«Libero Pensatore» (è tempo di agire)

La prima sez. Lecce del T.A.R. Puglia con la sentenza n. 688 del 26 aprile 2019 interviene sulla richiesta di un concessionario di un impianto sportivo per il riconoscimento di un debito fuori bilancio e, conseguente, mandato di pagamento relativo a lavori eseguiti ma non previsti nel contratto concessorio, con conseguente richiesta di attivazione del procedimento ex art. 194 «Riconoscimento di legittimità di debiti fuori bilancio» del D.Lgs. n. 267/2000 (TUEL).

Il RUP contestava la richiesta, disconoscendo il diritto di credito preteso, rilevando che i lavori rientravano tra le obbligazioni sottoscritte, denegando, pertanto l’avvio del procedimento di riconoscimento, sostituendosi – così facendo – all’organo consiliare, titolare della competenza ex lege.

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Debiti fuori bilancio e attivazione doverosa del procedimento di riconoscimento

Debiti fuori bilancio e attivazione doverosa del procedimento di riconoscimento

La prima sez. Lecce del T.A.R. Puglia con la sentenza n. 688 del 26 aprile 2019 interviene sulla richiesta di un concessionario di un impianto sportivo per il riconoscimento di un debito fuori bilancio e, conseguente, mandato di pagamento relativo a lavori eseguiti ma non previsti nel contratto concessorio, con conseguente richiesta di attivazione del procedimento ex art. 194 «Riconoscimento di legittimità di debiti fuori bilancio» del D.Lgs. n. 267/2000 (TUEL).

Il RUP contestava la richiesta, disconoscendo il diritto di credito preteso, rilevando che i lavori rientravano tra le obbligazioni sottoscritte, denegando, pertanto l’avvio del procedimento di riconoscimento, sostituendosi – così facendo – all’organo consiliare, titolare della competenza ex lege.

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La convenzione urbanistica rientra tra gli strumenti di attuazione della pianificazione territoriale, avendo ad oggetto la definizione dell’assetto urbanistico di una parte del territorio, rientra tra gli accordi sostitutivi di provvedimento (ex art. 11 della Legge n. 241/1990)[1], ed è espressione di esercizio consensuale di un potere pianificatorio, che sfocia in un progetto ed in una serie di disposizioni urbanistiche generanti obblighi od oneri per le parti sottoscrittrici: un vincolo negoziale bilaterale tra P.A. e privato, a cui si applicano di rinvio i principi civilistici in materia di obbligazioni e contratti, per gli aspetti non incompatibili con la disciplina pubblicistica[2].

Si comprende che gli impegni assunti in sede convenzionale non vanno riguardati isolatamente, ma vanno rapportati alla complessiva remuneratività dell’operazione, ovvero (la c.d. causa) all’interesse che l’operazione contrattuale è diretta a soddisfare non con riferimento ai singoli impegni assunti, ma con riguardo alla oggettiva funzione economico – sociale del negozio, in cui devono trovare equilibrata soddisfazione sia gli interessi del privato che della Pubblica Amministrazione, con l’approdo positivo che in fase di esecuzione, in ossequio ai canoni di affidamento e buona fede e nel rispetto del rapporto di sinallagmaticità, la parte pubblica non può unilateralmente modificare le condizioni pattuite[3].

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Convenzione urbanistica, cessione aree ed opere, prescrizione dei diritti

Convenzione urbanistica, cessione aree ed opere, prescrizione dei diritti

La convenzione urbanistica rientra tra gli strumenti di attuazione della pianificazione territoriale, avendo ad oggetto la definizione dell’assetto urbanistico di una parte del territorio, rientra tra gli accordi sostitutivi di provvedimento (ex art. 11 della Legge n. 241/1990)[1], ed è espressione di esercizio consensuale di un potere pianificatorio, che sfocia in un progetto ed in una serie di disposizioni urbanistiche generanti obblighi od oneri per le parti sottoscrittrici: un vincolo negoziale bilaterale tra P.A. e privato, a cui si applicano di rinvio i principi civilistici in materia di obbligazioni e contratti, per gli aspetti non incompatibili con la disciplina pubblicistica[2].

