo compenso inderogabile

La prima sez. del T.A.R. Campania, Napoli, con l’ordinanza pubblicata il 25 ottobre 2018, n. 1541 censura la condotta di un’Amministrazione locale che pretenderebbe di ricevere una prestazione legale a titolo gratuito.

Il ricorso, previa sospensione dell’efficacia, è teso all’annullamento dell’Avviso di costituzione di un elenco di Professionisti per il conferimento di incarichi di difesa legale del Comune dove la determinazione del compenso non allineava «le tariffe professionali e comunque in contrasto con il principio di equo compenso, applicabile anche alla amministrazioni pubbliche, in particolar modo per il contenzioso di valore fino ad € 500,00, per cui l’onorario è pari a zero».

Giova osservare che le Linee guida n. 12 «Affidamento dei servizi legali», approvate dal Consiglio dell’ANAC con delibera n. 907 del 24 ottobre 2018, nell’indicare le procedure da seguire per l’affidamento dei servizi legali precisa che, con riferimento al criterio di «Economicità» (già presente nell’art. 1 della legge n. 241/1990, e che governa l’azione amministrativa), si impone che «prima dell’affidamento dell’incarico» le PA «sono tenute ad accertare la congruità e l’equità del compenso, nel rispetto dei parametri stabiliti da ultimo con decreto ministeriale 8 marzo 2018, n.37».

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La sentenza n. 7776 del 16 aprile 2015, della sezione Lavoro della Suprema Corte, ripropone il delicato tema del pagamento della tassa di iscrizione all’“Albo degli Avvocati”, arrivando alla conclusione che la P.A. debba rimborsare al proprio dipendente “avvocato” il contributo di iscrizione annuale all’albo.
Ciò sulla base del vincolo di “esclusività” e della “funzionalità” dell’iscrizione allo svolgimento dell’attività professionale nell’ambito di una prestazione di lavoro dipendente: visto che la singola P.A. è l’unico beneficiario dell’attività professionale, su tale ente ricade il pagamento della tassa di iscrizione, ovvero il relativo rimborso qualora il pagamento sia stato anticipato dal dipendente “professionista”.

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Iscrizione albo professionale nella P.A.

Iscrizione albo professionale nella P.A.

La sentenza n. 7776 del 16 aprile 2015, della sezione Lavoro della Suprema Corte, ripropone il delicato tema del pagamento della tassa di iscrizione all’“Albo degli Avvocati”, arrivando alla conclusione che la P.A. debba rimborsare al proprio dipendente “avvocato” il contributo di iscrizione annuale all’albo.
Ciò sulla base del vincolo di “esclusività” e della “funzionalità” dell’iscrizione allo svolgimento dell’attività professionale nell’ambito di una prestazione di lavoro dipendente: visto che la singola P.A. è l’unico beneficiario dell’attività professionale, su tale ente ricade il pagamento della tassa di iscrizione, ovvero il relativo rimborso qualora il pagamento sia stato anticipato dal dipendente “professionista”.

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