«Libero Pensatore» (è tempo di agire)

Con la sentenza n. 40 del 16 settembre 2020 il T.A.R. Valle D’Aosta interviene sulla distanza delle sale da gioco lecito rispetto ai luoghi “sensibili”, legittimando la revoca in autotutela della licenza, affrontando altresì il rapporto tra la disciplina nazionale e le potestà regionali.

Giova rammentare che è stata approvata il 10 settembre 2013 una risoluzione del Parlamento europeo nella quale si affermava la legittimità degli interventi degli Stati membri a protezione dei giocatori, anche se tali interventi dovessero comprimere alcuni principi cardine dell’ordinamento comunitario, quali ad esempio, la libertà di stabilimento e la libera prestazione dei servizi, rilevando che il gioco d’azzardo non è un’attività economica ordinaria, dati i suoi possibili effetti negativi per la salute (riferiti ai livelli essenziali di assistenza (LEA) per la cura e riabilitazione rivolte alle persone affette da “ludopatia”) e a livello sociale, quali il gioco compulsivo (le cui conseguenze e i cui costi sono difficili da stimare), la criminalità organizzata, il riciclaggio di denaro e la manipolazione degli incontri sportivi, con la conseguenza che sono possibili interventi “interni” ai singoli Stati per contrastare gli effetti negativi e la lotta alla criminalità connessa alla diffusione del gioco d’azzardo e del fenomeno delle frodi[1].

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Sale da gioco, potestà regionale e provvedimenti d’ufficio inibitori

Sale da gioco, potestà regionale e provvedimenti d’ufficio inibitori

Con la sentenza n. 40 del 16 settembre 2020 il T.A.R. Valle D’Aosta interviene sulla distanza delle sale da gioco lecito rispetto ai luoghi “sensibili”, legittimando la revoca in autotutela della licenza, affrontando altresì il rapporto tra la disciplina nazionale e le potestà regionali.

Giova rammentare che è stata approvata il 10 settembre 2013 una risoluzione del Parlamento europeo nella quale si affermava la legittimità degli interventi degli Stati membri a protezione dei giocatori, anche se tali interventi dovessero comprimere alcuni principi cardine dell’ordinamento comunitario, quali ad esempio, la libertà di stabilimento e la libera prestazione dei servizi, rilevando che il gioco d’azzardo non è un’attività economica ordinaria, dati i suoi possibili effetti negativi per la salute (riferiti ai livelli essenziali di assistenza (LEA) per la cura e riabilitazione rivolte alle persone affette da “ludopatia”) e a livello sociale, quali il gioco compulsivo (le cui conseguenze e i cui costi sono difficili da stimare), la criminalità organizzata, il riciclaggio di denaro e la manipolazione degli incontri sportivi, con la conseguenza che sono possibili interventi “interni” ai singoli Stati per contrastare gli effetti negativi e la lotta alla criminalità connessa alla diffusione del gioco d’azzardo e del fenomeno delle frodi[1].

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La prima sez. Catanzaro del T.A.R. Calabria, con la sentenza 16 agosto 2019, n. 1533, in relazione all’annullamento dell’aggiudicazione di un appalto del servizio di raccolta e di trasporto rifiuti, definisce il risarcimento dei danni all’operatore economico estromesso.

In via generale, il giudice dovrà tener conto di tutte le circostanze del caso concreto e liquidare sia il danno emergente che il lucro cessante (quali le spese sostenute per partecipare alla gara, il mancato guadagno per non aver potuto svolgere l’attività ed il mancato incremento del curriculum aziendale)[1]: la domanda sul quantum della pretesa risarcitoria dovrà essere commisurata al danno da mancata aggiudicazione del servizio, la quale si pone in rapporto di diretta causalità con l’illegittimo annullamento dell’aggiudicazione[2].