Si comprende che gli impegni assunti in sede convenzionale non vanno riguardati isolatamente, ma vanno rapportati alla complessiva remuneratività dell’operazione, ovvero (la c.d. causa) all’interesse che l’operazione contrattuale è diretta a soddisfare non con riferimento ai singoli impegni assunti, ma con riguardo alla oggettiva funzione economico – sociale del negozio, in cui devono trovare equilibrata soddisfazione sia gli interessi del privato che della Pubblica Amministrazione, con l’approdo positivo che in fase di esecuzione, in ossequio ai canoni di affidamento e buona fede e nel rispetto del rapporto di sinallagmaticità, la parte pubblica non può unilateralmente modificare le condizioni pattuite[3].

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La sez. controllo regionale della Corte dei Conti Lombardia, con la deliberazione n. 8 della camera di Consiglio del giorno 29 gennaio 2019, interviene per ribadire un principio generale della contrattualista pubblica, prima in chiave “contabilitistica” (alias, risparmio di spesa) poi in visione comunitaria di apertura al mercato della concorrenza, la vendita o cessione di quote societarie avviene mediante una procedura di evidenza pubblica[1].

L’art. 10 «Alienazione di partecipazioni sociali» del D.Lgs. n. 175/2016 (TUSP) prevede per la validità delle operazioni di cessione che «gli atti deliberativi aventi ad oggetto l’alienazione o la costituzione di vincoli su partecipazioni sociali delle amministrazioni pubbliche» sono adottati dal Consiglio comunale (in ambito comunale), imponendo, al secondo comma, che «l’alienazione delle partecipazioni è effettuata nel rispetto dei princìpi di pubblicità, trasparenza e non discriminazione. In casi eccezionali, a seguito di deliberazione motivata dell’organo competente…, che dà analiticamente atto della convenienza economica dell’operazione, con particolare riferimento alla congruità del prezzo di vendita, l’alienazione può essere effettuata mediante negoziazione diretta con un singolo acquirente… fatto salvo il diritto di prelazione dei soci eventualmente previsto dalla legge o dallo statuto».

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Vendita di quote societarie ed evidenza pubblica

Vendita di quote societarie ed evidenza pubblica

La sez. controllo regionale della Corte dei Conti Lombardia, con la deliberazione n. 8 della camera di Consiglio del giorno 29 gennaio 2019, interviene per ribadire un principio generale della contrattualista pubblica, prima in chiave “contabilitistica” (alias, risparmio di spesa) poi in visione comunitaria di apertura al mercato della concorrenza, la vendita o cessione di quote societarie avviene mediante una procedura di evidenza pubblica[1].

L’art. 10 «Alienazione di partecipazioni sociali» del D.Lgs. n. 175/2016 (TUSP) prevede per la validità delle operazioni di cessione che «gli atti deliberativi aventi ad oggetto l’alienazione o la costituzione di vincoli su partecipazioni sociali delle amministrazioni pubbliche» sono adottati dal Consiglio comunale (in ambito comunale), imponendo, al secondo comma, che «l’alienazione delle partecipazioni è effettuata nel rispetto dei princìpi di pubblicità, trasparenza e non discriminazione. In casi eccezionali, a seguito di deliberazione motivata dell’organo competente…, che dà analiticamente atto della convenienza economica dell’operazione, con particolare riferimento alla congruità del prezzo di vendita, l’alienazione può essere effettuata mediante negoziazione diretta con un singolo acquirente… fatto salvo il diritto di prelazione dei soci eventualmente previsto dalla legge o dallo statuto».

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Il Consiglio di Stato, sez. V, con la sentenza del 2 gennaio 2019, n. 12 definisce i confini del diritto di accesso (diritto soggettivo pubblico) dei consiglieri comunali, disciplinato dall’articolo 43, comma 2, del Decreto Legislativo 18 agosto 2000, n. 267, che se da una parte, viene ritenuto una espressione delle prerogative di controllo democratico e non incontra alcuna limitazione in relazione all’eventuale natura riservata degli atti o delle informazioni, stante anche il vincolo del segreto d’ufficio, dall’altra parte, non può che essere strumentale all’esercizio della funzione pena la sua limitazione.

In via generale, tale diritto di informazione è funzionale al particolare munus espletato dal consigliere comunale, proiettato all’esercizio della funzione, con piena cognizione di causa, e senza alcuna interposizione da parte degli uffici sul contenuto del diritto.

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Limiti cogenti ed evolutivi al diritto di accesso dei consiglieri comunali

Limiti cogenti ed evolutivi al diritto di accesso dei consiglieri comunali

Il Consiglio di Stato, sez. V, con la sentenza del 2 gennaio 2019, n. 12 definisce i confini del diritto di accesso (diritto soggettivo pubblico) dei consiglieri comunali, disciplinato dall’articolo 43, comma 2, del Decreto Legislativo 18 agosto 2000, n. 267, che se da una parte, viene ritenuto una espressione delle prerogative di controllo democratico e non incontra alcuna limitazione in relazione all’eventuale natura riservata degli atti o delle informazioni, stante anche il vincolo del segreto d’ufficio, dall’altra parte, non può che essere strumentale all’esercizio della funzione pena la sua limitazione.

In via generale, tale diritto di informazione è funzionale al particolare munus espletato dal consigliere comunale, proiettato all’esercizio della funzione, con piena cognizione di causa, e senza alcuna interposizione da parte degli uffici sul contenuto del diritto.

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La sez. II bis Roma, del T.A.R. Lazio con la sentenza n. 10268 del 23 ottobre 2018, interviene rilevando lo spessore istruttorio di una segnalazione anonima, capace di dare impulso ad un’attività d’indagine con effetti diretti sul contenuto dei fatti esposti (abuso edilizio), seppure di ignota provenienza.

La sentenza affronta gli effetti di un esposto anonimo sull’attività di vigilanza conseguente, compresi gli effetti sanzionatori, affrontando con chiarezza e puntualità una serie di argomenti di primario interesse per l’azione amministrativa e di vigilanza.

A seguito di un esposto, pervenuto per posta ordinaria, i Vigili Urbani effettuavano un sopralluogo, dal quale si accertava la presenza di tre cancelli abusivi (realizzati anche con demolizione di muro di recinzione) aggettanti su pubblica via.

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Piena cittadinanza nel diritto all’esposto anonimo come atto d’impulso per l’accertamento dell’istallazione abusiva di cancelli

Piena cittadinanza nel diritto all’esposto anonimo come atto d’impulso per l’accertamento dell’istallazione abusiva di cancelli

La sez. II bis Roma, del T.A.R. Lazio con la sentenza n. 10268 del 23 ottobre 2018, interviene rilevando lo spessore istruttorio di una segnalazione anonima, capace di dare impulso ad un’attività d’indagine con effetti diretti sul contenuto dei fatti esposti (abuso edilizio), seppure di ignota provenienza.

La sentenza affronta gli effetti di un esposto anonimo sull’attività di vigilanza conseguente, compresi gli effetti sanzionatori, affrontando con chiarezza e puntualità una serie di argomenti di primario interesse per l’azione amministrativa e di vigilanza.

A seguito di un esposto, pervenuto per posta ordinaria, i Vigili Urbani effettuavano un sopralluogo, dal quale si accertava la presenza di tre cancelli abusivi (realizzati anche con demolizione di muro di recinzione) aggettanti su pubblica via.

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