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Mancata aggiudicazione: prova rigorosa del danno

Mancata aggiudicazione: prova rigorosa del danno

La prima sez. Catanzaro del T.A.R. Calabria, con la sentenza 16 agosto 2019, n. 1533, in relazione all’annullamento dell’aggiudicazione di un appalto del servizio di raccolta e di trasporto rifiuti, definisce il risarcimento dei danni all’operatore economico estromesso.

In via generale, il giudice dovrà tener conto di tutte le circostanze del caso concreto e liquidare sia il danno emergente che il lucro cessante (quali le spese sostenute per partecipare alla gara, il mancato guadagno per non aver potuto svolgere l’attività ed il mancato incremento del curriculum aziendale)[1]: la domanda sul quantum della pretesa risarcitoria dovrà essere commisurata al danno da mancata aggiudicazione del servizio, la quale si pone in rapporto di diretta causalità con l’illegittimo annullamento dell’aggiudicazione[2].

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La convenzione urbanistica rientra tra gli strumenti di attuazione della pianificazione territoriale, avendo ad oggetto la definizione dell’assetto urbanistico di una parte del territorio, rientra tra gli accordi sostitutivi di provvedimento (ex art. 11 della Legge n. 241/1990)[1], ed è espressione di esercizio consensuale di un potere pianificatorio, che sfocia in un progetto ed in una serie di disposizioni urbanistiche generanti obblighi od oneri per le parti sottoscrittrici: un vincolo negoziale bilaterale tra P.A. e privato, a cui si applicano di rinvio i principi civilistici in materia di obbligazioni e contratti, per gli aspetti non incompatibili con la disciplina pubblicistica[2].

Si comprende che gli impegni assunti in sede convenzionale non vanno riguardati isolatamente, ma vanno rapportati alla complessiva remuneratività dell’operazione, ovvero (la c.d. causa) all’interesse che l’operazione contrattuale è diretta a soddisfare non con riferimento ai singoli impegni assunti, ma con riguardo alla oggettiva funzione economico – sociale del negozio, in cui devono trovare equilibrata soddisfazione sia gli interessi del privato che della Pubblica Amministrazione, con l’approdo positivo che in fase di esecuzione, in ossequio ai canoni di affidamento e buona fede e nel rispetto del rapporto di sinallagmaticità, la parte pubblica non può unilateralmente modificare le condizioni pattuite[3].

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Convenzione urbanistica, cessione aree ed opere, prescrizione dei diritti

Convenzione urbanistica, cessione aree ed opere, prescrizione dei diritti

La convenzione urbanistica rientra tra gli strumenti di attuazione della pianificazione territoriale, avendo ad oggetto la definizione dell’assetto urbanistico di una parte del territorio, rientra tra gli accordi sostitutivi di provvedimento (ex art. 11 della Legge n. 241/1990)[1], ed è espressione di esercizio consensuale di un potere pianificatorio, che sfocia in un progetto ed in una serie di disposizioni urbanistiche generanti obblighi od oneri per le parti sottoscrittrici: un vincolo negoziale bilaterale tra P.A. e privato, a cui si applicano di rinvio i principi civilistici in materia di obbligazioni e contratti, per gli aspetti non incompatibili con la disciplina pubblicistica[2].

Si comprende che gli impegni assunti in sede convenzionale non vanno riguardati isolatamente, ma vanno rapportati alla complessiva remuneratività dell’operazione, ovvero (la c.d. causa) all’interesse che l’operazione contrattuale è diretta a soddisfare non con riferimento ai singoli impegni assunti, ma con riguardo alla oggettiva funzione economico – sociale del negozio, in cui devono trovare equilibrata soddisfazione sia gli interessi del privato che della Pubblica Amministrazione, con l’approdo positivo che in fase di esecuzione, in ossequio ai canoni di affidamento e buona fede e nel rispetto del rapporto di sinallagmaticità, la parte pubblica non può unilateralmente modificare le condizioni pattuite[3].

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